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Recensioni di libri

La figlia del peccato di Emily Gunnis

Garzanti, 2020 - Un romanzo d’esordio avvincente e struggente, che, sul solco di “Philomena”, riporta il lettore tra le atrocità delle “Case Magdalene”, gli istituti che per più di duecento anni hanno accolto ragazze orfane o giovani madri nubili e “immorali”, costringendole alla vergogna e al lavoro in lavanderia.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 30-03-2020

9

La figlia del peccato

La figlia del peccato

  • Autore: Emily Gunnis
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Garzanti
  • Anno di pubblicazione: 2020

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La figlia del peccato (Garzanti 2020, titolo originale The Girl in the Letter, traduzione di Elisabetta Valdrè) è il romanzo d’esordio dell’autrice inglese Emily Gunnis, la quale vive a Brighton, East Sussex, con il marito e le due figlie, e dopo la laurea in giornalismo ha lavorato come sceneggiatrice per la televisione.

“Non avendo alcuna speranza di riottenere la libertà né di trovare Rose, non ho più la forza di andare avanti. Ma tu, Elvira, puoi. Dalla tua cartella ho scoperto che hai una gemella di nome Kitty, che probabilmente non sa neppure che esisti, e che il cognome della tua famiglia è Cannon”.

Inghilterra, Sussex, febbraio 1959. All’interno delle mura del convento di Saint Margaret, ufficialmente casa di accoglienza per ragazze madri che qui si rifugiano per dare alla luce bambini destinati all’adozione, si trova Ivy. La giovane donna, che ha visto portare via sua figlia appena nata, tramite una lettera con allegata una chiave, passaporto per la libertà, incita la piccola Rachel, l’unica bambina cresciuta tra quelle mura, a fuggire da quel luogo di orrori e atrocità.
Tornano vividi i ricordi dell’arrivo, tanti mesi prima. La ragazza si rivede suonare la pesante campana all’ingresso, il ventre enorme che la faceva avanzare con goffaggine nel vialetto trascinando la valigia. Eccola varcare esitante la soglia di Saint Margaret per la prima volta, salire due alla volta e in fretta i gradini scricchiolanti, e in cima voltarsi indietro e immaginare di gridare alla ragazza che era stata un tempo di fuggire senza mai guardarsi indietro.

L’esistenza di Ivy, ormai sconvolta da questa esperienza devastante, e la sua tragica storia sarebbero rimaste inascoltate, se sessant’anni dopo Samantha, una giornalista, non avesse trovato per puro caso, in un vecchio armadio della nonna, una lettera, che conteneva una storia che il mondo doveva conoscere.

“12 settembre 1956. Amore mio, sono spaventata per non aver ricevuto tue notizie. Tutti i miei timori hanno trovato conferma. Sono incinta di tre mesi. È troppo tardi per fare qualsiasi cosa; è volontà di Dio che avremo un bambino”.

In questo romanzo d’esordio avvincente e struggente, che ha richiesto una grande documentazione tramite articoli, libri e film (tra cui Philomena di Stephen Frears, a sua volta tratto dal romanzo Philomena di Martin Sixmith, edizioni Piemme, 2016), l’autrice denuncia le Case Magdalene, istituti femminili retti da suore, che accoglievano le ragazze orfane, o ritenute “immorali” per via della loro condotta considerata peccaminosa o in contrasto con i pregiudizi della società benpensante irlandese. Operative in Irlanda dal 1765, fuorilegge dal 1978 (ma l’ultima ha chiuso solo nel 1996), nelle Case Magdalene, sono state rinchiuse trentamila donne nell’arco di due secoli.
Possiamo solo immaginare la grama esistenza di tante giovani donne di bassa estrazione sociale ritenute immorali, con il capo rasato, che lavavano i panni delle suore, dei privati e dei carcerati e che non ricevevano alcun salario.

Solo da alcuni anni le vicende delle Case Magdalene hanno cominciato a ricevere la giusta attenzione, tuttavia la maggioranza delle persone è ancora ignara del fatto che tali istituzioni siano esistite anche nel Regno Unito. Infatti, i ricoveri per ragazze madri comparvero per la prima volta in Inghilterra nel 1891. Nel 1968 esistevano complessivamente 172 case per ragazze madri, la maggior parte delle quali gestite da enti religiosi.
Precisa la scrittrice nelle note finali del libro:

“Molte giovani donne furono obbligate dai genitori o dagli assistenti sociali a cedere i bambini contro la loro volontà, e nel 1968 il numero di decreti di adozione promulgati in Inghilterra raggiunse il culmine: 16.164 in tutto”.

Gli abusi più frequenti in Irlanda non furono insoliti neanche nel Regno Unito, nessuno può negare che giovani madri nubili furono sottoposte a pressioni, affinché cedessero in adozione i loro bambini. Le ragazze, tenute all’oscuro dell’esistenza dei servizi di assistenza, degli aiuti economici e della possibilità di ottenere una sistemazione abitativa che avrebbero consentito loro di tenere i bambini, pensavano di non avere scelta. Ma non era così.

Se il convento di Saint Margaret è immaginario ed è la fusione di un buon numero di istituzioni e di vicende di cui Emily Gunnis è venuta a conoscenza durante la ricerca, è tragicamente reale il ritratto delle condizioni interne al ricovero. Sconvolgenti furono i maltrattamenti fisici e psicologici che le donne delle Case Magdalene furono costrette a sopportare per decenni. Nel Regno Unito vi sono ancora migliaia di donne che hanno ceduto i propri bambini e conservano quel segreto dentro di sé, perché provano tuttora il senso di vergogna su cui quelle istituzioni altamente remunerative contavano per funzionare.

Ma a pensarci bene, scrive la Gunnis, non furono le suore malvagie a rendere possibile il maltrattamento di migliaia di donne e bambini:

“furono le comunità allargate in cui vivevano quelle ragazze a permettere il perpetrarsi di simili atrocità: i genitori, gli zii, i medici, gli avvocati delle amministrazioni comunali e le istituzioni per l’adozione, tutti chiusero un occhio”.

Ecco, quindi, l’importanza di volumi come La figlia del peccato .

La figlia del peccato

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La figlia del peccato

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