

Di fulmini e tempesta
- Autore: Chiara Polita
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2025
Un’altra donna coraggiosa, una partigiana molto speciale, è la protagonista dell’intenso racconto che Chiara Polita, giovane scrittrice e operatrice culturale veneta, costruisce nel romanzo Di fulmini e tempesta, pubblicato da Marsilio nell’aprile 2025. Già dalla copertina, che riproduce una foto in bianco e nero del 1944, si capisce il tema affrontato: a San Donà di Piave, nel Veneto orientale, si svolge una storia molto dolorosa che ha per protagonista Maria, che come staffetta partigiana prenderà il nome di Tosca.
Siamo nel settembre del 1943, quando inizia un racconto corale, che sembra avere al centro gli avvenimenti meno noti di quel settore della lotta partigiana, e soprattutto un fiume, il Piave, che qui diventa, nell’uso linguistico della regione, La Piave. Il fiume simbolo della riscossa nella Prima Guerra mondiale, il Piave diventa, anche negli avvenimenti tragici del secondo conflitto, un luogo mitico, poetico, altamente metaforico delle vicende degli umani. Maria ha un passato a dir poco burrascoso: era sposata, il marito al fronte, ma dopo Caporetto era successo l’impensabile. Uno stupro, con conseguenze imprevedibili che saranno al centro della storia che Polita racconta con grande empatia per la sua protagonista.
C’è un comandante partigiano, il geometra Attilio Rizzo, personaggio storico, ci sono i suoi compagni della Brigata Eraclea, a cui anche Maria decide di aggregarsi. Le sarà dato un incarico molto pericoloso: accogliere e nascondere un bambino ebreo, il piccolo Isacco/Giacomo, i cui genitori sono stati deportati. Maria crede che sarà cosa di pochi giorni, invece il bambino resta a lungo con lei, e fra i due esseri solitari e desiderosi di calore nasce un forte sentimento, diventano madre e figlio in un racconto struggente che avrà un esito tragico. Di fronte ai partigiani guidati dal coraggioso Rizzo ci sono i fascisti, giovani veneti che si sono schierati con la Repubblica di Salò: tra loro il giovane e inquieto Bufera, dagli occhi azzurri, che incrocia il destino di Maria, la quale si scontra con lui nella fabbrica di iuta dove lavora come operaia.
La trama è quasi quella di un thriller, che l’autrice segue lasciando nei lettori dubbi e sospetti: solo nelle ultime pagine del romanzo tutte le carte saranno abbassate e si capirà l’intreccio drammatico che aveva condotto i vari personaggi ad affrontare pericoli, tradimenti, galera, tortura e morte in quei mesi tragici che porteranno alla Liberazione. Ci sono parti di fantasia nel libro di Chiara Polita, ma molto del racconto si deve a studi storici approfonditi sulle vicende che coinvolsero i patrioti di San Donà, medaglia d’argento al valor militare della Resistenza. La figura dell’intrepida Maria, madre mancata, e la sua dedizione alla causa della libertà ci riportano indietro agli anni in cui molte donne, che il fascismo aveva allevato all’obbedienza e alla sottomissione, seppero alzare la testa e spendersi per cause politiche, sociali, identitarie che dopo il 25 aprile, negli anni della restaurazione democristiana, vennero quasi abbandonate. I personaggi di contorno, Dora, Giacomo, la signorina Lucia Schiavinato, Monsignor Saretta, Luisa, Attilio Rizzo e lo stesso Bufera, sono caratterizzazioni efficaci di un tempo durissimo, di lotte feroci e di un tentativo di riscatto di cui non dobbiamo dimenticare il ruolo fondamentale nel processo di liberazione dalla dittatura nazifascista. Interessante nella narrazione di Chiara Polita la parte poetica, quella che vede protagonista l’acqua che scorre, quella de La Piave, nei pensieri del patriota Rizzo, mentre attende in galera l’esito del suo destino:
Il Carso, la Piave e l’oggi, in fondo, non erano così lontani per lui. I fiumi, da sempre, avevano unito idee saperi e persone. I fiumi sono nati liberi e tornano ad esserlo quando vogliono, nonostante i nostri tentativi di imbrigliarli, anche quando l’acqua non sembra più scorrere in superficie. Quella della Piave, che nei giorni più belli virava al verde, con un tono tutto suo, era per lui un simbolo irrinunciabile.
Come non pensare alla bella poesia di Giuseppe Ungaretti “I fiumi”?

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