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Storia della letteratura

Giosuè Carducci: vita, opere e poetica

La vita, le opere e la poetica di Giosuè Carducci consentono di coglierne i tratti fondamentali e le tensioni che animarono le sue raccolte poetiche.

Simone Casavecchia
Simone Casavecchia Pubblicato il 26-03-2017

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Giosuè Carducci: vita, opere e poetica

Tra i principali poeti dell’Italia moderna e contemporanea un ruolo di primo piano spetta sicuramente a Giosuè Carducci. La sua vita, le sue opere e la sua poetica mostrano quanto importante possa essere stato il ruolo della letteratura e della poesia nella costituzione dello stato unitario e nell’elaborazione dei suoi valori.

Approfondire la vita, le opere e la poetica di Giosuè Carducci è anche l’occasione per cogliere interessanti interconnessioni e contrapposizioni con autori e movimenti letterari e ideologici a lui contemporanei: ciò può costituire il punto di partenza per la stesura di una tesina da discutere durante la prova orale dell’esame di maturità o da presentare a un esame universitario.

La vita di Giosuè Carducci

Carducci nacque il 27 luglio 1835 a Valdicastello nei pressi di Pietrasanta (Lucca) da padre medico e carbonaro. L’infanzia di Carducci è segnata dalla solitudine e dal contatto con la natura selvaggia della Maremma, l’unica educazione che ebbe fu quella ricevuta dal padre, in particolare al latino e ai Promessi Sposi, e quella che si costruì da autodidatta.

Studiò a Firenze, presso il collegio dei Padri Scolopi; nel 1853 conseguì la laurea in Filologia e Filosofia nel 1853, alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Nello stesso anno fondò la Società degli Amici Pedanti, improntata al culto letterario della classicità, insieme a Giuseppe Chiarini e ad altri amici.

Nel 1857 il fratello Dante morì suicida; il padre morì l’anno successivo. Carducci si ritrovò in difficili condizioni economiche, costretto a provvedere al sostentamento della madre e del fratello Valfredo, perché la cattedra di professore al ginnasio di S. Miniato gli fu revocata per condotta immorale e irreligiosa.
Nel 1859 sposò la cugina Elvira Menicucci, dalla quale ebbe quattro figli. L’anno successivo fu nominato, professore, prima di Eloquenza, poi di Letteratura Italiana all’Università di Bologna. Lesse scrittori illuministi e repubblicani come Voltaire, Michelet, Quinet, e poeti laici come Heine; aderì a un giacobinismo ateo e anticlericale.
Nel 1870 la morte della madre e del figlioletto Dante lo gettarono in una profonda depressione dalla quale si risollevò grazie alla relazione con Carolina Cristofori Piva, morta nel 1881.

Nel 1876 fu eletto deputato repubblicano nel collegio di Lugo, ma non entrò in Parlamento. Nel 1878 incontrò a Bologna i reali d’Italia, evento che lo avvicinò alla monarchia e lo portò a candidarsi, per due volte, come deputato monarchico. Questa scelta che fu criticata come un’incoerenza: è comprensibile, considerando la sua adesione al repubblicanesimo e l’adesione all’ideale politico patriottico. Quando Carducci ritenne che la monarchia non volesse né sapesse compiere l’unità d’Italia la avversò, dopo il 1870, invece, ne avvertì la necessità storica e per questo la supportò.

Con la pubblicazione delle Rime Nuove nel 1883 conquistò la fama di poeta nazionale e diventò un punto di riferimento insostituibile per le vicende culturali e politiche italiane.
Nel 1890 fu nominato senatore a vita. Nel 1891 Carducci si calò completamente nel ruolo di poeta nazionale, dichiarando apertamente il suo credo politico e ideologico (nel quale si intrecciavano sentimento patriottico, forza, schiettezza e classicismo).
Nel biennio 1894-1895 sostenne la politica coloniale di Francesco Crispi, anche attraverso la composizione di numerose odi che celebravano la storia italiana dal Medioevo fino ai suoi giorni, poi raccolte in Rime e Ritmi (1899).
Nel 1906 la sua fama, ormai mondiale, gli valse il premio Nobel per la letteratura.
Morì a Bologna il 16 febbraio 1907, all’età di settantadue anni, sconfitto dalla cirrosi epatica.

Le opere di Giosuè Carducci

Giosuè Carducci che si professa scudiero dei Classici, esordisce con le raccolte poetiche Iuvenilia (1850-60) e Levia Gravia (1861-71). Questa seconda raccolta si conclude con l’inno A Satana (1863), pubblicato con lo pseudonimo di Enotrio Romano, canto che esprime il suo giacobinismo laico e anticlericale, dove il demonio è celebrato come simbolo della ribellione eterna della vita, del tripudio della bellezza e del progresso, contro ogni forma di ascetismo e rinunzia.

Nella raccolta Giambi ed Epodi (1867-79) esprime il contrasto stridente tra la grandezza degli ideali risorgimentali e la piccolezza della realtà dello Stato Unitario: giambi ed epodi sono due forme metriche della poesia satirica, utilizzate, appunto, per denunciare quella poesia vorrebbe ma non può essere epica e finisce per essere satirica. Emergono qui l’invettiva e il sarcasmo carducciano, animati da un retroterra ideologico giacobino, democratico e anticlericale, contro la realtà politica e sociale dello stato unitario, che non rappresenta e non conta nulla.
Gli ideali mazziniani e garibaldini che hanno animato il Risorgimento sono contrapposti al torpore e all’ignavia del presente attraverso un meccanismo psicologico che suscita e porta a celebrare (nel canto poetico) situazioni storiche animate da forte tensioni ideali e costellate di imprese eroiche.

Anche tanta della produzione contenuta nelle Odi Barbare (1873-1889) è caratterizzata dal vagheggiamento e dalla celebrazione dei momenti del passato recente italiano in cui più gloriosa è stata la vicenda nazionale e più intensi sono stati gli ideali che hanno animato la società civile. È, quindi, la nostalgia dell’eroico, da intendere sia come situazione psicologica che come predilezione tematica a caratterizzare questo gruppo di componimenti.

L’esito più alto della lirica carducciana sono, però, le Rime nuove (1861-1887), dove il poeta si orienta sia in dimensione storica sia in una dimensione biografica ed esistenziale. Carducci celebra momenti capitali della storia italiana ed europea quali la Roma Repubblicana, l’età dei Comuni, la Rivoluzione francese, il Risorgimento italiano.
Il notevole successo di questa raccolta fece sì che la società civile italiana riconoscesse a Carducci quel ruolo di poeta vate che gli consentì di indicare i valori ideali da perseguire (la monarchia, esaltata insieme alla politica coloniale di Crispi) per riscattarsi dalle delusioni e dalle frustrazioni del presente.

Sul piano esistenziale Carducci percepisce la classicità come armonia tra uomo e natura, come sintesi tra vigore e grazia, tra eroismo e bellezza, da cui discende un giudizio negativo sul cristianesimo e sulla figura di Cristo.
Anche la nostalgia dell’eroico è declinata sul piano biografico: è dalla rievocazione della giovinezza, associata al contrasto tra la solarità della vita e l’oscurità della morte, che nascono celebri componimenti quali:

  • Traversando la maremma toscana,
  • Idillio maremmano,
  • Il Bove,
  • Davanti San guido,
  • Mors,
  • Funere mersit acerbo,
  • Pianto antico

canti che presentano un “Carducci senza retorica”, poeta degli affetti ancora oggi apprezzabile dal lettore contemporaneo, che accetta virilmente la vita, con senso profondo della dignità, della sofferenza, dell’operare dell’uomo.

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L’ultima raccolta, Rime e ritmi (1899), alterna metri d’imitazione classica (ritmi) e metri tradizionali (rime) e presenta un poeta ormai stanco, caratterizzato talvolta da una scoperta erudizione, impegnato nella commemorazione storica, nelle celebrazioni risorgimentali, ma, allo stesso tempo, intento anche a un canto nostalgico della vita che guarda alla poesia come l’estremo messaggio di luce sul limitare della fine imminente.
Alle liriche si aggiungono opere in prosa di carattere filologico, letterario e polemico:

  • Discorsi letterari e storici,
  • Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli,
  • Petrarca e Boccaccio,
  • Il Poliziano e l’Umanesimo,
  • Studi su G. Parini
  • Confessioni e battaglie.

La poetica di Giosué Carducci

Di padre carbonaro, condannato per aver partecipato ai moti del 1830-1831 Carducci si formò in Toscana tra il 1850 e il 1860, quando era molto forte l’influenza culturale del classicista Pietro Giordani. Da questi trasse una visione laica del mondo, il classicismo, il purismo linguistico, il nazionalismo culturale; per questo nutrì la sua formazione della lettura di Parini e Alfieri, Monti e Foscolo, risalendo, poi, fino a Dante e Petrarca. Per questo stesso motivo avversò il Romanticismo, che interpretava come una concezione della vita volta al sentimentalismo e alla fiacchezza morale.
Avversò anche il naturalismo sia francese che italiano perché riteneva che riducessero la letteratura a cronaca e a indagine sperimentale.

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Specie durante la maturità avvertì come valore supremo la necessità di custodire gelosamente la tradizione letteraria italiana e rifiutò ogni suggestione straniera pur avendo letto Goethe, Byron e Baudelaire.
L’aperta adesione al classicismo, evidente già nella giovanile partecipazione al gruppo della Società degli amini pedanti, significa per Carducci la ribellione alla poesia tardo romantica di Prati e Aleardi ma anche a quella cultura europeizzante anticlassica che affermava la voga di una lingua e di una poesia popolare.

Animato dall’ideali di una letteratura intesa come culto della bellezza ed esaltazione di ideali, per questo stesso motivo Carducci avversò il naturalismo zoliano e il verismo che riducevano la letteratura a cronaca e privilegiavano un linguaggio dialettale.
Altro bersaglio polemico di Giosuè Carducci furono gli Scapigliati, caratterizzati da morbosità sentimentale e da una sciatteria linguistica che li portava a rifiutare la bella lingua e le belle forme della tradizione nazionale.

Soprattutto alla luce del suo ruolo di poeta-vate va imputata al classicismo di Carducci la colpa di aver frenato la cultura italiana, togliendole slancio e libertà, quando l’Europa, meno ancorata alle rispettive tradizioni nazionali, percorreva esperienze intellettuali varie e nuove.

Il classicismo di Carducci assume, comunque, tratti e significati specifici:

  • sul piano etico si identifica con una concezione morale dove la vita è intesa come azione e dramma, come lotta e costruzione, come esaltazione dei valori umani, come sanità ed energia interiore, libera dal sentimentalismo torbido e fiacco, dalle vaghe aspirazioni religiose, da ogni forma di sensibilità morbosa e dissipata;
  • sul piano estetico si concretizza in una concezione dell’arte e della letteratura intese come culto della bellezza, aspirazione a un’espressione limpida ed eletta, senso vivo della tradizione letteraria, riconoscimento dell’ufficio civile della letteratura, un concetto della poesia come esaltatrice dei valori eterni e annunciatrice della missione della nazione;

Carducci, tuttavia, non può essere considerato come del tutto estraneo allo spirito romantico: come gli esponenti di questo movimento fu animato da una profonda ansia religiosa, ebbe uno sguardo pietoso e commosso sul travaglio eterno degli uomini, percepì chiaramente e tematizzò poeticamente lo smarrimento provato di fronte al senso dell’infinito e del mistero. Motivi romantici della sua opera sono
una concezione della poesia come:

  • concreta rappresentazione della vita e dei suoi valori;
  • depositaria di un alto ufficio nazionale e civile;
  • la percezione, con profonda sofferenza, del contrasto tra ideale e reale e del peso di una vita consumata a inseguire sogni che non si realizzano mai, l’ombra della morte come estremo e definitivo perire di tutte le cose;
  • il senso e il gusto dell’evocazione storica, che non sentì però come svolgimento, sviluppo dello spirito verso forme superiori di vita (Hegel) ma come contrasto di passioni collettive, come nemesi, come vendetta nei confronti di chi viola le leggi dell’individuo e della nazione, nella loro persona e nella persona dei loro discendenti;
  • la classicità, soprattutto quella ellenica, percepita alla maniera winckelmaniana, come isola felice di serenità e di armoniosa giovinezza alimentando, così, il culto di una bellezza rasserenatrice e catartica.
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