Collaudi futuristi
- Autore: Filippo Tommaso Marinetti
- Categoria: Saggistica
Il Futurismo è una corrente artistica che ha scelto l’originalità e la creatività come sue parole d’ordine. Quando doveva scrivere un testo introduttivo per l’opera di un altro autore, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), fondatore e guida del movimento, non usava il termine prefazione, bensì collaudo.
Una raccolta di questi brani è stata pubblicata nel 1977 da Guida Editori di Napoli, col titolo di Collaudi futuristi. Di primo acchito, data la sua struttura, si potrebbe pensare a un libro disorganico e privo di un vero contenuto, essendo esso composto da una serie di presentazioni; tuttavia non è affatto così. Non si tratta di un prodotto utile solo a pochi appassionati ed esperti in materia, ma di un testo che ha un suo senso e che può essere tranquillamente letto (e gustato) da chiunque possieda una conoscenza basilare del Futurismo italiano.
Quella di Marinetti era un’intelligenza esuberante, dotata di una creatività incontrollabile, e i suoi collaudi non sono semplici commenti, ma manifesti polemici e saggi, autonomi dai lavori a cui erano abbinati.
“Io ho scritto poche prefazioni ma le mie prefazioni orali o di presentazione o conferenze, furono numerose. Nessuna dettata da opportunismo o da preghiere insistenti. Tutte clamorose. Tutte decisive, per l’intensa luce che hanno proiettato sui nuovi ingegni.”
Rimembra l’autore, che prediligeva di gran lunga le provocatorie serate futuriste:
“Ho preferito sempre le conferenze alla presentazioni scritte, perché più efficaci nel suscitare polemiche”.
Analizzando queste prefazioni una dopo l’altra si riesce ad avere una sintesi di buona parte del pensiero futurista e a farsi una vivida idea dello stile che contraddistinse questa avanguardia. L’artista invoca la fusione dell’uomo con la macchina e l’amore per il record, si scaglia contro “l’immonda genia dei pacifisti”, conia il neologismo “panciafichismo” e rievoca spesso l’uso della violenza messo in atto dai suoi sodali a margine delle loro esibizioni: cazzotti, risse, vandalismo.
Questi proclami sono più coerenti tra loro di quanto si potrebbe credere, e i temi affrontati vanno sempre al di là della sinossi dei volumi che dovrebbero far conoscere al pubblico.
Nelle sue divagazioni, Marinetti vuole riscrivere la storia della letteratura italiana:
“I poeti tradizionali italiani sono magnetizzati dal pessimismo (per me trascurabile) del genio complesso di Leopardi in realtà ottimista perché lieto di scrivere perfettamente”.
Viene rivendicato inoltre il peso internazionale del Futurismo:
“I critici italiani che vogliano evitare l’accusa di cafonismo esterofilo dichiarino al più presto che, per esempio, il libro Berlin-Alexanderplatz [1929] di [Alfred] Döblin [1878-1957] è pieno di parole in libertà e di stile parolibero tipicamente futuristi e di origini italiane; ciò che si può facilmente documentare inquantoché Döblin amico di Herwarth Walden [1878-1941], si trovava vent’anni fa, in qualità di assiduo attento ma sconosciuto discepolo ascoltatore d’ogni mio discorso sulle parole in libertà, in pieno trionfo del futurismo italiano a Berlino”.
Il maestro amava i giovani talenti che voleva portare alla ribalta:
“A vent’anni entrano nel Movimento Futurista, quando il Futurismo conta vent’anni di conquiste ed è più che mai giovanissimo. Non avendo avuto la fortuna di combattere la guerra passata, ammirano religiosamente eroi come [Antonio] Sant’Elia [1888-1916] e [Carlo] Erba [1884-1917], mutilati come [Luigi] Russolo [1885-1947] e i nuovi ordigni micidiali, fiutano la futura guerra”.
Si deve notare inoltre la grande eterogeneità dei tratti distintivi dei numerosi futuristi citati in queste pagine. Tra il Conte Vincenzo Fani Ciotti (1888-1927), in arte Volt, definito “il futurista politico”, e Fortunato Depero (1892-1960) – prendiamo due nomi a caso – esistono grandi differenze: il Futurismo non era una scuola dogmatica e rigida.
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