Una lama di luce
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2012
“Le luci! Il lampo di luci!” è l’indizio che mette sulla strada giusta il commissario Montalbano, quella “lama di luci che l’aveva pigliato nell’occhi” necessaria per venire a capo di una serie di episodi inquietanti che s’intrecciano nel ventinovesimo episodio della saga del poliziotto di Vigàta.
“Si susì, raprì la finestra. Il cielo per metà era ancora cilestre, ma l’autra mità stava cangiando colori, tirava al grigio per via di ’na coperta di nuvole uniformi e chiatte che vinivano dal mare”. L’umore meteoropatico di Salvo era simile al cielo anche a causa di un sogno “tradimintoso” che lo aveva “’mpressionato assà”. Un sogno “’ngamnnatori” giacché “ogni particolari, ogni dittaglio sunno prisintati in modo tali da d’aumentari il senso di realtà”.
Lo squillo del telefono aveva interrotto la doccia di Montalbano, Fazio comunicava al commissario che il ministro dell’Interno era in procinto di visitare il centro di accoglienza di Vigàta saturo d’immigrati dopo l’ultimo sbarco di clandestini. Una “grannissima rottura di cabasisi” per Montalbano da sempre refrattario a incontrare i vertici della pubblica autorità. Non restava che accusare una malattia di circostanza: “sugno corcato con la ’nfruenza e mi scuso per l’assenza. E con molta osservanza mi gratto la panza”. In questo giorno dedicato all’Illustrissimo Ministro che all’ultimo momento “aveva cangiato idea e sinni era ripartito per Roma senza passari da Vigàta” perché aveva saputo della violenta protesta che gli immigrati avevano organizzato, Salvo aveva deciso di visitare “la prima galleria d’arti che si rapriva a Vigàta”.
Tra i dipinti esposti, opere di Donghi (tra le quali forse la stessa che si trova sulla copertina del volume, una lineare figura di Giovinetta 1931), di Guttuso, di Pirandello e di Morandi. Il capolavoro era però rappresentato da Mariangela De Rosa (Marian) la proprietaria della galleria “’na quarantina aliganti, vistito a tubino, bedda, àvuta, gamme slanciate, occhi granni, zigomi rilevati, capilli longhi e nivuri come l’inca”. Un’apparizione per Montalbano travolto come un ciclone dalla donna, un coup de foudre dalle inevitabili conseguenze. La solitudine di un uomo non più giovane, la lontananza da Livia da tempo diventata solo una voce ascoltata attraverso il telefono e la passione per Marian che non era stata solo l’avventura di una notte. Tutte questioni importanti da affrontare, perché la liaison tra l’insicuro commissario e la gallerista “annava pigliata di petto”.
Mentre nei sogni premonitori del commissario Catarella discetta in lingua latina e un tabbuto “è occupato da un catafero di morto”, la realtà vigatese è fatta di una presunta violenza sessuale e di un traffico d’armi, della solita “ammazzatina” e dei dubbi di Salvo stretto tra il lavoro e i dilemmi sentimentali. Come sarebbe stata la tua vita Montalbano se avessi sposato la tua storica fidanzata Livia e avessi adottato Francois?
Una riflessione che Camilleri non a caso pone proprio in questo romanzo che conferma l’estrema bravura dello scrittore orgoglio e vanto nazionale tradotto in oltre trenta paesi. “Montalbano è un lungo ritratto di mio padre, come ha scoperto mia moglie, io non me ne ero accorto... ” ha ripetuto più volte Camilleri. Tranquilli affezionati lettori, “Montalbano non muore e non va in pensione”. Parola del suo autore. “La matinata, sin dalla prim’alba, si era si era addimostrata volubili e capricciosa”.
Una lama di luce
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E’ di un Montalbano che sta invecchiando il profilo evidenziato sin dalle prime battute del romanzo “Una lama di luce” (Sellerio, Palermo 2012). Lo incontriamo in una campagna desolata e solitaria, dove era stata trovata una cassa con dentro un cadavere. Insolitamente Catarella si esprime in latino, mentre inaspettatamente il morto resuscita e mostra le sembianze del questore Bonetti-Alderighi. Del tutto onirico dunque l’incipit del romanzo. Un sogno premonitore? La visita a una galleria d’arte a Vigata lo mostra intenditore dei quadri esposti e qui conosce Marian, la gallerista verso cui prova un certo interesse fino all’innamoramento. Il deterioramento del rapporto con Livia è chiaro, non c’è più alcuna intesa fra i due anche se lei non manca telefonicamente di farsi viva per comunicargli lo stato ansioso di cui ignora la causa. E’ anche nello scenario di consuntivi fallimentari che prende il via l’intrico del giallo. Lo caratterizzano tre aspetti: una denunzia per aggressione a mano armata, un traffico d’armi, affari illeciti nel mercato di opere d’arte. Di efficacia narrativa sono le pagine che mostrano l’abilità strategico-investigativa di Montalbano. E gradevolmente scorrevoli i brani inerenti alla sua storia personale da cui affiorano particolari vissuti evocati da toccante meditazione. Il bilancio che egli fa, a partire dalle riflessioni sulla sua solitudine di uomo, si frantuma nell’insuccesso. Non aveva avuto, riflette, neanche la vocazione al matrimonio: “se si fusse maritato con Livia si sarebbero lassati doppo appena qualchi anno di matrimonio, ne era certo come la morti”. Ripensa a Franҫoise, il ragazzino tunisino che lei avrebbe voluto adottare, ma che lui, per mancata assunzione da parte di adeguate responsabilità, aveva preferito affidarlo alla sorella di Mimì Augello. Di carattere difficile per i condizionamenti della sorte subita, dopo aver compiuto ventun’anni era fuggito da casa: “L’avivano circato per mari e per terra, ma era arresultato ‘ntrovabili. E accussì s’erano addovuti rassignari. Ora che avia vinticinco anni, va a sapiri unni gli lucivano gli occhi”. E’ un Montalbano, questo che, rapportandosi al passato, si lascia contagiare dall’emozione, mostrandosi all’opposto dello scaltro decisionista nell’esercizio del lavoro di poliziotto. Sulle decisioni riguardanti la sfera affettiva ora appare nelle vesti del “cunctator", del temporeggiatore che rinvia di comunicare a Livia la fine del loro rapporto, a maggior ragione che ora gli incontri con Marian si fanno sempre più passionali. Lei è determinata nel cercarlo con la forza d’un trasporto sincero e sensuale; lui non oppone alcuna resistenza ed è disponibile a intraprendere con lei un nuovo percorso. Quale il ruolo di queste due donne, così diverse di carattere, nel corso della vicende che si aggrovigliano così sorprendentemente da tenere sempre deste l’attenzione e la curiosità del lettore? Camilleri, si sa, è un maestro nell’architettura dell’epilogo: l’azione si conclude lungo un tracciato inatteso e ogni tassello, nello stesso tempo, si incastona perfettamente nell’altro. La metafora della “lama di luce”, dapprima avvolta nella difficile decifrazione, alla fine rivela la chiarezza della drammaticità. I fatti, che hanno qualcosa della tragedia greca nell’ambito degli affetti privati, gli danno in un certo senso ragione. L’atteggiamento di irresolutezza, che poteva apparire come viltà, finisce con il ribaltarsi nel suo contrario.