

In occasione dell’anniversario della nascita di Honoré de Balzac, avvenuta il 20 maggio 1799, vi presentiamo la trilogia Illusioni perdute, che Proust considerava il frutto migliore della “Commedia umana”.
Il titolo Illusioni perdute raccoglie tre romanzi brevi:
- I due poeti del 1837,
- Un grand’uomo di provincia a Parigi del 1839,
- Le sofferenze di un inventore del 1843 – conosciuto anche come Eva e David.
Formano un unico blocco narrativo con personaggi ricorrenti a stabilire una linea di continuità, inserito nella sezione Scene della vita di provincia della Commedia umana.
“Commedia umana”: storia e temi del progetto di Honoré de Balzac
Il progetto Commedia umana, il cui titolo riecheggia l’impresa dantesca in chiave terrena, prevedeva un ciclo di 120 romanzi, ma, malgrado il suo leggendario furor scribendi, l’autore riuscì a pubblicarne 90. L’obiettivo era quello di tratteggiare un affresco completo della società contemporanea, quella della Restaurazione seguita alla caduta del Bonaparte, nella molteplicità delle sua sfaccettature antropologiche e ambientali, legate dal determinismo teorizzato da Ètienne Geoffroy Sain-Hilaire (1772-1844), considerato il fondatore dell’anatomia comparata, che seguì Napoleone nella spedizione in Egitto in veste di naturalista.
leggi anche
I volti della Commedia Umana di Honoré de Balzac

Forse nessuno è riuscito come Balzac a rappresentare la borghesia del primo Ottocento incrociando il linguaggio della sociologia con quello della letteratura. È una borghesia che sottomette valori e affetti al denaro, unico epicentro dell’universo balzachiano anche quando sembra un tema marginale.
Quanto è anacronistico il cliché dell’avaro plautino che, arricchendosi, non vuole migliorare tenore di vita, ma soddisfare un attaccamento morboso ai soldi o alla roba, idolo di un’adorazione costante che diventa schiavitù di possesso, perché il denaro lo nasconde, tesaurizza, controlla, con un bisogno quasi fisico di toccarlo.
Nel corso dell’Ottocento l’avarizia cessa di essere una stortura psicologica o morale per diventare ideale, cultura, etica, quella che trasforma l’avaro plautino in un imprenditore di successo alla mastro don Gesualdo o alla Félix Grandet di Balzac, il primo grande speculatore della letteratura che moltiplica la ricchezza sul mercato azionario dove il denaro perde la sua materialità.


Link affiliato
Lo stesso Balzac rimase incastrato tutta la vita sul problema - soldi, tra necessità di scrivere, attesa di essere remunerato, spese folli alternate a ristrettezze impensabili. Se questo aspetto vi interessa c’è la puntuale biografia di Stefan Zweig a fare luce su una personalità straripante forse riconducibile a un disturbo bipolare: pensiero grandioso, iperattività, tendenze depressive e mani bucate.
La Commedia umana fu un lavoro enciclopedico, uno sforzo titanico che minò la salute dell’autore consumato da un esaurimento fisico e nervoso ad appena 51 anni, secondo la ricostruzione di Zweig.
Illusioni perdute di Honoré de Balzac: trama e analisi


Link affiliato
I due poeti dell’omonimo romanzo sono David Séchard, impegnato nella tipografia paterna nella cittadina di Angoulême dopo aver accantonato le sue aspirazioni letterarie, e Lucien Chardon, ambizioso figlio del farmacista locale: le illusioni perdute sono in gran parte le sue. Questi, grazie all’avvenenza e alle doti letterarie, fa il grande salto nell’alta società cittadina conquistando il cuore di Madame de Bargeton, una nobildonna con velleità intellettuali che si sente una novella Laura petrarchesca accanto al giovane poeta. Purtroppo lo scandalo suscitato dalla relazione spinge la donna a rifugiarsi da una parente a Parigi e Lucien la segue.
Altro che grand’uomo! Agli occhi dei parigini Lucien è un provinciale goffo, ridicolo e la storia d’amore comincia a scricchiolare. La donna si vergogna di avere per amante un piccolo borghese figlio del farmacista.
Lucien freme per sfondare nell’olimpo delle lettere, ma le sue liriche e un romanzo storico non vengono pubblicati. Si piega anche ad adottare il nome da nubile della madre “de Rubempré” dal suono più aristocratico, ma l’espediente non ha fortuna, diversamente da quanto accadrà al Vate qualche decennio dopo. Sapevate che si chiamava Rapagnetta perché D’Annunzio era il cognome dello zio? Per la precisione suo padre Rapagnetta nel 1851 fu adottato dallo zio D’Annunzio e così il nuovo cognome fu trasmesso ai figli.
Il povero Lucien troverà all’improvviso successo, fama e ricchezza nel giornalismo, disposto com’è a mettere la sua penna al servizio del miglior offerente con recensioni fin troppo generose e compiacenti.
La sua ascesa in questo settore che dura quanto una meteora offre a Balzac l’occasione per denunciare la mercificazione dell’ingegno, della vis creativa, della dignità e quanto giornalismo, editoria, teatro siano diventati terreno di scontro per lotte senza scrupoli che metteranno il giovane al tappeto. Infatti se è moralmente disposto a scendere a compromessi pur di emergere, Lucien non è altrettanto scaltro e si fa raggirare facilmente. Così senza un soldo, avvilito per la morte di una giovane attrice con cui ha avuto una relazione appassionata, torna a casa con la coda tra le gambe. A questo punto si chiude l’avventura di un grand’uomo di provincia a Parigi.
Entra in scena David (ricordate il figlio del tipografo?). Felicemente sposato con la sorella di Lucien, ha messo a punto un nuovo procedimento per fabbricare carta di qualità a costi concorrenziali che potrebbe fare la sua fortuna. Anche lui cade vittima dei maneggi di una grossa azienda che lo gettano sul lastrico, costringendolo a nascondersi per sfuggire ai creditori. L’epilogo è un fuoco d’artificio di colpi di scena e forti passioni. Basti dire che David viene arrestato per colpa della leggerezza di Lucien e che Lucien si fa abbindolare da un truffatore. Alla fine sarà David a non farsi sconfiggere dalla vita e da ambizioni mal riposte. Anche se la concorrenza gli ha rubato l’invenzione, grazie all’eredità paterna vive sereno e senza preoccupazioni economiche in campagna con la sua famiglia. E Lucien? Lo ritroveremo nel romanzo Splendori e miserie delle cortigiane dove conclude con il suicidio la sua vita fallimentare.
Come Julien Sorel de Il rosso e il nero di Stendhal, Lucien è pieno di ideali e di ambizione ma, non avendo lo stesso carattere energico ed eroico, continua a perdersi in un mondo che lo fagocita approfittando della sua debolezza e suggestionabilità, dell’incapacità a soppesare i pro e i contro di un progetto, accecato com’è dal miraggio di sfondare. Si adegua al mondo del giornalismo, che gli ripugna, perché l’ansia del successo gli fa dimenticare ogni umiliazione e le tante porte sbattute in faccia. La sua assomiglia a una discesa agli inferi nella vita culturale parigina dove intelligenza, arte, creatività, amor proprio sono asserviti al denaro e le figure che lo accompagnano sembrano degli antivirgilio pronti a corromperlo. Balzac è molto critico verso il suo eroe che non è artefice del suo destino e della sua rovina, perché si fa manipolare dalla legge di mercato che con la stessa facilità ti dà la gloria, ti stritola, ti dimentica, ti rigetta come un corpo estraneo.
In chiusura vi siete mai chiesti la ragione della grande ammirazione per la sua produzione da parte di Marx, Engel e la critica marxista capeggiata da Lukács? Per la centralità del denaro, molla di una borghesia di cui Balzac fa a pezzi la logica economica, assurta a etica del capitale. Non va dimenticato che il Nostro – legittimista, cattolico, monarchico ossia reazionario – non può riconoscersi nei valori della Francia di Luigi Filippo caratterizzata dal trionfo della borghesia, dal decollo economico e dalla rivoluzione industriale.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Illusioni perdute” di Honoré de Balzac: analisi della trilogia più nota della “Commedia umana”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Honoré De Balzac Storia della letteratura News Libri
Lascia il tuo commento