La libertà che non libera. Riscoprire il valore del limite
- Autore: Carlo Calenda
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2022
"Non sono né un filosofo né uno storico, e la passione che nutro per queste due discipline non è sufficiente per suffragare alcuna pretesa scientifica. Questo è dunque il saggio di un politico che ritiene indispensabile mettere al centro del suo pensiero e della sua azione la questione dell’etica.”
Con queste parole Carlo Calenda, già dirigente d’azienda, ministro della Repubblica e politico militante, introduce il suo nuovo saggio La libertà che non libera. Riscoprire il valore del limite (La nave di Teseo, 2022), che conclude un’ampia e complessa riflessione inaugurata con Orizzonti selvaggi (2018), e proseguita con I mostri (2021) sulla crisi della Democrazia liberale e della civiltà occidentale. Una crisi sistemica che minaccia il nostro passato, la memoria e il pensiero (come già prefigurato da Orwell nel visionario 1984), e che nella realtà dei fatti si configura come la tenace opera di erosione di un liberismo senza limiti fatto di qualunquismo e individualismo alienante che in poco meno di mezzo secolo ha portato alla spoliticizzazione della società e alla perdita di un senso comunitario nella coscienza dei singoli e nella collettività.
Coerentemente con la sua ispirazione azionista, che richiama modelli autorevoli del passato (in primo luogo il pensiero liberalsocialista di Carlo Rosselli), Calenda non si limita in queste pagine a un ragionamento moralistico e teorico, ma riporta la questione nel terreno concreto e verificabile della storia e della prassi delle vicende umane. La riflessione dell’autore si sviluppa pertanto nell’architettura robusta — per profondità di pensiero, ricchezza di riferimenti culturali e rigorosa documentazione bibliografica — di una narrazione scandita in due movimenti.
Il primo, intitolato “Sradicamento”, è un’accurata e meditata indagine, in sei capitoli dal taglio storico-filosofico-sociologico, sul tema della “fine” (della storia, della politica, dell’Occidente stesso). Il secondo, costituito da cinque capitoli, corrisponde alla “pars construens” del ragionamento, quella più eminentemente politica e progettuale, ed è infatti intitolata “Ricostruzione”, giacché il movente al contempo ideale e concreto di queste pagine è l’individuazione di una serie di proposte costruttive che permettano di avviare una profonda riforma di sistema della nostra società, recuperando le istanze di giustizia e di libertà che appartengono alla democrazia liberale, e di riqualificare il ruolo e la dignità della politica.
L’affermarsi negli ultimi convulsi decenni di istanze culturali e stili di vita improntati al soddisfacimento di desideri individuali ha prodotto nel tempo nelle democrazie occidentali una frammentazione del corpo sociale e un disimpegno dalla partecipazione attiva alla vita comunitaria e ai doveri e agli obblighi che essa comporta nell’interesse di tutti. L’esistenza del singolo si è via via sempre più ristretta nello spazio angusto di un ciclo biologico di produzione e consumo volto unicamente all’ambizione di soddisfare desideri individuali, determinando un’involuzione della sfera ideale e morale, degradando di conseguenza la qualità e il valore del pensiero e dell’azione.
La “cancel culture” imperante è la dimostrazione tangibile di una civiltà che ha voltato le spalle alla storia, liquidata alla stregua di “vecchio cascame di tempi premoderni”, inadatta dunque a fronteggiare le sfide del presente e le ambizioni sempre più smisurate del futuro. La fine della storia, che secondo il politologo Fukuyama (La fine della Storia e l’ultimo uomo, 1992) avrebbe dovuto rappresentare il compimento della Democrazia liberale, dei suoi principi e ideali, ci appare oggi piuttosto come la deriva di una civiltà in preda alla hybris, incapace di osservare e rispettare il senso del limite.
Ed è su questo tema centrale che la riflessione di Calenda pone l’accento: il rifiuto di regole condivise e vincolanti, di un limite morale in cui consiste il senso stesso, etico e sociale, di giustizia, ha comportato un progressivo distacco dalle nostre radici e una perdita di identità. Il rifiuto del passato ha compromesso il legame con il nostro destino eterno, riducendo l’Etica a un moralismo strumentale e opportunistico, la politica a un “potere minore” in balia degli interessi dei poteri dominanti, economici e tecnologici, neutralizzando ogni slancio ideale, sostituendo il valore storico e concreto della patria come comunità di valori condivisi e partecipati, con la freddezza burocratica e astratta dello stato.
Inoltre, “il confinamento dell’uomo occidentale nell’ambito del desiderio individuale ha avuto come conseguenza la sua infantilizzazione”, ricorda Calenda, che cita il “Puer aeternus” di Hillman, prototipo di un mito di eterna giovinezza che affligge il nostro tempo, e ha determinato la fine dell’autorità dei padri, costretti a concorrere con i figli alla spasmodica ricerca di un’eternità e soddisfazione individuale di desideri, ricercando il falso fine di una “libertà che non libera”.
In tal modo, nel segno della hybris e della mancanza di limiti naturali, si sono creati i presupposti di una società sempre più immobile e immorale, contrassegnata da gravi fenomeni di diseguaglianza che ledono la dignità delle persone, e in cui la ricerca di una felicità collettiva, pur continuamente conclamata da proclami e slogan effimeri, è sistematicamente disattesa dal rumore, dal trasformismo, dal perseguimento di interessi particolari, favorendo di conseguenza l’impoverimento complessivo della vita sociale e comunitaria e l’avanzata concomitante di proposte demagogiche, sovranismi e populismi, oramai sempre più diffusi e dominanti.
In realtà, ci ricorda Calenda, “Etica e Politica pur rimanendo formalmente separate, operano dunque congiuntamente”. È significativo, alla luce di questi complessi ragionamenti, che la seconda parte del saggio sia inaugurata, e fondata, su un attento ripensamento dei costumi degli antichi, in particolare della “mos maiorum” della Roma repubblicana, devota fino all’intransigenza a valori etici inscalfibili innestati su due colonne portanti di quella civiltà, la “dignitas” e “l’auctoritas”, il cui misconoscimento, non a caso, incide non poco nella friabilità della nostra società, aprendo la breccia agli eccessi sfrenati che ne contrassegnano la penuria di idee e ideali. Una politica che intenda ancora costruire futuro, secondo l’autore, non può esimersi da un confronto severo e naturale con le radici del passato.
Al “singolarismo”, inteso come esasperazione dell’individualismo, ridotto a esclusiva e autoreferenziale cura di sé e del proprio “particulare”, è necessario dunque sostituire la ricerca di un destino comune. Al “problema fondamentale di un’assenza di etica pubblica” occorre sopperire ricercando i valori mancanti, riscoprendo innanzitutto l’importanza dell’impegno (la “vita activa” evocata nel titolo del capitolo nono del saggio), e dunque nell’esercizio responsabile delle virtù civiche e della partecipazione diretta del “civis”. Tornare alle origini umanistiche di una politica come arte di governo, che non si limiti a enunciare promesse, ma sia in grado di motivare e spiegare “come” realizzare quanto promesso è una condizione imprescindibile (in tal senso, Calenda richiama il concetto di “parresia”, da intendersi al contempo come libertà di parola e “obbligo di esercitare il potere attraverso la verità”), per forzare i confini di un orizzonte ristretto nel materialismo e nel relativismo culturale.
A tal fine, è altrettanto urgente recuperare alla sfera politica, indebolita nel pensiero e nell’azione, la forza germinativa dell’idealismo, ovvero “la consapevolezza di poter incidere sul corso della storia, perseguendo giustizia e libertà e ricercando la felicità collettiva” oltre a quella individuale.
Alla deriva moralistica che identifica la categoria del Bene con il Mercato, la felicità con la realizzazione e l’efficienza economica, bisogna rispondere con un’etica consapevole dei comportamenti, fondata sul valore del limite, della temperanza e della rettitudine. In questo tempo sbandato, avvinto da crisi di ogni genere, da guerre e pandemia, e con lo spettro di una recessione senza eguali, non esiste - ammonisce l’autore del saggio - nulla di più urgente, necessario e giusto che rafforzare il nostro senso di appartenenza a una comunità attraverso la cultura e l’etica politica.
È la lezione severa e difficile che la storia, trascurata o dimenticata, continua a impartirci: di senso del dovere e responsabilità, utili alla conservazione e alla trasmissione di un patrimonio vitale in cui consiste la nostra forza, e la possibilità “di costruire lo spazio, il tempo e l’occasione per perseguire la ricerca filosofica, la contemplazione e la capacità di connettersi con la bellezza attraverso l’arte".
È su questi principi che attingono alle radici più profonde, culturali e civili della nostra identità, che si gioca non soltanto la potenza e l’indipendenza della politica, ma la sopravvivenza stessa delle democrazie liberali. Non è facile, eppure, conclude Calenda,
“dobbiamo tentare di risollevare la forza morale e ideale della politica perché di questa forza avremo bisogno negli anni a venire. Non possiamo costantemente lamentarci di qualcosa che contribuiamo a definire con i nostri comportamenti. E’ un paradosso di cui dobbiamo finalmente liberarci”.
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