Figlio di nessuno. Un’autobiografia senza frontiere
- Autore: Boris Pahor Cristina Battocletti
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2022
Ricordare la propria vita e quella di altre persone è da sempre uno tra gli scopi più nobili della scrittura. Fare memoria, come si usa dire, non è però un compito scontato, perché nel mondo di oggi, così frenetico e iperattivo, dove non si trova mai il tempo per fermarsi, per studiare la storia di chi ci ha preceduto, per riflettere sulla nostra identità o quella di altri popoli in modo da capire meglio il mondo che ci circonda e poi rivolgere lo sguardo al futuro con una maggiore consapevolezza, spesso è diventato difficile. Questo esercizio invece è molto prezioso, sia per chi scrive che per chi legge, e andrebbe fatto con maggior frequenza. Gli strumenti più preziosi per svolgerlo al meglio spesso risultano essere i libri autobiografici, in quanto rappresentano una vivida testimonianza di vita.
Figlio di nessuno è un libro scritto dallo scrittore di origine slovena con cittadinanza italiana, Boris Pahor, insieme a Cristina Battocletti. Al suo interno si racconta l’intensa vita di uno dei grandi intellettuali del Novecento, che da profondo conoscitore di questo secolo, ma anche della storia dei nostri giorni, ha deciso di raccontarci la sua esperienza e la sua visione del mondo. Il libro è stato pubblicato nel 2022 da La nave di Teseo, nella collana "Gli Oceani", in una nuova edizione aggiornata e ampliata, dopo la prima uscita per Rizzoli nel 2012.
L’intenzione iniziale della casa editrice sarebbe stata quella di pubblicarla in occasione del compleanno di Boris Pahor previsto per il 26 agosto, ma il 30 maggio di quest’anno egli ci ha lasciati, alla veneranda età di 108 anni, nella sua casa di Prosecco, una frazione di Trieste, così l’uscita è stata anticipata a giugno.
Nato a Trieste nel 1913 da una famiglia slovena abbastanza povera (il padre Franc era stato prima fotografo nella gendarmeria, poi in seguito venditore ambulante di generi alimentari, ricotta, burro e miele in particolare; la madre Marija Ambrožič faceva invece la donna di servizio per una famiglia benestante), Boris Pahor ha vissuto di fatto tutta la sua vita nel capoluogo giuliano e ha assistito a tutti i cambiamenti più importanti di questa affascinante città, anche di carattere territoriale.
Trieste all’epoca della nascita dello scrittore era ancora parte dell’Impero Austroungarico, ma la Slovenia godeva di un minimo di autonomia linguistica e culturale. In seguito all’esito finale della Prima Guerra Mondiale, passò all’Italia nel 1918 e da quel momento la minoranza slovena presente a Trieste e in altre zone vicine nel territorio italiano perse la possibilità di poter conservare la propria lingua, le proprie tradizioni, la possibilità di mantenere in vita la propria cultura attraverso forme associative anche di carattere sportivo, le scuole, i teatri, gli istituti culturali e i propri uffici pubblici, banche comprese. Questo avvenne già prima della venuta del regime fascista e per questo gli sloveni, non volendo spesso assoggettarsi all’Italia ma dovendo subire con la forza le leggi del nuovo Stato di cui entrarono a far parte, vennero chiamati "cimici" o "figli di nessuno", proprio per la loro condizione che di fatto toglieva loro una precisa identità. Da questa definizione a loro attribuita dagli abitanti di Trieste e del Friuli Venezia Giulia deriva il titolo di quest’opera.
Essa si divide in sostanza in tre parti. La prima, intitolata Il mondo a colori, è la piu recente ed è stata aggiunta in questa nuova edizione del libro, in cui il grande scrittore sloveno riflette in particolare sui grandi temi attuali dei nostri giorni da un punto di vista politico ma anche socio-economico, spirituale e ambientale, oltre a tracciare un breve bilancio della sua lunghissima vita.
La seconda parte è dedicata all’autobiografia vera e propria di Pahor; la terza e ultima è costituita dalle appendici scritte da Cristina Battocletti, co-autrice del testo, nel quale ella delinea un suo personale ritratto di questo grande uomo che ha avuto la fortuna di conoscere e con il quale ha collaborato.
Tante sarebbero le considerazioni da fare su questo libro ricco di spunti, interessante, coinvolgente ed emozionante. Intanto va ricordato che durante la Seconda Guerra Mondiale Boris Pahor è stato fatto prigioniero politico per l’appartenenza al Fronte di liberazione nazionale, che lottava per l’indipendenza della Slovenia, e deportato in vari campi di concentramento nazisti, nell’ordine Natzweiler, Dachau, Dora, Harzungen e infine in quello di sterminio di Bergen-Belsen, dal quale è uscito nell’aprile del 1945 in seguito alla liberazione delle truppe alleate.
Sopravvivere agli orrori di un campo di sterminio come si può immaginare è un’impresa davvero ardua, non solo da un punto di vista fisico ma anche da quello psicologico. Tutte le testimonianze degli uomini e delle donne sopravvisauti a tale orribile esperienza dimostrano come il dolore fisico con il tempo scompaia del tutto, ma i traumi che lascia nella mente e nel cuore rimangono per sempre. Boris Pahor, come tutti gli altri prigionieri dei campi di concentramento, ha dovuto convivere con questi problemi psicologici, eppure ha avuto la forza di andare avanti nella sua intensa vita mantenendo sempre la schiena dritta, con una sensibilità verso l’umanità e un’onestà intellettuale che lo rendono un grande uomo.
Grande nella sua dignità e nel suo coraggio, osservatore dei cambiamenti politici, sociali e culturali del mondo e dell’Europa in particolare, fino ai nostri giorni. Pur sentendosi sloveno a tutti gli effetti, anche con l’acquisizione dopo molti anni della cittadinanza italiana, come testimonia il fatto di aver scelto di scrivere gran parte delle sue opere nella sua lingua madre, è sempre rimasto molto legato alla sua Trieste e si è sempre dichiarato europeo, auspicando quell’unità del nostro continente fondata sulle comuni radici cristiane che di fatto a suo parere fino a oggi non si è ancora realizzata. Difficile per molti aspetti dargli torto.
Il racconto della sua infanzia a Trieste, città crocevia di tante culture e per questa ragione dotata di grande ricchezza culturale, vissuta in povertà, senza tuttavia mai patire la fame, tra giochi semplici per le strade della città, giornate passate al mare, i primi amori, le enormi difficoltà scolastiche da lui incontrate nel momento in cui dovette per forza passare dall’uso della sua lingua natia a quello dell’italiano che non conosceva (in quanto l’uso dello sloveno venne proibito in ogni luogo pubblico) è davvero emozionante e ricco di fascino.
Tra gli episodi più importanti vissuti nella sua infanzia egli ne ricorda in particolare due. Uno fu quello delle cannonate in città, che sent’ durante la Prima Guerra Mondiale nel 1918 mentre sua madre, lui e due sue sorelle più piccole, Maria detta Mimica ed Evelina, avevano contratto la spagnola. La piccola Mimica, al quale Boris era molto affezionato, fu l’unica della famiglia a non sopravvivere all’influenza.
L’altro fu quello dell’incendio del Narodni Dom, la casa della cultura slovena, a cui suo malgrado dovette assistere il 13 luglio del 1920, a opera delle squadriglie fasciste.
Il suo amore per la vita traspare da questa pagine in tutta la sua forza ed emerge in esse il suo desiderio di giustizia, di libertà e di pace, senza giudicare le scelte di chi ha avuto idee diverse dalle sue e sempre nel rispetto del prossimo. Un uomo dalle idee chiare ma sempre in ricerca, passato attraverso l’esperienza dello studio in seminario per due anni prima di decidere di lasciarlo — una scelta che aveva fatto in un primo momento per accontentare la madre, fervente cattolica, che avrebbe voluto che suo figlio diventasse prete. In seguito venne anche arruolato nell’esercito italiano per combattere in Libia nel 1939.
Da un punto di vista politico Boris Pahor si è sempre battuto attraverso i suoi scritti per combattere e denunciare i crimini dei regimi totalitari come nazismo, fascismo e comunismo e si definisce un socialdemocratico con una forte propensione per una sinistra moderata, che guarda al centro, una sorta di cristiano sociale sul modello del partito dell’unione cristiano-democratica presente in Germania, con una grande sensibilità verso gli emarginati, i poveri, le minoranze linguistiche e gli immigrati.
Sostenitore convinto anche di uno stile di vita a minor impatto ambientale per la salvaguardia del pianeta e quindi a favore di un uso sempre piu diffuso di fonti energetiche rinnovabili, oltre che di un’economia più vicina ai bisogni concreti delle persone e dei lavoratori dipendenti, dove non sia la finanza al centro, né la logica del profitto a ogni costo a vantaggio dei potenti della terra e delle multinazionali, ma piuttosto la tutela dei diritti di tutta la popolazione per una ridistribuzione più equa della ricchezza.
Proprio a tal proposito elogia in questo libro Papa Francesco per la sua instancabile opera a favore dei poveri e di tutti coloro che soffrono la fame.
Da un punto di vista spirituale il suo pensiero è più complesso, in quanto pur non dichiarandosi religioso nell’accezione più comune della parola Pahor ha dichiarato di credere in una vita ultraterrena, ma in una dimensione in cui lo spirito convoglia dopo la morte nella natura, sul modello del filosofo Baruch Spinoza. Non si rispecchia nelle religioni tradizionali, ma la fede cristiana rimane quella a lui più vicina, soprattutto per il grande rispetto, il senso di gratitudine e la comunanza di intenti che prova per Gesù, uomo giusto, capace di dare insegnamenti grandiosi all’umanità e che Boris Pahor considera il più grande rivoluzionario della storia.
Ciò che colpisce di questo libro è la chiarezza espositiva di ogni tema trattato, con una scrittura semplice, a tratti quasi essenziale, eppure dotata di una limpidezza, di una freschezza e di una sensibilità tali da renderla migliore di tante altre per la capacità di rendere comprensibili, coinvolgenti e appassionanti anche argomenti che per molti potrebbero risultare ostici. Questa è anche la scrittura che da lettore Boris Pahor amava, ritenendo che uno stile troppo complesso alla lunga risultasse più un limite che un merito e preferendo per tale ragione Italo Svevo a James Joyce, tra due grandi intellettuali che a Trieste vissero una parte delle loro rispettive vite.
Commoventi, poetici e romantici alcuni passi di quest’opera. Come ad esempo quando nella parte iniziale, ricordando il suo immediato ritorno alla libertà dopo la lunga prigionia, racconta che giunto a Lille, città del Nord della Francia, dove trovò dopo tanto tempo un letto confortevole che gli sembrò come "una carezza di una giovane donna innamorata". In un altro passaggio invece, sempre nella prima parte, dichiara di amare profondamente le donne e che ritiene che loro saranno la salvezza dell’umanità con la loro forza d’animo, il loro coraggio e la loro compassione. Ricorda infatti che furono soprattutto le donne a rimanere vicine a Gesù ai piedi della croce.
Naturalmente ci sono anche passaggi molto drammatici nella narrazione, soprattutto quelli riguardanti la vita nei campi di concentramento, ma nei quali l’autore non accentua la violenza di certi comportamenti o il dolore provato dai prigionieri o dalle vittime della guerra, mantenendo sempre una prosa molto calibrata.
Sposato per cinquantasette anni con Radoslava Premrl, anch’ella slovena, scomparsa nel 2009, ha avuto da lei due figli, Maja e Adrijan.
Boris Pahor ha conosciuto molte donne nella sua vita e ha avuto diverse relazioni sentimentali anche importanti, sia prima di conoscere la sua futura moglie che durante il matrimonio, che racconta con sincerità in questa sua autobiografia.
Le uniche altre due realazioni che l’autore considera più importanti sono entrambe precedenti al matrimonio: una con con un’infermiera francese, conosciuta in un sanatorio dove era stato ricoverato subito dopo la fine della guerra e la liberazione, che egli chiama con un nome di fantasia, Arlette, per rispetto nei confronti di lei, alla quale ha dedicato addirittura un intero romanzo intitolato Una primavera difficile nella traduzione italiana; l’altra Dani Tomažič, attivista per la liberazione della Slovenia e comunista nonostante fosse di origine benestante, conosciuta durante la guerra. Entrambe morte in giovane età, Arlette di malattia e Dani uccisa in un attentato.
In questi ultimi anni della sua vita si è preso cura di lui Vera Radic, la sua badante, ma che lui ha definito con afffetto la sua "assistente".
La sua opera più venduta e famosa è Necropoli, nella quale ha raccontato il suo ritorno in visita nel campo di concentramento di Natzweiler negli anni Sessanta.
Boris Pahor è stato più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, ma non l’ha mai vinto, senza rammaricarsene tuttavia più di tanto.
"Tutto quello che c’è da fare è in vita" era solito ripetere Boris Pahor e la sua testimonianza di vita rimane davvero preziosa.
Doveroso ricordare anche Cristina Battocletti, che è a tutti gli effetti coautrice di questo libro.
Nata a Udine e cresciuta a Cividale del Friuli, si è laureata in Giurispudenza e attualmente vive a Milano con le sue figlie Nora e Olga e dove lavora nella redazione culturale del quotidiano “Il Sole 24 Ore” dal 2005; mentre dal 2006 in particolare è tra le curatrici del supplemento culturale “La Domenica” dello stesso quotidiano, dove scrive di cinema, di letteratura mitteleuropea e slava oltre che sulla citta di Trieste.
Ha scritto anche diverse opere letterarie, specializzandosi soprattutto in autobiografie tra cui vanno ricordate quella di Bobi Bazlen e Giorgio Strehler.
Ha vinto nel 2012 il Premio Manzoni-Città di Lecco con la prima edizione di Figlio di nessuno. Negli anni si è sempre più affermata divenendo a oggi una delle più brave giornaliste culturali italiane, se non forse la migliore in assoluto.
Ha definito Boris Pahor "L’ultimo grande scrittore del Novecento" e c’è da crederle, dato che ha avuto il privilegio di instaurare un’amicizia con lui oltre che di scrivere a quattro mani questo ottimo libro.
A lei chi scrive rivolge un grazie particolare per aver fatto conoscere a un maggior numero di persone Boris Pahor, scrittore e uomo straordinario, prima di questo ottimo libro non abbastanza ricordato.
Boris Pahor lo diceva che il mondo lo salveranno le donne e sempre più spesso le scrittrici di qualità in Italia riescono a illuminare la scena culturale e c’è da sperare che l’auspicio di questo grande intellettuale che da poco ci ha lasciati possa realizzarsi.
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