Il coraggio di Bradamante e altre storie
- Autore: Flavia Catena
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Edita nel 2024 dalla casa editrice Kalòs di Palermo, Il coraggio di Bradamante e altre storie di Flavia Catena è un’opera dalle avvincenti plurime valenze.
Già il titolo si riferisce a un immaginario personaggio femminile di cui era stato scritto nei poemi cavallereschi di Matteo Maria Boiardo (Orlando innamorato) e di Ludovico Ariosto (Orlando furioso): la coraggiosa, intelligente Bradamante, sorella di Rinaldo, del ciclo carolingio e della casata di Chiaramonte, rappresentata dalla letteratura rinascimentale italiana che secondo alcuni critici ha attinto al mito classico delle Amazzoni.
Diamone appena qualche cenno per inquadrare le strutture conoscitive del libro in esame da cui affiora un’invenzione sostenuta da coinvolgenti brani desunti, a mo’ di preambolo introduttivo, dagli scritti del noto demologo palermitano, il medico Giuseppe Pitrè.
Nell’Orlando innamorato, Bradamante è paladina di Francia che, in difesa di Parigi, si scontra con il re di Algieri, ed è una guerriera con abilità tradizionalmente appartenute al mondo degli uomini nonché una donna bella, i cui tratti sembrano riferirsi al canone stilnovistico. Innamorata, manifesta sentimenti, integrando la complessità psicologica del maschile e del femminile.
Nell’Orlando furioso il tono fiabesco si intreccia con quello cavalleresco. Lei sfida a duello il mago Atlante che tiene prigioniero Ruggero e riesce ad avere la meglio grazie all’anello magico che, già di Angelica, lei aveva rubato a Brunello. Le astuzie di Atlante hanno il sopravvento: lo fa rapire dall’ippogrifo che lo conduce lontano, mentre Bradamante viene rinchiusa nel secondo palazzo di Atlante. Amone, padre di Bradamante, si dichiara contrario al matrimonio tra lei e Ruggero, ma la scaltra figlia convince Carlo Magno a indire un torneo: lei si darà in sposa solo a chi saprà resistere in duello dall’alba al tramonto ed è alla fine di tortuosi accadimenti che i due innamorati riescono a sposarsi.
Servendosi del nome di Bradamante, l’autrice, costruisce il primo dei tredici racconti che compongono la sua opera, mossa dalla passione per il “cuntu” siciliano, la cui prima raccolta di fiabe venne edita nel 1870 in Germania col titolo Sicilianische Marchen (preceduta dalla raccolta catanese del 1845 Aneddoti raccontati dal cavaliere Agatino Longo). Autrice ne era Laura Gonzenbach, nata e vissuta per lungo tempo a Messina. La traduzione in tedesco dei racconti raccolti a Messina e in alcuni paesini etnei dalla viva voce di alcune narratrici di cui non si hanno notizie (nome e cognome, età, professione, località d’appartenenza) mancò, tuttavia, dei testi nel dialetto originario.
Di ciò era stato consapevole Giuseppe Pitrè che non aveva condiviso la traduzione in lingua del dialetto né tanto meno l’alterazione del materiale originale. Animato dalle sue convinzioni grafiche e filologiche, oltre che dalla considerazione del folclore siciliano come una delle manifestazioni essenziali della storia dell’Isola, dopo la prima edizione dei Canti popolari siciliani raccolti e illustrati (1871) si avviò alla raccolta di fiabe e novelle, trascritte nel più scrupoloso rispetto della pronuncia dei parlanti in cui, a suo dire, si traducevano anche la loro umanità e sensibilità dall’inconfondibile fisionomia etnica e linguistica oltre che stilistica.
All’opera, costituita di quattro volumi ed edita nel 1875 col titolo di Fiabe Novelle e racconti del popolo siciliano, seguirono altre pubblicazioni su fiabe e leggende siciliane che confluirono nella monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, portata da lui a compimento in meno d’un cinquantennio (1871-1913) grazie anche al contributo di numerosi e valenti collaboratori: una raccolta del folclore siciliano in 25 volumi con varie sezioni dedicate ai canti popolari, ai racconti, ai proverbi, alle leggende, ai giochi, ai costumi, ecc. e condotte con rigorosa scientificità. Veniva così a configurarsi in un ampio affresco la narrazione della vita popolare connotata da usi e costumi, da credenze e pregiudizi.
Si potrebbe ora dire che il gusto, la limpida vivacità e l’elegante spigliatezza del raccontare si ritrovano nelle seducenti storie di Flavia Catena, in cui l’estro poetico e immaginativo brillano di luce propria.
La prima, che intitola il libro, si rifa ad un procedimento memorialistico che colloca in primo piano la figura paterna: un raccontastorie, un puparo che come un mago nel suo laboratorio animava i personaggi che nutrivano pure l’immaginazione della piccola figlia di nome Letizia. Si trova nel racconto una sorta di iniziazione alla vita che avviene in un processo d’identificazione tra lei e Bradamante. Nella casa di zia Felicia, nei pressi di Cefalù, avviene poi la sua scoperta dell’Orlando Furioso e, al ritorno a Palermo, ritrova le sue marionette. Ecco allora il suo ingresso nella fase di progettazione:
In pochi mesi, imparai a cucire per dare a Bradamante un abito nuovo, a dipingere per riempire gli occhi senza colore di Ruggero, a incidere il legno per mettere il cuore di Angelica al suo posto. Mi costruii un teatrino con la carta strappata ai vecchi diari, ai libri tirati fuori dalle macerie. Il tempo che non trascorrevo a disegnare fondali, lo impiegavo scrivendo su un quaderno senza copertina. Monologhi, dialoghi, racconti, fiabe: erano tante le storie che mio padre, quello rimasto sulla luna, mi aveva ispirato.
Di quella Bradamante si era segretamente innamorata e nel suo percorso esistenziale era diventata tutti i personaggi della coscienza onirica: Orgando, Ruggero, Marfisa, Morgana, nonché suo padre che le restituisce “tutte le belle cose perdute”.
Il racconto avvolge nel lessico scelto, è colmo di palpiti ed è la delicatezza dei sentimenti ad avere la meglio in una scrittura tra magici incanti e sempre sul filo della creatività. L’autrice si rivela come l’alchimista che agisce con leggerezza e serenità, rendendo duttile la materia trattata in un susseguirsi sbrigliato e volatile di episodi in costante trattativa con l’immaginazione. Sicché il racconto apre le proprie diramazioni in un territorio dove i riferimenti di spazio e tempo sono musicali con quello straniamento di percorsi insoliti da cui emana una luce pressoché astrale. Ecco che alla fine i fatti raccontati diventano uno spettacolo di Pupi: teatro in cui le marionette, quasi proustianamente, rappresentano il ritrovamento di tutte le belle cose perdute.
Per Flavia Catena è sempre la memoria come ritrovamento e consapevolezza di vissuti a fare da filo conduttore. Memoria la sua non solo personale, ma anche collettiva e generazionale. Difatti, oltre l’epifania di un’anima, echeggia lo spiritismo presente nella cultura siciliana mentre il sentimento della natura coesiste insieme con quello dell’amore e della morte. Di lettura in lettura è l’emozionalità a plasmare la sfera affettiva dei ricordi e dei sogni che si srotolano “come una pergamena sacra”, nonché lo scenario d’antiche credenze di anime che, attraversando la lunga scala della via lattea, vanno verso la luce, liberandosi da nostalgie e tristezze terrene.
È una sorta di “altrove siciliano” il cui enigma infinito è stato colto da Bonaviri in modo straordinario, un desiderio d’invisibile a metà fra oscurità e inesauribile vita che, colta nelle vivide rimembranze della speranza, viene fuori dalle delicate pagine del racconto La processione delle braci in cui tutto viaggia nel soffice velo d’una metafisica complicità espressa nel "Sono qui".
È sempre la favola ad essere fonte di frizzante invenzione, sorgente di levitazioni esistenziali: favola trepidamente attesa quando le bambine aspettavano gioiose il sabato mattina per l’ascolto della narratrice di turno.
Persino le racconta-favole cedevano alla gioia dell’improvvisazione e finivano per godere della propria fantasia tanto quanto ne godeva il loro pubblico.
In sintesi, si vuole ulteriormente sottolineare che ci si trova di fronte a un esempio, ben riuscito, di quella letteratura appartenente al meraviglioso e al fantastico: un viaggio pluridirezionale nel mistero della vita che si vorrebbe trasparente in modo che il tempo, pur scorrendo su di noi, non ci consumi. Così scrive Flavia Catena in una sorta di epilogo:
Tra le parole di Giuseppe Pitrè, avevo ritrovato ricordi di bambina che credevo perduti: la tenda aperta dallo scirocco di luglio, mia nonna seduta sulla poltrona di fianco al letto, le sue mani intrecciate a un rosario […] Incuriosita dall’opera del Pitrè, ho iniziato a trascorrere la sera e i fine settimana leggendo e ricopiando su un quaderno i passaggi più interessanti della sua “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”. Ad appassionarmi erano soprattutto le tante tradizioni di cui, pur essendo siciliana, non avevo mai sentito parlare […]. È così che ho scoperto una Sicilia ancora più variegata, eclettica, frizzante e oscura di quella che conoscevo.
Per quanto mi riguarda, io mi sono sentito subito introdotto nella dimensione della mia infanzia con la rapidità della luce; mi sono lasciato avvolgere da un’atmosfera ludica e onirica e, risucchiato nel mistero del tempo, ho rincorso nell’inconscio giochi, desideri, avventure e anche il canto ammaliante e rigeneratore del mare, che ho conosciuto bambino in compagnia della mano paterna e dove il mistero si concentra nell’Essere parmenideo e nel divenire eracliteo.
Pare che la scrittrice l’abbia evocato per me quel suo brano: mi pare questa la risposta alla mia ricerca del suo e del mio mondo. D’altro canto nella testimonianza pitreiana era stato il mare, un Gange purificatore, nella notte dell’Ascensione e in quella di S. Giovanni, di cui ha parlato Vincenzo Consolo nel romanzo Nottetempo casa per casa.
E in proposito Flavia Catena mostra la sua bravura dialogica e descrittiva nella costruzione del suo bel racconto Il bagno miracoloso, così chiamato per la convinzione di una guarigione da certe malattie ottenuta nell’immersione dell’acqua marina di uomini e animali. Un tentativo di certo superstizioso con il soprannaturale e anche un sincero afflato religioso, come dimostra negli angoli di chiese la presenza degli ex voto per grazia ricevuta a prescindere da fortuite coincidenze o meno.
Il decimo racconto è intitolato La nuova santa e già attorno a Santa Rosalia la folla grida al miracolo, pur restando Sant’Agata la protettrice della Kalsa e S. Cristina la patrona del rione l’Albergaria unitamente ad altre due di altri quartieri palermitani. La loro occupazione principale è il darsi da fare per soddisfare le suppliche dei fedeli, dando così una risposta positiva a ogni esigenza personale.
Il contesto, disegnato con arte, risulta vivacemente visionario e dal coro si stacca l’anima della piccola Rosa: popolana a differenza delle sante rese tali da secolare tradizione e che ora temono di essere messe da parte, considerati i successi da costei ottenuti. Da qui l’incontro delle quattro protettrici con Santa Rosalia per chiederle consigli. A lasciare quasi increduli è la riscoperta di cento e più usanze entro la semplicità della religiosità popolare ritmata da insistenti preghiere, entro un magismo popolato di streghe, fantasmi ed anime sfuggenti alle mere leggi naturali.
Tutta la mia infanzia, potrei dire, fu alimentata da quel teatrino favolistico della memoria che ha avuto una parte importante per il fondersi della vita con il cielo, per la connotazione del paese-cosmo in un processo fantastico-fisico/metafisico che svia il senso reale delle cose e scardina la conoscenza razionale. Siamo nella storia Il lamento di un’anima decollata, attraversata da arcane relazioni e ricca di colpi di scena a partire dalla confessione di una condannata al patibolo per aver commesso il solo peccato d’essere stata donna. È dopo la sua morte che si prende cura dei vivi ed è ricco di fotogrammi la mitologia astrale che rende palpitante la comunione dei vivi coi morti. Così rientra la memoria siciliana in un territorio quasi immateriale, in una mappa di forze psichiche in cui si espande la più autentica partecipazione popolare. Ben precisi i protocolli rituali da rispettare: “Pari la zita di lu macadauru” scrive Pitrè a proposito delle nozze in Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano (vol. II, pp. 79-80). E spiega che la frase proverbiale sta a significare il comportamento della sposa che, elegantemente vestita, non accenna minimamente a mutare di posa, scambiando raramente qualche parola, durante le ore del ricevimento nuziale che si svolge secondo un rigoroso cerimoniale.
Non a caso il racconto, oscillante tra l’umorismo e le voci conviviali, tra l’ironico e il grottesco che si sostituiscono al fantastico-espressionista, s’intitola Compostezza: la narrante, che usa il tempo presente per pendere più partecipato il contesto, scende nel segreto dei costumi, esplora gli intrecci tra festa e teatro e mostra in pagine certamente fra le più tenere e suggestive, una divertita rappresentazione d’una realtà familiare quasi vissuta in modo leggendario nel segno e nel gusto della verità oltre le apparenze, emergendo in definitiva un’amabile requisitoria contro la grettezza.
In ogni caso, Il coraggio di Bradamante e altre storie di Flavia Catena è una lettura che amo raccomandare caldamente per le tante sorprese dell’arcaica sicilianità in cui si riflette il dramma del vivere e che regala attimi di serenità, nonché la gioia derivante da una scrittura tersa e anche poetica nella reinvenzione di una favola cosmica che affascina per la purezza della parola che contorna e dipinge, per l’infinita libertà d’immaginazione che diventa guizzo folgorante, funzione dinamica dello psichismo umano.
Il coraggio di Bradamante e altre storie (Fili e trame)
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Ringrazio il signor Guastella per la lettura attenta e la bella recensione scritta sul mio libro!