La bellezza di Roma
- Autore: Raffaele La Capria
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2014
“La verità è che Roma è un luogo di passaggio, anzi un albergo in cui stai bene, da ospite, anche se non sei romano... è una città che non ti impone un’identità, non te la costruisce addosso”.
Il cuore di questo piccolo libro, che raccoglie sei testi scelti nei quali l’autore napoletano racconta Roma e le sue tante contraddizioni, è rappresentato dal dialogo che La Capria compie con Claudio Velardi dal titolo Communis patria. Conversazioni su Roma proveniente dal volume Un albergo a vita (Cronopio 1993).
“A Roma... sei un individuo in mezzo a tanti altri individui, e fai quello che ti pare, nessuno si cura di te”.
Nel 1950 un quasi trentenne La Capria (1922) era arrivato nella Città Eterna proveniente da Napoli “capitale delle Apparenze” perché voleva fare lo scrittore e aveva bisogno di un lavoro che gli permettesse di farlo. Se è vero che “si viene a Roma in cerca di lavoro, poi si trova un impiego” come diceva Ennio Flaiano, Dudù La Capria aveva trovato un posto alla Rai, perché per chi avesse vaghe aspirazioni letterarie “per pensare di realizzarle bisognava cominciare dai giornali, dall’editoria o dalla Rai”. In un’azienda già lottizzata, nella quale le persone non erano valutate per quello che valevano, lavoravano alcuni personaggi di valore come: Giuseppe Patroni Griffi, Fabiano Fabiani, Enzo Siciliano, Carlo Emilio Gadda, ecc... “però il vero potere era nelle mani di altri”. La Capria abitava in via Margutta, in pieno centro storico nel quale i luoghi d’incontro erano i ristoranti come Cesaretto in via della Croce o alcuni caffè come quelli di Piazza del Popolo oppure di via Veneto.
La Roma intellettuale degli anni Cinquanta era quella di Alberto Moravia (“amavo molto Moravia perché si poneva con gli altri in un rapporto paritario”), di Elsa Morante, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, “Pasolini, Bertolucci, Bassani, Garboli, Soldati... “, ma era soprattutto la Roma del Mondo di Mario Pannunzio (che presto avrebbe denunciato il sacco urbanistico) che rappresentava la cultura laica in un’epoca nella quale si scontravano la cultura cattolica e quella marxista in una città dove albergava quel “disincanto e quella strafottenza che è delle grandi capitali”. A La Capria, però, non interessava raccontare Roma (“mi interessava viverci”); lo scrittore e i suoi amici ritenevano che un film, un libro avrebbe potuto cambiare le cose, incidere sugli animi. Da qui la nascita di tanti film di denuncia ma “l’Italia di sempre non aveva nessuna voglia di cambiare”.
Nel frattempo erano arrivati gli anni Sessanta del boom economico annunciato da quel corteo di Fiat 600 fiammanti che erano sfilate in parata in via delle Botteghe Oscure nel ’57 o ’58 e che uno stupito La Capria osservava dalle finestre della Rai. Era stata la pellicola La dolce vita a segnare un momento di trapasso, di rottura. Il film funzionò come segnale ma accadde una sorta di grande rinnovamento in tutti i campi, artistico e letterario.
“La vita non fu più bella negli anni ’70” e gli anni ’80 furono “gli anni del post-terrorismo”.
Stupisce come una conversazione avvenuta ventuno anni fa, sia ancora così attuale, perché questa nostra metropoli dove “tutte le strade convergono e si ingorgano in una specie di follia simile al traffico del centro” resta “città scettica, désabusée”. “Ne ha viste tante per cui non crede più, non ha ideali...“. Roma per La Capria
“ha dimenticato di essere una vera Capitale, che sa dove indirizzare, energie, risorse, ha dimenticato che una Capitale ha anche una funzione di guida morale”.
Allora, cos’è oggi Roma? Cos’è diventata se nessuno ha saputo accogliere “la modesta proposta” dell’autore di Ferito a morte (Premio Strega 1061)?
“Esiste più Roma, la città che amo, o è solo un’altra città invisibile che devo disseppellire ogni giorno dal fondo del cuore?”.
Sì, esiste ancora come esiste la luce di certe mattine romane che ricorda un quadro che Corot dipinse qui, come esistono
“le mura arancioni illuminate di sole, le piazze con le statue grandiose nel gesto albicanti tra le solenni prospettive barocche, le antiche pietre col verde dei sempreverdi e lo scoppio degli oleandri intorno”.
Del resto questa nostra Urbe è “una città trasformista” come mi ha recentemente ricordato un dotto amico. È La grande bellezza di Roma che Jep Gambardella osserva dal suo terrazzo prospiciente il Colosseo o mentre passeggia sotto i bastioni del Tevere, visione magnifica che ha condotto la pellicola di Paolo Sorrentino a vincere durante la notte appena trascorsa l’Oscar come Miglior Film Straniero.
“Il cielo azzurro, esatta e chiara luce di Roma, me lo conferma anche oggi, nel nitore di questo mattino invernale. Questa Roma ancora esiste, irresistibile: ma per quanto?”.
La bellezza di Roma
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