Cade la terra
- Autore: Carmen Pellegrino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2015
“Cade la terra” (Giunti, 2015) è il primo romanzo di Carmen Pellegrino, scrittrice che si definisce “abbandonologa” ovvero “colei che va per abbandoni, per luoghi morti come paesi, villaggi e li riporta in vita riscrivendone la storia.”
Questa vicenda ha luogo ad Alento, borgo che pian piano viene lasciato dai suoi abitanti sia per un inarrestabile lento franare del terreno sia per le conseguenti scelte di vita degli uomini.
“Il paese, che aveva sempre camminato, ora sembrava aver camminato di più nella sua coperta di fango con gli abitanti che si erano ritirati più a Nord, sopra una porzione di terra meno tremolante.”
Ultima residente ad Alento è Estella, protagonista del romanzo insieme a Marcello. Il tema dell’abbandono faceva già parte della vita della protagonista che, ancor diciottenne, vuol tornare nella sua vecchia casa dopo aver abbandonato lei stessa il convento perché non pronta per la vita claustrale. Ma la vecchia casupola che era stata la dimora sua e della madre ormai ha ceduto al fango e la protagonista deve trovar riparo in altro luogo. Ciò avviene presso la famiglia de Paolis che cerca un’istitutrice per il figlio adolescente Marcello e che in Estella vede subito la persona adatta a questo compito. Lì, nella casa dell’olmo, Estella vedrà passare gli anni e, con essi, anche nascere, crescere, maturare e poi morire tante persone.
Passa il tempo ma per Estella nulla cambia. Così, ogni anno, lei invita a cena, nella vecchia casa che ora la famiglia de Paolis ha abbandonato ma dove lei è rimasta, tante persone che han fatto parte della vita del paese ma anche della sua che, in quei luoghi che franano, pare, invece, aver messo forti radici. Ecco apparire alla cena tanti fra gli abitanti più conosciuti del paese cui è dedicata anche la parte centrale del libro.
C’è Libera, figlia di Cola Forti, colei che era stata costretta ad un matrimonio che l’avrebbe salvata dalla fame con uomo di nessuna finezza e di poche parole, poi Giacinto, il banditore, che solo con l’aiuto della propria voce, passava di via in via a dar notizie al paese e che aveva atteso per tanti anni il berretto gallonato che avrebbe reso ufficiale il suo compito; poi la famiglia Parisi con Lucia, il severo padre Consiglio e la moglie Custoda che s’erano arresi alla luce elettrica solo nel 1960, ben quarant’anni dopo che essa aveva fatto il suo ingresso nel paese e Mariuccia, la figlia tanto debole che aveva perso la vita a causa di un errore medico. Queste persone sono fantasmi poiché non più in vita così come la vecchia Alento; l’unico ancor vivo è Marcello che alla cena partecipa perché legato a Estella da un profondo sentimento mai sbocciato.
I due protagonisti, però, sono assai diversi: lei è profondamente attaccata ai ricordi mentre lui, aperto al nuovo, si è ormai trasferito nella parte più salda del paese ove la frana non può giungere. Marcello ricusa le malinconie di Estella, gli paiono rasentare la follia poiché non riesce a sentire quelle voci che la protagonista ode ancora uscire dai muri delle vecchie abitazioni e che rendono lì, vivi e presenti, tanti fra gli amici di un tempo.
“Cade la terra” non è un romanzo triste, semmai per certi versi melanconico ma anche, paradossalmente, vivo perché posson crollare i muri e tetti ma il passato e i sentimenti non scivolano via. Un romanzo ben scritto, una dimostrazione di bravura e di rara sensibilità da parte di Carmen Pellegrino.
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"Ed ogni notte pesante la terra / cade dagli astri nella solitudine."
Da questa poesia di Rilke, dal titolo "Autunno", prende il titolo "Cade la terra" (Giunti Editore - 2015) primo romanzo di Carmen Pellegrino, visitatrice appassionata di luoghi fatiscenti, ma densi di ricordi, e, come lei stessa si è definita, "cartografa della solitudine".
Protagonista è Estella, una ex suora, scappata alla solitudine del convento, e ritornata in questo immaginario paese, Alento, in cui si ritrova istitutrice del giovane misogino Marcello De Paolis.
Da qui prende il via la prima parte del romanzo, diviso effettivamente in tre atti, che scandiscono, a favore del lettore, la descrizione degli abitanti di questo piccolo paese, agli inizi del ’900.
Luogo destinato a crollare sulle sue fondamenta, perché edificato su un terreno argilloso, il cui unico robusto custode ne diventa il grosso olmo al centro della piazza, fermo rappresentante di un’attitudine alla resistenza e alla memoria, in netta contrapposizione con la caducità della vita dei suoi abitanti.
“È infatti una pazzia credere che basti aggrapparsi a chi è restato. È anzi vero il contrario. Sediamo presso i morti che ci divengono così cari, ne ascoltiamo le parole il cui senso abita in noi e non dobbiamo fare altro che riconoscerlo.”
“D’altronde, nessuno fra i morti se ne va completamente, così come fra i vivi nessuno ci sarà mai del tutto.”
Col passare degli anni, e con l’evidente incremento delle crepe nelle case e dei muri pericolanti, gran parte degli abitanti si sposta nel borgo nuovo, compresa la famiglia De Paolis, tranne Estella, che preferisce rimanere nella vecchia casa, a parer suo, rifugio degli antichi rumori, dei sogni spezzati e dei destini ormai compiuti dei pastori che vi hanno abitato.
“Nella memoria porto i gesti, le moine dei ricordi, mentre davanti a me non c’è che questo modo della casa di restarsene in se stessa, curva come una bestia morente che tenta il riposo”.
In questo libro le parole hanno un suono così melodioso e, a mio parere, consolatorio, che non rimane difficile perdercisi dentro, pur in uno stile, più vicino alla poesia o a una corpulenta prosa, che non a una scorrevole lettura di un romanzo. E rimane altrettanto semplice comprendere come, in una esistenza fondamentalmente solitaria, gli affetti dei ricordi diventano così reali da creare "un nido", quantunque visibile solo da anime simili.
Concludo con un pensiero espresso dal vecchio proprietario dell’emporio del paese, Maccabeo, che sintetizza la filosofia che ho visto dietro la lettura di questa bella storia:
“Se la morte è venuta, amici cari, è anch’essa passata. Perciò noi esistiamo, il nulla non esiste. Il Qui giace… che usate scrivere sulle nostre sepolture non vuol dire sempre qui, nella terra, al triste raduno dei becchi dei corvi. Potete vederci più allegramente a sera, quando scendono le stelle. Cercateci in una pietra grigia al sole, nel canto di un uccello che si è liberato del dolore”.