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Recensioni di libri

L’eredità di un giudice. Trent’anni in nome di mio fratello Giovanni di Maria Falcone

Mondadori, 2022 - C’è un prima e un dopo nella vita di Maria Falcone, attivista antimafia dal 1992, testimone instancabile della memoria del fratello Giovanni Falcone, anzi dell’“eredità di un giudice”, impegnata in un’incessante e ammirevole attività di educazione alla legalità, soprattutto nelle scuole.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 23-05-2022
L'eredità di un giudice. Trent'anni in nome di mio fratello Giovanni

L’eredità di un giudice. Trent’anni in nome di mio fratello Giovanni

  • Autore: Maria Falcone
  • Genere: Storie vere
  • Casa editrice: Mondadori
  • Anno di pubblicazione: 2022

Nel volume L’eredità di un giudice (Mondadori 2022, Collana “Strade blu”) Maria Falcone, professoressa di diritto negli Istituti superiori, presidente della Fondazione Giovanni Falcone, insieme a Laura Sirignano, giornalista dell’ANSA, rievoca “Trent’anni in nome di mio fratello Giovanni”. Come recita il sottotitolo del testo, Maria Falcone racconta il proprio impegno di tramutare il dolore privato in testimonianza universale, dal giorno della strage di Capaci, lungo l’autostrada che da Trapani porta a Palermo, avvenuta il 23 maggio 1992, dove il fratello magistrato Giovanni Falcone venne assassinato da Cosa Nostra insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”.

Memoria e responsabilità, concetti base per Giovanni Falcone, una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Concetti nodali anche per Maria Falcone, la quale, partendo dall’esergo del libro, una frase dello scrittore, poeta e drammaturgo portoghese José de Sousa Saramago, rende testimonianza del fatto di come la sua esistenza sia cambiata dalla strage di Capaci. E come sia cambiata anche la sensibilità di una Nazione, non solo a Palermo, ma in tutta Italia, i cittadini non più indifferenti, come le Istituzioni. Inizio di quella mutazione culturale, morale e delle coscienze che lo stesso Giovanni Falcone riteneva indispensabile per poter combattere la mafia su larga scala.

“La casa è piena di persone. In Sicilia si usa così quando muore qualcuno. È il rituale del cordoglio, la liturgia della morte e va osservata”.

È il 23 maggio del 1992. La strage di Capaci si è appena compiuta. Cosa Nostra, pur di uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone, “vero siciliano” (1), ha deciso di far saltare in aria persino un tratto di autostrada A29 alle 17,57 mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate. È morto un uomo timido, schivo, riservato, che diffidava degli adulatori, con un altissimo senso dello Stato e che faceva quello che riteneva giusto con serietà.

Giovanni Falcone “non era un eroe”. Un trauma inaspettato la notizia della morte dell’amatissimo fratello per Maria Falcone, che apprende che la sua vita è stata stravolta dalle cronache di un telegiornale, un sabato pomeriggio di maggio, mentre sta preparando la torta con panna e fragole per il compleanno dello stesso Giovanni.

“C’è stato un attentato al giudice Falcone, sembra sia solo ferito, non si conoscono le condizioni della scorta”.

Nessuno ha il coraggio di dire nulla a Maria Falcone, neanche Elisa, la sua migliore amica. La Questura informa Maria Falcone che suo fratello è stato trasportato all’ospedale Civico di Palermo. Giunta al Pronto Soccorso, all’ingresso Paolo Borsellino la scorge da lontano, le va incontro e la abbraccia singhiozzando, dicendole:

“Giovanni è morto tra le mie braccia”.

C’è un prima e un dopo nella vita di Maria Falcone, attivista antimafia dal 1992, testimone instancabile della memoria del fratello, anzi dell’ “eredità di un giudice”, impegnata in un’incessante e ammirevole attività di educazione alla legalità, soprattutto nelle scuole. Promuovere dunque la cultura della legalità e della lotta antimafia nelle giovani generazioni, è questa la missione di Maria Falcone, ambasciatrice di legalità.

“In questi trent’anni ho raccontato i giorni della strage un’infinità di volte: agli amici, ai giornalisti. Una cronaca dolorosa che è servita anche a me, per mettere ordine nei pensieri, nei ricordi”.

(1) Definizione di Giovanni Falcone da parte della giornalista francese Marcelle Padovani nel docufilm di Gino Clemente “Chiedi chi era Giovanni Falcone”, ritratto tra pubblico e privato del magistrato ucciso a Capaci trenta anni fa, ora disponibile su RaiPlay

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’eredità di un giudice. Trent’anni in nome di mio fratello Giovanni

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