Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto
- Autore: Jean d’Ormesson
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2014
- In uscita il 7 maggio 2014
“La sapete una cosa? Tutto cambia. Il clima, dicono. O la statura dei giovani. I regimi, le frontiere, le monete, gli abiti, le idee e i costumi”.
Tutto scorre, panta rei avrebbe detto Eraclito, ricorda l’autore Jean d’Ormesson, uno dei più celebri scrittori e intellettuali francesi, nato a Parigi il 16 giugno 1925. Partendo dall’aforisma del filosofo greco, lo scrittore e giornalista si diverte a concepire un saggio/romanzo arricchito da ricordi della sua vita passata, quando i d’Ormesson erano i soli a incarnare “il buon gusto, la sicurezza del giudizio, la bontà di spirito, l’eleganza”. Ora invece
“si è sparsa una voce: il libro sta morendo. Sono tremila anni che i libri ci fanno vivere. Sembra che sia finita. Ci sarà qualcos’altro”.
Per ora trionfa la noia in un mondo nel quale tutti scrivono e niente dura più, si vuole solo “guadagnare denaro”. D’Ormesson, figlio di un diplomatico, non rimpiange il passato, “né il latte versato dei bei tempi che furono. Sono qui, ed è tutto”, si arrangia nella sua epoca. Ricorda la sua infanzia a Pressis-lez-Vaudreuil e il nonno, già descritti nel suo libro capolavoro A Dio piacendo.
“Per lungo tempo sono stato giovane. Ho avuto fortuna. Avevo un padre e una madre, un fratello, una governante tedesca che si chiamava Fräulein Heller e che io chiamavo Lala”.
L’autore, eletto all’Accadémie Francaise nel 1973 a soli 48 anni, rammenta con dolcezza i giorni dorati, quando le cose cambiavano molto lentamente. Allora in quella “Atlantide sommersa” a dominare la scena era la figura del nonno, perché appena tornava l’estate era già il tempo delle vacanze a Pressis-lez-Vaudreuil. L’avo detestava il mondo moderno, aborriva il progresso, i suoi sfarzi e le sue opere, si rifugiava nel passato e “dava una smisurata importanza ai modi di comportarsi e di parlare”. Se Jean chiude gli occhi, rivede tutto: la nonna vestita sempre di nero, le mani coperte dai mezzi guanti, nessun gioiello, seduta immobile e quasi assente in un casotto di salice che la protegge dal sole e dal vento. “È una grande diva del muto”. Ecco se stesso bambino appena sveglio la mattina spiare attraverso le persiane la luce del sole che sta per sorgere, saltare giù in fretta dal letto per approfittare di quel giorno simile al giorno prima e all’indomani. In questa atmosfera rarefatta e immobile come in una pellicola di Luchino Visconti, il clan d’Ormesson all’ombra del castello e nel grande parco della proprietà era sempre più consapevole che ciò che contava prima di tutto era la famiglia che estendeva i suoi tentacoli lontano nel passato e nello spazio.
“Sappiamo, beninteso, che c’è un futuro di fronte a noi. Preferiamo di gran lunga il passato dietro di noi. Ma siamo molto sereni di fronte all’ineluttabile”.
Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto (Clichy, 2014, titolo originale del volume Un jour je m’en irai sans en avoir tout dit, traduzione di Tommaso Gurrieri), rappresenta il testamento letterario e spirituale di uno dei più grandi scrittori del Novecento. Un autore di culto tradotto in tutto il mondo, direttore per anni del quotidiano Le Figaro, che è stato Presidente dell’Unesco e ambasciatore francese all’Onu. Ora che si avvicina il vento della sera, parafrasando il titolo di uno dei tanti libri dell’autore, d’Ormesson stila un personale bilancio di vita, con levità e grazia secondo il suo stile, che tocca temi importanti quali religione, filosofia e scienza.
“Aprite gli occhi. Cosa vedete? Microchip. Macchine dappertutto”.
Il cellulare per l’uomo moderno “ha preso il posto del rosario”, mentre Facebook “è una comunione senza Dio, riempita di confessioni”. L’uomo, che confessa di aver amato la bellezza e divertirsi e che è stato educato dai propri genitori “nel rispetto del lavoro e nel disprezzo del denaro”, è sempre più convinto che eadem sunt omnia semper (Lucrezio docet) cioè che niente cambia, anche se l’apparenza ci dimostra il contrario. Nel volume c’è anche spazio per ricordare ai suoi tanti lettori che fu proprio Roma il luogo dove nacque l’ispirazione per la redazione di Au plaisir de Dieu. Alla pag. 135 del libro si potrà scoprire come.
“Sono nato in un mondo che guardava all’indietro. Il passato in quel mondo contava più del futuro. Mio nonno era un bel vecchio molto retto che viveva nel ricordo...”.
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