533 - Il libro dei giorni
- Autore: Cees Nooteboom
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2019
Leggere 533. Il libro dei giorni (Iperborea, 2019 traduzione di Fulvio Ferrari) significa esaudire uno dei grandi sogni di ogni lettore, inoltrarsi cioè nella quotidianità e nell’intimità di un autore, fissarlo mentre compie i gesti e le letture in maniera assolutamente banale e poter restare immobili ad ammirare, non senza un inspiegabile piacere, tutto ciò che precede o segue l’unica traccia visibile di quest’ultimo, l’opera.
Se si aggiunge che l’autore in questione è Cees Nooteboom, il grandissimo scrittore olandese da anni candidato (ed ingiustamente non ancora premiato) al Nobel, questa perversione da voyeur aumenta in maniera esponenziale. L’ultima sua pubblicazione, rilegata nel rettangolo oblungo delle splendide edizioni Iperborea, è, come scrive lo stesso Nooteboom, non un vero e proprio diario quanto piuttosto:
uno strumento per trattenere di tanto in tanto qualcosa del flusso dei pensieri, delle letture, di quel che si vede.
Nooteboom è il creatore, con romanzi, raccolte di versi e reportage, di una preziosa fenomenologia del viaggio, sia quest’ultimo reale, immaginario, linguistico, storico o totalmente individuale. Col suo passo instancabile e il suo occhio sempre vigile, diviso fra i paesaggi e le letture come il collega italiano Claudio Magris, sempre in prima linea come l’altro immenso scrittore in viaggio Ryszard Kapuscinski. In questa occasione l’autore si limita ad uno spazio piccolissimo, il giardino della sua casa a Minorca, l’isola spagnola dove ormai da parecchi decenni si ritira nei mesi estivi. La grande lezione di questo volume è proprio la possibilità del viaggio in uno spazio così angusto, la grande ricchezza recintata da un muro a secco e fatta di cactus in fiore, falene, uccelli e un asino che raglia ogni sera per ricevere la sua quotidiana carota. Come col giardino della Dickinson, quell’orizzonte microscopico che le ha permesso di sondare l’eternità, la morte, l’immenso e di diventare una tra le più potenti voci poetiche di tutti i tempi, anche Nooteboom scorge nella natura in miniatura che incornicia la sua dimora un invito a profonde ed universali riflessioni.
Le tempistiche bislacche della fioritura, l’anonimato di piante e insetti, l’azione distruttrice di una tempesta o l’immobilità estenuante e quasi mortuaria dei gechi sul soffitto sono le tappe di questo viaggio inaspettato, destinato a mai esaurirsi perché, a fronte dei pochi metri quadri di fiori ed erba, “ottant’anni che sono al mondo e non capisco niente di cactus, ragni, tartarughe. Morirò stupido”. Qui la maggiore somiglianza coi suoi celebri reportage; così come in un paese straniero, fra lingue e culture totalmente opposte alle nostre e a tratti incomprensibili, anche nello spazio chiuso fra l’uscio di casa ed il cancello sulla strada bisogna mantenere uno sguardo curioso verso l’alterità e la novità ed elaborare gli insegnamenti che ci vengono incontro come uno sciame di imput in un primo momento enigmatici.
Ma c’è un’altra immagine che torna ossessiva e che riecheggia fra le pagine di questo volume. Si tratta del motto a chiusura della più celebre opera di Voltaire, l’insegnamento al quale il personaggio principale Candide giunge dopo aver vissuto mille tribolazioni nella sua lunga esistenza fatta di viaggi e sofferenze: ciò che conta nella vita è coltivare il proprio giardino.
Cees Nooteboom riflette su questo lapidario invito all’autosufficienza e si chiede se non sia infine arrivato per lui il momento di ritirarsi definitivamente nel suo proprio giardino, si interroga sulla possibilità di trasformare la sua seconda casa spagnola in un eremo, ripensa ad una sorta di pensionamento dalle cose del mondo, alla quasi sconfitta generazionale di un più che ottantenne di fronte ad un mondo che sì cambia e Nooteboom lo sa bene, ma che forse sta diventato sempre più inaccessibile per lui. Ma se il dubbio persiste, tutto sembra spingerlo alla scelta opposta. A Minorca arriva pur sempre la voce dei notiziari, si leggono i giornali, si ricevono le nuove pubblicazioni da mezzo mondo, col computer è possibile acquistare il biglietto aereo per il prossimo viaggio e le onde che circondano interamente l’isola sono quelle del Mediterraneo, portatrici costanti della terribile attualità dell’Europa sotto forma di sbarchi e orribili naufragi. Il libro, che possedeva tutte le carte in regola per trasformarsi in una fantasiosa monografia di botanica ed entomologia, si colora così di infinite digressioni, dalla morte di David Bowie al movimento indipendentista in Spagna, dalla politica estera dell’Unione Europea alle foto dell’universo mandate sulla terra da sonde spaziali lontane anni luce. Il desiderio di ritirarsi persiste, spesso è consolante immaginarsi a galla nella placida intimità della nostra singola individualità, eppure “io faccio del mio meglio”, si legge non proprio in chiusura del libro, come in un assioma incontrovertibile, “ma il mio giardino si trova nel mondo, che lo voglia o no”.
La terza componente, in perfetto equilibrio tra la vastità del mondo e la ricchezza della vegetazione, è costituita dai libri. I libri letti e quelli scritti, uniti in un unicum indissociabile e descritti come un’inspiegabile, ma non casuale catena di rimandi, una rete ampia e caleidoscopica, formata dalle solitudini dei singoli autori, ma tenuta assieme dalla fantasia che “per chi vive di scrittura non è mai lontana”. Per tale ragione, fra le ansie per un arbusto che si è incaponito nel non voler dar fiori e le riflessioni sul binomio fra potere e statura fisica, si aprono squarci sull’arte della scrittura, riferimenti a Borges e Dante, analisi sul bilinguismo, puntuali descrizioni dei rapporti personali fra scrittori nonché un ampio ed interessante invito alla lettura della narrativa ungherese del Novecento.
Può apparire una forzatura, parlando di questo volume così pieno di alberi e foglie, definire 533. Il libro dei giorni di Cees Nooteboom una preziosa antologia nel senso etimologico del termine, ovvero un bouquet di profumate riflessioni dalla prosa mai noiosa con il quale abbellire l’interno della nostra libreria personale. Ma è davvero così. E persiste inoltre il gravoso problema delle antologie stesse, in particolar modo di quelle che più si amano e che maggiormente ci interessano: si vorrebbe non finissero mai.
Dopo duecentotrentaquattro pagine e al capitoletto numero ottanta questo libro termina, ma lo fa con una immagine che immancabilmente si impone, benché non esplicita, come una metafora dell’autore stesso: l’anziana, ma non obsoleta sonda spaziale Voyager, lanciata nello spazio sul finire degli anni settanta ed arrivata già ben oltre le frontiere del nostro “piccolo” sistema solare, continua a mandarci notizie preziose dal vasto universo nel quale si trova a viaggiare e continuerà a farlo finché dei problemi tecnici, l’eccessiva usura dei suoi marchingegni o più probabilmente una insormontabile distanza dalla Terra, non la obbligherà al definitivo silenzio. Il giardino di Nooteboom sembra infine allargarsi alle dimensioni inesprimibili di un intero cosmo e lui stesso sembra darci appuntamento al suo prossimo volume.
533. Il libro dei giorni
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