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Recensioni di libri

I Buddenbrook di Thomas Mann

Thomas Mann dà vita ad uno snodarsi di episodi che rendono questa famiglia immortale anche se muore.

Viviana Veneruso Pubblicato il 23-09-2015

4

I Buddenbrook

I Buddenbrook

  • Autore: Thomas Mann
  • Categoria: Narrativa Straniera

Riflettendo approfonditamente, il lettore può accorgersi di come il vero protagonista del romanzo I Buddenbrook non sia il capostipite della famiglia, morto in una delle parti iniziali e non conosciuto a fondo dai lettori, né dai suoi due eventuali successori, che si preoccupano del destino della famiglia nel suo rimanere onorevole, famosa e ricca. Secondo il mio parere, il vero protagonista del romanzo è il tempo.
Tutto ciò che accade nel romanzo sembra destinato (o condannato) a ripetersi, in un ciclo che a qualche personaggio sta stretto, rivelando la mediocrità di una vita che egli alla fine non ha avuto l’energia per costruire come avrebbe voluto –in maniera tale da farla immortale e indimenticabile. Ciò che è stato è ancora e sarà sempre; anche i ricordi che in continuazione tornano prepotentemente a fare capolino nei discorsi nostalgici confermano un instancabile rifarsi al passato che talvolta testimonia un progresso mutilato o –a quanto si potrebbe ipotizzare- mai avvenuto. Non ci si muove, anche se gli anni passano, anche se i membri della famiglia muoiono. Ci sarà qualcuno a comportarsi come il tempo, o la notorietà, la buona società, la famiglia si aspetterebbe da lui.
Il ceppo familiare dal quale tutti questi personaggi discendono diventa, ad un certo punto, una soffocante imposizione a cui nessuno di loro può sottrarsi; il tutto, però, non viene percepito in maniera così pesante e claustrofobica così come la mia interpretazione vuole vederlo.
Troneggia un fatalismo che ribadisce l’inevitabilità forzata di tutto ciò che accade, un declino che non avrebbe potuto essere previsto, né inibito o evitato in nessun modo. Perché avviene. La famiglia deve abbandonare l’aura di fortuna nella quale si stava crogiolando e piano si deve abituare alla degenerazione di ciò che si è stato. Il lettore percepisce davvero una sorta di mano gigantesca ed invisibile che gestisce il tutto e mai si domanda se effettivamente potesse andare diversamente, perché è andata così. Lo sguardo altalena nel cercare al di là dei personaggi e la loro caratterizzazione chiara le ragioni che li spingono ad essere tali e gli episodi nella vita che hanno insegnato loro come comportarsi.

Il personaggio in cui meglio e più approfonditamente l’autore ci introduce, riportando spesso quelli che sono i suoi flussi di coscienza, stanchi e avviliti dalla vita –di cui egli sente il culmine solo vicino ai suoi quaranta-, è Thomas Buddenbrook. Egli stesso si definisce un uomo da oltre seicentomila marchi, quantificando una fortuna che tuttavia non riesce a sentire come soddisfacente, perché la sua vita diventa una continua farsa ed egli respira costantemente schiacciato dall’attività che vorrebbe energicamente portare avanti ma che in realtà percepisce come una forzatura. La sua operosità è la cura che si sceglie alla vita, per la vita. Così come suo figlio, il piccolo Johann –in famiglia soprannominato più spesso Hanno- si pone come obiettivo della vita quello di trovare un rimedio alla stessa. Uscire da se stesso è probabilmente quello che vorrebbe quando il suo sguardo timido, esitante e basso fa di tutto per evitare quello rude e accusatorio del padre, che costantemente gli ricorda di volerlo come non è e non sarà mai. Le imposizioni diventano catene, unici modi per soddisfare gli altri –che siano genitori, parenti pungenti e invidiosi, o aspettative di estranei che tuttavia nell’alta società contano- e per inchiodarsi per sempre ad un’infelicità che si impara a conoscere e con la quale, tutt’al più, si può convivere. L’aspettativa che maggiormente pesa, ad esempio, sulla protagonista femminile –se così la si può definire dimenticando per un momento che il ritratto di Mann è piuttosto un dipinto corale, polifonico, di una famiglia e del dinamismo con cui essa cresce, si evolve e muore nel tempo- è quella che la lega alla percezione che gli altri possono registrare di lei, in relazione ai cliché tipici dell’epoca. Proprio lei, così affezionata alla forma, alla benevolenza degli altri, all’invidia che essi potessero provare nei confronti della sua agiatezza, si ritrova a naufragare così spesso nel fallimento di matrimoni con uomini che provano a ledere il suo orgoglio –la caratteristica secondo me più affascinante di un personaggio che ho trovato sostanzialmente negativo. Perché la maggior parte dei personaggi che ho effettivamente incontrato muoversi e dimenarsi, per poi risolversi infelici, mi sono apparsi come essenzialmente negativi, tutti troppo ancorati a valori inesistenti, come la fama o il desiderio immotivato di eguagliare gli avi, o ancora il bigottismo (mascherato castamente da spirito religioso, ma in verità morboso e ossessivo). Tuttavia, nonostante queste critiche pungenti che vanno a smontare l’eventuale ammirazione che si potrebbe provare nei confronti dei personaggi, Mann fa sì che nessuno di essi venga condannato, né dalle circostanze, né dalla narrazione dolcemente impersonale, né dal lettore stesso, che prende nota di quei fallimenti e di quelle stravaganze trovandole al contempo facilmente perdonabili. Il sorriso bonario abbraccia tutte le vicende, che mai fanno scaturire in chi vi assiste un rude o intollerante commento, anche verso la scelta più stupida, o superficiale, o insana. Tutto sembra giustificato da qualcosa di più grande che è il valore assoluto di un’epoca che impone le proprie leggi e le fa rispettare. Il cammino nel corso del tempo si snoda dall’inizio del secolo fino a sfociare quasi nel ‘900, nominando soltanto i cambiamenti storici che esplodono durante quel lasso temporale; come se la storia fosse soltanto un contorno rumoroso, molto lontano dalla bolla esistenziale invalicabile in cui la famiglia Buddenbrook vive e cambia.

Il personaggio più interessante che fino ad ora –a parer mio- ha solcato le pagine che ho attraversato, è lo stravagante ed enigmatico fratello di Thomas, Christian. Gli aggettivi negativi con cui lo si potrebbe tratteggiare sono probabilmente infiniti: irresponsabile, pigro, scansafatiche, ipocondriaco… ma la sua personalità non si esaurisce nei suoi difetti, perché ha mille volti e risvolti. Egli è anche acutamente riflessivo, critico, dal senso dell’umorismo ineguagliabile, dalle passioni vivide. Molto prolisso nel descrivere i suoi sentimenti, ma nonostante questo, nessuno pare capirlo veramente. Tutti i membri della sua famiglia lo zittiscono in maniera brusca e annoiata, nell’ascoltare le sue solite, strascicate chiacchiere sui suoi immaginari dolori –che tuttavia in un’occasione lo bloccano addirittura in ospedale- e le sue perdite di tempo poco costruttive in giro per il mondo. Egli prova a spiegarsi, ma le sue parole non vengono ascoltate e dubito perfino che potessero venir capite. Io, per esempio, continuo a guardare a lui come un personaggio incomprensibile che tuttavia ha tantissimo da comunicare, anche se viene bollato dalla sua famiglia come un ozioso fallito. Il suo fallimento deriva però da un continuo, dinamico e tenace spostarsi, muoversi, cercare un posto dove stare e starci bene –che fosse geografico o di lavoro, un teatro o una città, un ruolo in un’azienda o un passatempo. Anche se la sua ricerca e il suo tentativo di autorealizzazione in conclusione falliscono, egli ci prova. Faticosamente e speranzosamente, prova ad diventare diverso, se stesso. Gli altri non considerano nemmeno la possibilità che effettivamente questo possa accadere, inchiodati come sono nel parametro a cui credono di dover ubbidire.
Christian è, secondo me, il personaggio che potrebbe raccontare a tutti la sua verità, perché le sue chiacchiere inutili potrebbero svelare segreti sulla vita, come se lui l’avesse capita. Solo che non si fa davvero capire, e nessuno lo ascolta.

In poche parole, Thomas Mann dà vita ad uno snodarsi di episodi che rendono questa famiglia immortale anche se muore, anche se il baratro la attende e tutto sopraggiunge in maniera così fatale ed inevitabile che essa pare non riuscire a salvarsi.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I Buddenbrook

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