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Recensioni di libri

La mala erba di Antonio Manzini

Sellerio, 2022 - Un romanzo corale, una vicenda di dis-educazione sentimentale a cui si intrecciano come in un nodo gordiano vite secche e senza possibilità di futuro e redenzione. Una favola nera, sepolta dal tempo e tuttavia affiorante nel nostro tempo di disinganno.

Adriano Napoli
Adriano Napoli Pubblicato il 30-10-2022
La mala erba

La mala erba

  • Autore: Antonio Manzini
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Sellerio
  • Anno di pubblicazione: 2022

La mala erba di Antonio Manzini (Sellerio editore, Palermo, 2022) è un romanzo cupo, senza redenzione.
Samantha è un’adolescente che vive con il padre e la madre a San Martino in colle, minuscola frazione nella provincia reatina: appena trecento anime raggrumate in un nugolo di case contornate da boschi e campagne, sovrastata dal rudere di una chiesa che dà nome al borgo.
Come le ripete sempre lo zio Primo:

Colle San Martino non dà niente gratis. Vuole sempre qualcosa in cambio. E prima o poi se lo prende.

Così Samantha impara presto a ricacciare dentro quel sentimento tenero, fragile e segreto, simile a un fungo spuntato fuori all’improvviso ma nascosto in lei da chissà quanto tempo, “che la faceva ridere pure in un giorno di pioggia.”

Le difficoltà economiche della famiglia e il cattivo profitto scolastico contrassegnano le sue giornate, con gli stessi colori spenti del paesaggio che la imprigiona e allontana come un miraggio le speranze e i progetti di un futuro tutto ancora da costruire. A far precipitare la situazione è la scoperta di una gravidanza indesiderata e il disinganno amaro che le proviene dall’attrito con l’egoismo e l’insensatezza di chi la circonda.

“Morire o resistere” è l’unica scelta, ardua e forzosa, che resta alla ragazza, e la costringe a maturare come un frutto ancora acerbo, a furia di percosse e ammaccature; a diventare come la donna-lupo che la guarda e ammonisce da un quadretto sulla parete della cameretta; nella consapevolezza che anche il ridere e il piangere, per chi è rimasto povero e solo, è un lusso che non ci si può permettere perché:

Il tempo non è una questione di minuti, ore, giorni o settimane. Il tempo è una questione di avvenimenti.

Attorno alla vicenda di una dis-educazione sentimentale che erade sentimenti ed emozioni lasciando in superficie il cuore sacro dell’esistenza nella sua consistenza petrosa di cinismo e lotta brutale per l’esistenza si avvitano le vite degli altri personaggi del nuovo romanzo di Antonio Manzini.

Vite che condensano un’unica amorfa "forma di vita che se ne sta annidata dentro lo stomaco, nel cuore e nel cervello"; vite che per lungo tempo hanno tenuto celato al mondo i loro lineamenti reali dietro l’aspetto impassibile di volti antichi, tonache preconciliari e barboni anneriti dal vizio o dalla malinconia, e che d’improvviso si rivelano nella loro nudità vulnerabile e inerme, trovando nella fuga o nella morte l’unico possibile compimento.

Come se l’unica identità ancora possibile, l’unico modo di corrispondere alla rigidità inscalfibile di eterne e ottuse regole comunitarie, scolpite nel pregiudizio e nel biasimo collettivo, fosse da ricercare, per un’assurda forzatura del destino, nel perdere l’individualità, il proprio nome; nella cancellazione di sé con un drastico colpo di spugna, perpetrata con la ritualità feroce di un sacrificio umano.

Se non usassero il cellulare e la Toyota o il Mercedes per spostarsi da una frazione all’altra di questo spicchio di mondo, si sarebbe tentati di credere che don Cicci Bellè, padrone e demiurgo di uomini e cose di San Martino, e padre Graziano, ed Enzo, e Primo, che parla con i teschi dei morti come un Amleto paesano, e tutti gli altri fossero personaggi di una protostoria dissepolta, larve di una zolla pleistocenica rinvenuta alla luce da un colpo di vanga per mostrare nel suo brulicare incessante e insensato la specularità tragica della vita umana, l’inizio e il termine delle sue “magnifiche sorti e progressive”.

Giacché le vicende narrate nelle pagine del romanzo, che si snodano nell’arco di un mese, dal 5 aprile 2009 ai primi giorni di marzo dello stesso anno, producono l’effetto del pomo che cade e devasta in un amen la vita del formicaio in quel passo celebre della Ginestra leopardiana.

Le date hanno un rilievo fatale nella narrazione di Antonio Manzini. Sono arcani di una memoria già scritta, che ti appaiono davanti quando meno te l’aspetti, per ricordarti ciò che in apparenza avevi dimenticato e continua a essere, a incombere, in quel crocevia fatale in cui il corso apparentemente lineare e scontato dell’esistenza, delirando (ossia, etimologicamente, sconfinando dal tracciato della strada segnata) prende senza preavviso una direzione imprevista che modifica e sconvolge vite e destini.

Ci vogliono decine di migliaia di anni nell’evoluzione delle specie perché avvenga una mutazione genetica.

Così leggiamo infatti nelle ultime pagine del romanzo.

La Natura è lenta e saggia. Aculei, spine, artigli, macchie epidermiche sono i risultati di lente e progressive trasformazioni, cambiamenti che uccelli, mammiferi, rettili e pesci acquisiscono in un lento processo, nella lotta per la vita o per la morte. Oppure c’è bisogno di un’esplosione nucleare che può accelerare il cambiamento del patrimonio genetico di un essere vivente.

La narrazione a ritroso degli eventi, costruita su un lungo flashback, trasmette una sensazione di sgomento incredulo, scandita dal lugubre rintocco delle campane, cronotopo memoriale e percussivo di un incombere inesorabile del destino sugli eventi umani.

Con magistrale effetto di suspense, Antonio Manzini ricostruisce al rallentatore le origini e le conseguenze di questa esplosione attorno a cui si coagula la storia, modulando efficacemente i pedali del tempo narrativo; alternando la lentezza imperturbabile del tempo naturale e delle stagioni con la vertigine che attraversa come una fenditura la vita interiore dei personaggi del microcosmo umano di Colle San Martino trasformandoli, staccandoli dalle proprie minute certezze come le pareti cadenti di un edificio esausto, lasciando in evidenza soltanto i detriti di una mancanza.

Entrare nel crogioulo di esistenze di Colle San Martino equivale a un "passage de la ligne", a varcare una dimensione, entrare in un tempo diverso e purtuttavia fatalmente uguale a sé stesso, nel suo orizzonte immoto somigliante a un nodo gordiano inviluppato in un intrico insolubile d’illusioni fallaci e disinganno, in cui, senza sapere, dissanguiamo le nostre esistenze.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La mala erba

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