Fiore di roccia
- Autore: Ilaria Tuti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2020
Dedicato a una vicenda epica che la Storia ha dimenticato, Fiore di roccia (Longanesi, 2020) è il nuovo romanzo di Ilaria Tuti, che vive a Gemona del Friuli in provincia di Udine, già autrice di Fiori sopra l’inferno (Longanesi, 2018) e di Ninfa dormiente (Longanesi, 2019), entrambi con il commissario Teresa Battaglia come protagonista.
“La Carnia aveva tremato, il Friuli si era squarciato e sanguinava nel silenzio di polvere”.
6 Maggio 1976. Si era risvegliato l’”Orcolat”, in dialetto friulano “orco”, sinonimo di terremoto: il violento sisma d’intensità pari al decimo grado della scala Mercalli, 44 anni fa uccise 989 persone e fece 80mila sfollati. Agata Primus aveva alzato lo sguardo alle cime di quelle montagne, che aveva lasciato da decenni e aveva ritrovato da poco, dopo aver attraversato oceani. Paradossalmente, ora che tutto sembrava essere stato cancellato dall’“Orcolat”, lo sguardo dell’anziana donna riusciva a seguire gli antichi camminamenti per la fienagione che si inerpicavano chiari fino ai magri prati d’altura. Il “pal”, il pascolo era lassù oltre i boschi, con la sua corona di rocce e di trincee, fossati scavati nel terreno durante la Grande Guerra, baluardo di terra e fango tra le truppe italiane che si trovavano protette (non sempre) dal tiro delle armi nemiche.
Mai come adesso ricordare per Agata rappresentava un dovere e una necessità.
“Mai più solo misero pascolo, ma sacrario benedetto”.
Il nuovo romanzo dell’autrice friulana ha il merito di togliere la polvere da una storia femminile gloriosa e dimenticata. È dedicato, infatti, al ruolo fondamentale delle Portatrici carniche, che nel corso della I Guerra Mondiale operarono lungo il fronte della Carnia trasportando con le loro gerle rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane, dove molto spesso combattevano i loro uomini nei reparti alpini, e dimostrando in tal modo che non è vero che la guerra viene combattuta solo dagli uomini. Ricordiamo che grazie anche all’abnegazione delle Portatrici il fronte italiano della Zona Carnia non cedette mai. Quando dopo Caporetto i soldati ricevettero l’ordine di ripiegare sul Piave, abbandonando le posizioni così duramente conquistate e mantenute, avevano le lacrime agli occhi.
"Fiori di roccia", donne di montagna dai 15 ai 60 anni, come Maria Plozner Mentil (Timau, 1884 – Paluzza, 15 febbraio 1916), che rimasta sola con i suoi quattro figli (il marito combatteva sul Carso) rispose come molte altre donne del luogo all’appello fatto dall’esercito italiano che richiedeva dei volontari per trasportare i rifornimenti dalle retrovie alla prima linea. Le Portatrici carniche con le loro pesantissime gerle cariche di quaranta chili di vettovaglie, armi e munizioni ogni giorno salivano a piedi lungo i versanti del Pal Piccolo, Pal Grande, Freikofel, Cima Avostanis e Passo Pramosio, con la neve alta, scarpe leggere e cuore intrepido, per raggiungere le trincee italiane della Grande Guerra. Proprio durante una di queste faticose ascese, il 15 febbraio 1916, Maria Plozner Mentil venne colpita da un cecchino austro-ungarico nei pressi di Passo Pramosio. Trasportata a valle nell’ospedale da campo di Paluzza, morì il giorno successivo per la gravità delle ferite. Il sacrificio di Maria divenne subito un simbolo di coraggio e di abnegazione. Nel 1997 l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le conferì “motu proprio” la Medaglia d’Oro al Valor Militare, per tramandare il valore della memoria
Il romanzo, arricchito da una valida bibliografia, ha come esergo una frase di Maria Plozner Mentil:
“Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan” (Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame).
Quindi “Anin”, come fanno senza esitare un attimo anche Agata e trenta sue compagne, mani callose e corpi forgiati dalla fatica, giacché servono spalle forti e coraggiose per assicurare i collegamenti con i depositi del fondovalle. I battaglioni schierati nella zona Carnia sono in difficoltà, il Comando Logistico e quello del Genio chiedono l’aiuto di queste donne semplici ma ardimentose e dalla forza morale straordinaria.
“Non ci sono più uomini in forze a Timau. È scoppiata la guerra”.
1 Oggi a Timau è possibile ammirare un monumento dedicato alle Portatrici carniche e visitare il museo “La Zona Carnia nella Grande Guerra”, dove, in mezzo a centinaia di reperti bellici rinvenuti sulle montagne circostanti, si trova anche una sezione dedicata alla storia di queste donne.
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Bellissimo libro, letto d’un fiato. Un racconto verosimile ben scritto e che porta il lettore al fronte. Consigliatissimo.
La storia delle portatrici di gerle che salgono al confine per dare il loro aiuto aricandole con armi munizioni, viveri. Lei Agata e le sue amiche e tante altre donne ogni giorno dopo aver risposto all’appello del parroco riempiono le loro gerle per portare aiuto a quei sodati. Il loro coraggio la loro forza aiuteranno in molte occasioni sia loro che i soldati. Scorci di vita quotidiana si uniscono alla storia della prima guerra mondiale.
Un romanzo la Storia raccontata da un altro punto di vista quello delle donne siamo abituati a leggere pagine di storia, di guerra raccontate dagli uomini, in questo libro la Tuti riesce a raccontarlo da un punto di vista delle portatrici di gerla.
Io e le mie compagne , abbiamo corpi forgiati dalla fatica con cui conviviamo ogni giorno . Nate con un debito che ha la forma della gerla che usiamo per cullare i figli cosi come per trasportare fieno e patate.
Con i loro vestiti troppo consumati dall’uso le loro scarpe leggere partono dal paese per salire su in montagna al confine dove si combatte una guerra per portare aiuti, alimenti bombe e proiettili con la loro forza con la loro tenacia giorno dopo giorno rischiando la loro vita.
E’ questo che siete. Fiori aggrappati con tenacia a questa montagna. Aggrappati al bisogno sospetto di tenerci in vita.
Storie di vita quotidiana delle protagoniste si intrecciano a queste pagine della storia conosciamo in particolar modo la storia di Agata e di altre donne. Storie dei soldati che sono al fronte. La storia del padre che va al fronte a prendere il figlio per dargli una degna sepotura.
La nostra capacità di bastare a noi stesse non ci è stata riconosciuta, ne concessa. L’abbiamo tessuta con la fatica e il sacrificio, nel silenzio e nel doloro, da madre in figlia. Poggia su questi corpi meravigiosaente resistenti ed è a disposizione di chiunque ne abbia bisono. S nutre di spirito infuocatoe iniziativa audace, vive di coraggio. Vive di altre donne. Siamo una trama di fili tesi gli uni sugli altri, foti perchè vicini.
Ma troviamo anche storie d’amore e di speranza piccoli amori che nascono, aiuti inaspettati, difficcoltà ad accogliere il nemico.
Ho scelto di essere libera . Libera da questa guerra, che hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto intorno a m era morte io ho scelto speranza.
Come non immergersi in questo pezzo di storia senza sentire il freddo, la paura, il dolore i loro canti le loro preghiere. A volte mi perdevo in questa storia pensando di affrontare queso duro cammino con loro. Un libro che ti cattura con molti riferimenti storici dove si vede il lavoro di studio che ci sta dietro.