Le tre guerre del Mediterraneo 1940-1945
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
“Le tre guerre del Mediterraneo 1940-1945” (Edizioni IBN, 2016, pp. 188, euro 16,00) di Carlo De Risio si apre considerando lo scenario del Gennaio 1940: l’Italia non era ancora entrata in guerra e Mussolini si guardava le spalle dall’alleato teutonico. Il Duce pensava di “gettare” al Brennero una montagna di cemento sulle montagne di pietra, per fortificare il valico alpino con l’Austro-Germania e rendere non solo “impossibile”, anche “impensabile” uno sfondamento verso i mari caldi e i cieli azzurri tanto amati dai tedeschi. Si apre con uno scenario incoerente con l’alleanza stretta col Fuhrer il saggio dell’anziano giornalista e scrittore di cose storiche e belliche, pubblicato nella collana Pagine Militari del romano Istituto Bibliografico Napoleone.
Nonostante il patto con la Germania, l’Asse Roma-Berlino, lo obbligasse a entrare in guerra al fianco del Reich fin dal 1 settembre 1939, il capo del fascismo aveva lasciato l’Italia con le armi al piede al momento dell’invasione nazista della Polonia.
“Gli Italiani si stanno comportando esattamente come nel 1914”
era stato il commento stizzito di Hitler.
Questo, fin quando le schiaccianti avanzate delle panzerdivisionen non avevano schiantato le armate francesi e inglesi nel settore belga. A giugno del 1940 la Wermacht stava per marciare sotto l’Arco di Trionfo a Parigi, la Francia era stata umiliata in poche settimane e i resti del corpo di spedizione britannico si erano salvati a stento a Dunkerque. A quel punto, non si poteva non salire sul carro di quello che sembrava il certo vincitore. Ma per l’ex maestro di Predappio, Hitler era solo un imitatore e la grandezza dell’Italia doveva essere dimostrata attraverso una condotta di guerra "parallela". A prescindere dagli obiettivi e dalle mosse tedesche, il Duce voleva successi propri. Non sbarcò a Malta, trascurò l’Africa Settentrionale, abbandonò quella Orientale al suo destino, aggredì la Grecia. E mal gliene incolse.
Fu guerra "separata" per l’Italia rispetto alla Germania e guerre separate delle tre Armi. Esercito, Marina e Aviazione condussero il conflitto ognuna per proprio conto, gelose l’una dell’altra, senza combinare le forze in una strategia comune. L’indipendenza delle tre forze fu sterile e condusse a disastri. Si erano create le premesse per le sconfitte italiane, in rapida successione: i rovesci sul fronte greco-albanese, l’attacco degli aerosiluranti inglesi a Taranto che neutralizzò metà delle nostre corazzate e l’annientamento della Decima Armata in Libia, con la perdita dell’intera Cirenaica. La guerra parallela nel Mare Nostrum era durata appena sei mesi. A seguire intervenne fino all’armistizio dell’8 settembre 1943 quella collaborativa (ma subalterna) con Rommel e il Corpo Aereo Tedesco. La terza fu condotta dai Germanici, da soli, per poco meno di due anni, fino a maggio 1945.
Questo triplice conflitto in uno è quanto intende sviluppare Carlo De Risio, saggista storico di provata qualità. Due fasi condotte una indipendentemente e l’altra al disotto dell’alleato dell’Asse, lasciato solo nell’ultima, dopo il passaggio italiano dall’Italia nello schieramento degli Alleati.
Tra i non pochi paradossi della nostra guerra dalla parte germanica e e poi contro, De Risio mette in luce gli affondamenti inventati e quelli ignorati. I primi fanno capo alle due presunte corazzate silurate in Atlantico dal sommergibile oceanico “Barbarigo”, al comando del capitano di corvetta Enzo Grossi, nel 1942. Si dette enorme risalto, ma nel dopoguerra i contatti con le Marine alleate consentirono di accertare che i successi erano stati un equivoco dell’unità sottomarina. Nessun affondamento nell’una e nell’altra azione. Nella seconda era finita sotto attacco solo una unità minore. Medaglia d’oro revocata a Grossi, tra polemiche a non finire.
Un colpo straordinario per la nostra Marina era stato invece sfortunatamente travisato, nel senso opposto: grandi navi inglesi a fondo, senza che i nostri se ne accorgessero e sfruttassero il vantaggio acquisito. Il 18 dicembre del 1941, tre coppie di incursori subacquei della X Mas minarono nella rada di Alessandria d’Egitto una petroliera e soprattutto due corazzate inglesi, Queen Elisabeth e Valiant. Il caso volle che si appoggiassero però sui fondali bassi, restando in assetto, senza sbandamento e con i ponti emersi sulla superficie. Né i nostri uomini rana (tutti prigionieri), né le foto aeree dei ricognitori in quota potevano rivelare che entrambe le navi da battaglia non erano affatto in efficienza come sembravano dall’alto.
Erano fuori gioco, invece e sebbene recuperate e rimesse in linea non poterono più agire contro la Regia Marina. Solo la Valiant entrò in azione nello sbarco di Salerno, ma l’armistizio aveva già rischierato il Regno dei Savoia dalla parte degli angloamericani vincitori. Poco importava che i fondali del Mediterraneo fossero tappezzati dai relitti di centinaia di navi e di aerei, con un contributo elevatissimo di vite umane: il sacrificio di oltre trentamila uomini dell’Arma Navale e di migliaia di soldati trasportati dalle unità nella navigazione dall’Italia al fronte nordafricano. Con quale risultati?
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