La gloria
- Autore: Giuseppe Berto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2017
Fra i romanzi di Giuseppe Berto che Neri Pozza ha pubblicato o si appresta a pubblicare “per restituire all’apprezzamento dei lettori e della critica odierna l’opera di uno dei grandi autori del Novecento”, "La gloria" può essere considerato il testamento spirituale di quello che è stato definito anche lo “scrittore più tormentato e discusso” del suo tempo.
Se è possibile rintracciare, nella produzione di Giuseppe Berto, temi comuni che vanno al di là della riconoscibilità stilistica, questi sono indubbiamente la conflittualità con l’immagine paterna, il dolore e la presenza del male, un mistero che resta intatto e inviolato dal libro d’esordio, "Il cielo è rosso", passando per "Il Male oscuro", fino a "La gloria", a conclusione di una vita di ostinata e coraggiosa ricerca interiore.
La storia è quella, che tutti conosciamo, di un tradimento avvenuto più di duemila anni fa, ma che qui viene compiuto da un Giuda, giovane e impaziente, per amore e, soprattutto, in intima complicità con la vittima.
È Giuda stesso a raccontare le vicende di cui è stato testimone e che ha vissuto in prima persona, in un lungo monologo che diventa una sorta di arringa finalizzata alla sua riabilitazione, scritta con rara immaginazione storica e religiosa.
I tempi sembrano oramai maturi per l’avvento del Messia e con impazienza, Giuda cerca, sulla traccia di tanti improbabili profeti, qualche barlume di rivelazione:
Io, Giuda Iscariota, nato a Gerusalemme da padre mercante, cresciuto all’ombra del Tempio, istruito nella Legge e nelle Scritture, osservante delle norme e dei precetti, legato agli zeloti per cospirazione e fuggito dalla città santa per scampare alla croce, percorrevo le terre d’Israele ansioso che l’Eterno Adonai si manifestasse mostrandomi un segno della sua potenza, o della sua vanità.
Nell’interrogare l’Eterno, con animo dibattuto e sofferente, Giuda arriva persino a chiedere e a chiedersi se non è forse lui il Messia, il Re promesso, l’Unto, l’Atteso.
Ma durante il suo incontro con Giovanni il Battezzatore presso il Giordano, è un altro uomo, chiamato Rabbi dai suoi seguaci, ad essere indicato come il figlio di Dio.
I dubbi sono molti – del resto nessuno sa che cosa aspettarsi da chi è stato atteso con tanta ansia e confusione di idee –, ma nonostante tutto, Giuda decide di seguirlo:
Però quella sera che Ti seguivo mentre andavi verso il deserto con il Tuo scarso seguito non è che fossi del tutto incantato, continuavo a chiedermi se Tu fossi davvero l’Unto di andavo in cerca, o se soltanto avessi costruito dentro di Te quella splendida e tremenda convinzione di cui io non ero stato capace.
Accolto nel seguito di Gesù, per quanto non lietamente, con qualche perplessità, trascurato e odiato da Giovanni – sentimento per altro ricambiato –, Giuda rimane in disparte: si sente diverso, come in modo diverso interpreta i fatti narrati nelle Scritture dagli evangelisti.
Eppure quando Gesù avrà bisogno di morte, non mancherà di assolvere il proprio dovere:
Io, dunque, dei dodici di cui tanto s’è parlato, e si parla, fui il primo. Vero è che non fosti tu a chiamarmi con parola o sguardo o cenno, bensì io a offrirmi, tra incertezza e passione, tuttavia ostinato nel mio proposito, e Tu, non senza perplessità e ritrosia mi accettasti, e invero non era da tutti fare ciò che a me avresti chiesto di fare.
Le cose potevano andare o sono andate diversamente da come sono state raccontate?
Forse, Rabbi, se la Tua gloria fosse stata raggiunta, mi avresti riscattato dalla colpa di un tradimento che derivava – si può intendere – da origine e Scrittura. Le cose andarono diversamente, e la parte del traditore senza riscatto toccò a me, ma il modo come arrivai a tradirti nessuno lo considera, perché Giovanni, che tutto sapeva perché mai si staccò da Te in quegli ultimi giorni, raccontò le cose, ma non tutte onestamente.
E allora spetta a Giuda il compito di narrare i fatti così come sono accaduti, la disperata rassegnazione a fare qualsiasi cosa Gesù gli avrebbe comandato.
Si tratta di un Giuda così moderno da essere capace di vere e proprie analisi psicoanalitiche relative al rapporto con i genitori ed alle circostanze in cui è avvenuta la sua nascita.
Giuseppe, un umile falegname di Nazaret – che non era effettivamente padre di Gesù – doveva aver accettato con rassegnazione e malinconia l’avventura tanto straordinaria che gli era stata imposta: la sua frustrazione non poteva non ripercuotersi sui figli, facendo nascere facilmente complessi di inferiorità.
Sul fronte opposto, la vergine madre non aveva altra alternativa all’infuori di insistere sulla versione del concepimento per opera dello spirito, ed esultava per la scelta dell’Altissimo, il cui sguardo era stato rivolto su di lei. Il suo ripetere a Gesù che era il figlio vivente di Dio, non poteva non far nascere in lui un complesso di superiorità.
Infine, l’arrivo dei maghi dall’Oriente e la decisione di Erode di sopprimere tutti i bambini maschi dai due anni in giù e la fuga in Egitto: da questa strage di innocenti può essere nato un complesso di colpa, il pensiero che qualcuno dovesse pagare per una così misteriosa ingiustizia:
Comunque non c’è dubbio che i singolari casi riguardanti la Tua nascita e la Tua avventurosa sopravvivenza subito segnata dal sangue, ebbero peso sulla formazione della Tua struttura psichica: Ti ritrovasti diviso tra la lusinga di essere l’Unto proveniente dall’eternità dello spirito, e il presentimento di dover pagare per un prezzo che aveva vincolo con la morte. Fu il Tuo dramma fino alla fine, quando l’agonia si chiamò passione.
Alla fine, in Gesù e in Giuda ritroviamo la stessa profonda, drammatica quanto ostinata aspirazione alla realizzazione del proprio destino, ma con esiti opposti:
Morimmo press’a poco alla stessa ora, Tu crocifisso sul Golgota, io poco lontano, impiccandomi, dicono, ad un albero di fico – sarà poi vero che era un fico: è uno degli alberi meno adatti per impiccarsi – esemplificando un peccato – si chiama impenitenza finale – cui pare si debba negare misericordia. Ignominiosa conclusione.
Espressione dell’inesorabile legge di distruzione e di morte che domina il destino degli uomini, la vicenda di Giuda, così come viene narrata da Berto, va oltre sia la dimensione personale, sia la valenza simbolica – il male – attribuita dagli evangelisti Luca, Matteo e Marco: investe il destino di una gente, di un popolo, dell’umanità intera:
Così l’umanità è ancora qui, a penare tra dolore di vivere e angoscia di morire, ma tu sei chiamato Agnello di Dio, Redentore, Salvatore, mentre io porto un nome che vuol dire tradimento. Nella nostra vicenda, dove i manichei di tutti i tempi hanno trovato conforto, Tu sei la luce, io la tenebra: abbiamo confortato innumerevoli crudeltà ed ingiustizie.
Alla fine, a Giuda non resta che riconoscere Gesù come morte anziché come vita:
Molti secoli dopo, un giudeo americano, anche lui quanto basta tormentato, domandò a se stesso, e all’Eterno: qual è la filosofia della mia generazione? Trovò, spero con l’aiuto dell’Eterno, questa singolare risposta: “Non è che Dio è morto, un punto come questo è già stato sorpassato molto tempo fa. Forse bisognerebbe formularlo così: la morte è Dio.
Pagina dopo pagina viene documentato il percorso spirituale di Berto che, nell’atto stesso di scrivere "La gloria", procede specularmente parallelo a quello di Giuda.
Giuda comincia con l’amare Gesù, ma non crede ancora che egli sia il Messia, il Re promesso, l’Unto: la sua diventa fede proprio nel momento in cui lo tradisce.
Solo a questo punto raggiunge la piena consapevolezza della complicità con lui, necessaria perché il suo destino si compisse.
Pagina dopo pagina, la voce di Giuda viene “doppiata” da quella di Berto: Giuda parla di fatti avvenuti al tempo di Gesù, ma il lettore avverte anche la presenza di una voce moderna.
Al pensiero di Giuda, secondo cui l’avvento del Messia doverebbe significare liberazione dall’oppressione di Roma, si sovrappone la religiosità di un intellettuale che non crede più alla possibilità che il Regno di Dio possa attuarsi su questa terra, non crede al riscatto di un’umanità soggiogata dal bisogno, dalla fatica e dal dolore.
Quelle di Berto sono pagine drammatiche, sia per l’intensità poetica, sia per il complesso di sentimenti che suscita nel lettore – credente o laico.
Una rilettura originale delle Scritture e un punto di vista inedito dei fatti, analizzati anche alla luce di citazioni e riferimenti letterari, filosofici e psicoanalitici – da Friedrich Engels a Wilhelm Reich a Saul Bellow.
Incarnazione di un disagio esistenziale e di un disperato bisogno di trascendenza, la conflittuale dimensione del protagonista rappresenta per il lettore moderno non solo la presa di coscienza di una condizione, ma soprattutto il coraggio di accettarla.
La gloria
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