Si tratta di una delle poesie più enigmatiche di Eugenio Montale, capace di tradurre in parole il concetto di epifania.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro è contenuta nella prima della raccolte montaliane, Ossi di seppia (1925), e anticipa un concetto caro al poeta che troveremo sviluppato nel corso di tutta la sua produzione lirica: la realtà come illusione, come vana apparenza, “inganno consueto”.
Tutta la poetica montaliana si regge su questo contrasto, sul costante tentativo di fendere il velo di Maya dell’apparenza (teorizzato da Schopenhauer, che trova in Montale un valido interprete) e scorgere la verità oltre la superficie.
“Il varco è qui?” è una delle domande più ricorrenti: la ricerca del varco in Montale è una costante a partire dal suo manifesto di poetica, I limoni, in cui il poeta si augura di svelare l’ultimo segreto delle cose, di scoprire il punto morto del mondo, la “maglia rotta nella rete”, “l’anello che non tiene”, ciò che lo metta letteralmente nel “mezzo di una verità”. Già ne I limoni Montale si proponeva, come una speranza, di poter intravedere la verità profonda delle cose attraverso uno spiraglio, quindi senza oltrepassarne del tutto la superficie. In Forse un mattino andando in un’aria di vetro avviene l’epifania attesa, la verità si rivela in una subitanea vertigine, il reale si squarcia: la rivelazione è tanto impetuosa da lasciare l’uomo confuso, senza punti di riferimento, preda di un “terrore ubriaco”.
La lirica si muove in bilico tra un registro onirico e un piano filosofico, anticipando la poesia metafisica che sarà propria dell’ultimo Montale. Ritroviamo la stessa rivelazine, in bilico tra realtà e nulla, ancora più accentuata in Gli uomini che si voltano, contenuta nella raccolta Satura (1973), dove il confine tra realtà e inganno si è fatto così labile da apparire indistinto.
In questa poesia però Montale è ancora un passo indietro, come ci rivela l’ardito finale che lo situa tra “Gli uomini che non si voltano”, col suo segreto.
Il poeta accetta ancora di stare nella realtà, di stare nell’inganno, tenendo per sé il suo momento di epifania: è questo ad evidenziare lo scarto tra il primo Montale, di Ossi di seppia, ancora legato al correlativo oggettivo e alla poetica dell’oggetto, immerso in una realtà concreta, e l’ultimo Montale de La Bufera e altro e di Satura che appare in bilico tra due mondi, uno spirituale e l’altro fisico.
L’epifania rivelatoria però ritorna, come sostanza stessa della sua poetica; troverà il suo apice ancora in un’altra poesia, Chissà se un giorno butteremo le maschere, che appare in stretto dialogo con Forse un mattino andando in un’aria di vetro che ora andremo ad analizzare.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro” di Eugenio Montale: testo
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro” di Eugenio Montale: analisi
La distruzione dell’inganno consueto è, per Montale, la distruzione della realtà visibile. In questo sentimento rivelatore gioca certamente un ruolo cruciale il contesto in cui il poeta è vissuto: a cavallo tra le due guerre mondiali, sperimentando un mondo in preda al caos in cui si assiste a una perdita totale dei punti di riferimento.
Il Novecento fu l’epoca della crisi dell’individuo, dello smarrimento esistenziale, che portava l’Io improvvisamente al centro del discorso sradicando le narrazioni coerenti, a sfondo sociale e storico, che avevano contraddistinto l’Ottocento. Viene meno anche il bildungsroman, il romanzo di formazione, che poneva al centro la traiettoria dell’eroe verso un lieto fine raggiunto dopo vari ostacoli: ora si affermano le narrazioni psicologiche, il flusso di coscienza, l’angoscia esistenziale. La poesia di Montale è figlia di questa epoca e indissociabile da questa intemperie socio-culturale.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro descrive appunto un’epifania che, però, non ha in sé nulla di salvifico, anzi, appare simile a un incubo. L’uomo, l’io lirico protagonista della poesia, per un attimo ha la perfetta consapevolezza della fragilità della realtà e dell’illusorietà di tutte le percezioni umane. Questa rivelazione inattesa sfocia in una paurosa visione del nulla. L’epifania è dunque negativa in Montale; ma ancora più negativa e tragica è la sua conseguenza, in quanto l’uomo non può rivelare agli altri ciò che ha visto. Terminata l’orrida visione l’uomo procede in mezzo agli altri, cammina nelle file di uomini impegnati nelle occupazioni quotidiane, non si volta e conserva nel cuore il suo segreto. Forse questo “segreto”, questa percezione esclusiva e tuttavia irrivelabile delle cose, è all’origine della poesia montaliana, il cuore pulsante del verso. Eugenio Montale sapeva di poter avere solo una percezione frammentaria della verità del Reale: scrivere poesie era la sua maniera di andare oltre la superficie, di gettarsi oltre l’ostacolo, come ci insegna l’ormai nota domanda: “Il varco è qui?”, che è l’interrogativo montaliano per eccellenza.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro si conclude con un’avversativa violenta: “Ma sarà troppo tardi”. Scoprire la verità delle cose è traumatico, un sentimento analogo alla morte, per questo poi appare più facile rifugiarsi nel comodo inganno “consueto” delle apparenze.
Scrivere era la maniera di Montale di fendere il “velo di Maya” dell’esistenza, di trovare la vera essenza delle cose, attraversandole. Forse ogni uomo ha sperimentato, su questa terra, la mattina epifanica da lui rivelata in cui “l’aria si fa di vetro” (vetro è un correlativo oggettivo: un’aria arida, quasi solida, irrespirabile, che rimanda al Male di vivere) e la nostra coscienza vacilla dinnanzi alla consapevolezza di una percezione che non è assoluta né definitiva.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Forse un mattino andando in un’aria di vetro”: l’epifania in poesia di Montale
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