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Recensioni di libri

Garibaldi il corsaro di Pietro Picciau

Arkadia, 2019 – Giuseppe (Josè) Garibaldi in Sudamerica, nel primo volume di una trilogia di romanzi sulla vita dell’eroe della libertà degli uomini e dell’indipendenza degli Stati.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 29-03-2020
Garibaldi il corsaro

Garibaldi il corsaro

  • Autore: Pietro Picciau
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Anno di pubblicazione: 2019

"Generale, cos’è un eroe?"
Nemmeno il campione della libertà di due continenti sa rispondere. L’anziano condottiero, ancora in camicia rossa nella casa di Caprera nel 1873, dice di non conoscere la strada che porta a diventare un eroe. Ne offre tuttavia un’ampia spiegazione al giovane e nobile naufrago inglese che ospita nell’isola sarda. E la regala anche a noi, per il tramite di un bravo giornalista e valido commediografo, Pietro Picciau, ben calato da vent’anni nel ruolo di romanziere d’avventura.

È un romanzo di questo genere, infatti, oltre che il risultato di attente ricerche storiche, anche il titolo più recente, Garibaldi il corsaro, novità da novembre nella collana Eclipse della casa editrice cagliaritana Arkadia, che è allo stesso tempo il primo di una trilogia sulla vita dell’eroe dei due mondi.

La sua intera esistenza si è sviluppata come un’avventura, sostiene Picciau, una coinvolgente epopea umana e militare che ha segnato intensamente cinque decenni del XIX secolo e che ha continuato a incuriosire e attrarre anche chi è vissuto dopo. Per riproporla come un romanzo, spiega l’autore, non è stato necessario inventare trame immaginarie, perché le azioni tumultuose sono già nella sua straordinaria biografia. È bastato aggiungere rari spunti romanzeschi, verosimili e ispirati dall’imponente biografia raccolta intorno alle sue imprese. Hanno contribuito ad alimentarla in tanti, a cominciare dal coevo amico e ammiratore Alexandre Dumas, papà dei moschettieri e non solo.

Qui, l’anziano generale, costretto in carrozzina dai reumatismi (ma consolato dalle cure dell’ultima moglie Francesca e dalla vista dei più piccoli dei tanti figli, Clelia 6 anni, Manlio 4 mesi), ricorda con grande trasporto emotivo i valori che fin dalla più giovane età lo hanno spinto “a difendere gli uomini in catene dai despoti e dai preti”.
Da eterno sognatore, dice di avere ascoltato fin da ragazzo la voce del cuore e seguito gli eventi che si sono presentati. Di avere sempre cercato di fare il bene per i suoi simili, contrastando i tiranni in abito talare o con la corona. Di essersi battuto per la pace, il diritto, la libertà, dovunque necessario.

Perché scegliere allora la guerra, per sostenere la giustizia? Alla richiesta del giovane ospite, Garibaldi replica che la guerra è l’unico strumento degli uomini per combattere le ingiustizie. Prende a raccontargli tutto quello che ha fatto.
Il primo vagito l’ha emesso il 4 luglio 1807, a Nizza, quando Cavour non l’aveva ancora barattata, offrendola in pegno alla Francia. Per la verità, anche allora la città apparteneva a Napoleone, ma nel 1814 le sconfitte dell’imperatore fecero tornare il Dipartimento delle Alpi Marittime sotto i Savoia, sovrani piemontesi del piccolo Regno di Sardegna.

Mamma Rosa lo sogna prete, ma il ragazzino biondo preferisce corse e scorribande allo studio, anche se la storia non gli dispiace. Vuole andare per mare, come papà Domenico e per un verso o per l’altro ce la fa. Naviga nel Mediterraneo, si ferma a Costantinopoli, ama e viene amato dalle donne, per il carattere di fuoco, i capelli lunghi biondi, la barba rossiccia.

Si accosta ai repubblicani mazziniani, si infila in un’insurrezione sventata, viene condannato a morte come sovversivo e disertore della Marina da guerra sarda. Sotto il nome di Giuseppe Pane di Livorno, nel 1834 trova un imbarco da nostromo sul brigantino Nautonnier, diretto in Sudamerica. È un ottimo navigante e non ha paura di cacciarsi nei guai, sempre pronto a battersi per un ideale. Ha già provato l’ebrezza degli scontri: contro i pirati.

Arriva a Rio de Janeiro nell’inverno 1835 e allo sbarco in Brasile è stupito d’essere chiamato a gran voce. Sono due rivoluzionari italiani esuli, il genovese Luigi Rossetti e Gian Battista Cuneo, vecchie conoscenze della Giovine Italia.
È qui che inizia l’epopea sudamericana di Josè Garibaldi, corsaro e condottiero, pagine solitamente poco note o schematizzate in brevi passaggi: Anita, la guerra di secessione del Rio Grande do Sul dall’impero brasiliano, quella tra Uruguay e Argentina (1843-45).

Sugli anni dell’epopea sudamericana Picciau si sofferma intensamente invece e con riuscita efficacia dumasiana. È un piacere leggere del biondo italiano in poncho, che fraternizza con i compagni di lotta e strappa sospiri alle donne col suo fascino carismatico, l’irruenza e la lealtà a tutta prova.

Chi ha una certa età ricorderà lo straordinario sceneggiato RAI del 1975, Il giovane Garibaldi, interpretato da Maurizio Merli. Nessuno prima del regista Franco Rossi aveva ricostruito quegli anni del Peppino nazionale, sempre citati mai approfonditi. Ora abbiamo la ricostruzione romanzata di Picciau.

"So comandare, so battermi per la giustizia con le armi in pugno, non sono tagliato per la poltica."

Garibaldi mette al servizio della libertà le capacità marinare e il coraggio temerario, guadagna la fama di trascinatore di uomini. L’ostilità dei Governi che contrastano l’indipendenza di quelle terre si aggiunge alla caccia da ribelle condannato che gli danno le autorità consolari e la Marina del Regno di Sardegna.
Ed ecco che appare Ana Ribeiro, Anita.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Garibaldi il corsaro

  • Altri libri di Pietro Picciau
Garibaldi la spada dei Mille
Il marchese di Palabanda
Le carte del re

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