Un autunno d’agosto
- Autore: Agnese Pini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2023
“Mentre la guerra torna a fare paura”, c’è una frase che spaventa sulla copertina di un libro recente. E c’è la foto, di quelle di una volta, di una bambina di ottant’anni fa, sopra il timbro di un’aquila con le ali spiegate e le croci uncinate sotto gli artigli.
Un simbolo greve, spietato come le armi delle SS di Reder che seminarono la morte tra i civili in una frazione montana della Lunigiana.
In autunno cadono le foglie, il 19 agosto 1944 a San Terenzo Monti sulle Apuane caddero vite innocenti. Un eccidio dimenticato, fatto rivivere da una discendente che trova umanità e amore nelle vittime, non potendo trovare un senso in quell’episodio rimasto senza giustizia (un solo responsabile ha fatto i conti con la storia e neanche completamente). L’ennesima strage nazifascista, un’altra delle storie che il Paese non ricorda, ma una storia della propria famiglia per la giornalista e scrittrice Agnese Pini. L’autrice la ricostruisce in un romanzo e documento civile pubblicato da Chiarelettere, Un autunno d’agosto. L’eccidio nazifascista che ha colpito la mia famiglia. Una storia d’amore mentre la guerra torna a fare paura.
La bimba della fotografia, Clara Cecchini, figlia dei mezzadri, aveva sette anni e sopravvisse, ferita, coperta dai corpi dei genitori, fratelli, vicini, conoscenti, amici, tutti massacrati. Per una “combinazione di scelta e caso”, la nonna dell’autrice scampò alla strage, la bisnonna invece cadde con gli altri, ma è per quella “combinazione” che sua madre è poi nata e nel 1985 è nata lei.
È grande Agnese Pini, ma è tornata piccola per realizzare questo libro, il suo primo. Grande per prestigio professionale se non di età: non ancora quarantenne, dirige dal 2019 de La Nazione, prima donna in quel ruolo nei 160 anni del quotidiano e dall’estate 2022 è anche direttrice delle altre testate del gruppo, il Resto del Carlino, Il Giorno, Quotidiano Nazionale.
Piccola, perché tornata la bambina che ascoltava i discorsi degli adulti non considerata. Andavano a finire inevitabilmente sul 19 agosto e a lei non sfuggiva lo sgomento negli occhi della nonna. Jolanda non aveva mai superato la paura e non sopportava di sentir parlare tedesco.
La rappresaglia nazista aveva colpito inermi, donne, bambini uomini non giovani, della frazione di Fivizzano in provincia di Massa Carrara, come a Sant’Anna di Stazzema, non lontano e a Marzabotto, sopra Bologna. Ma non si trattava soltanto di dieci italiani per un tedesco, lo scopo era terroristico: fare il vuoto nelle retrovie; incrudelire il conflitto; fiaccare il morale di chi non cede, colpirlo nei sentimenti, negli affetti; spazzare via la dignità, la socialità, la normalità della vita del nemico, di ogni nemico. Oggi i russi fanno lo stesso quando bombardano caseggiati civili a 700 km dalle trincee di Bakhmut assediata, dove si combatte una guerra di un secolo fa.
Agnese Pini seguiva quello che dicevano, lo assorbiva, poi non ci ha pensato più, quando un anziano collaboratore da Fivizzano l’ha contattata nel 2019, aiutata a guardare a San Terenzo con altri occhi, inducendola a mettere ordine tra “quei sogni e quegli incubi”.
Il 17 agosto 1944, una formazione partigiana sorprese sul torrente Bardine un reparto di SS al comando del tenente Fischer. Sedici nazisti morti, dopo tre ore di combattimenti. A lungo, la gente di San Terenzo non ha bene visto i partigiani nelle cerimonie commemorative. Li accusavano di voler celebrare quell’attacco, uno dei principali atti resistenziali sulla Linea Gotica, che aveva provocato la reazione dei tedeschi. Non perdonavano di non essere rimasti a difendere il paese. Ma come avrebbero potuto farlo, venti ragazzi contro cinquecento nazisti, che il 19 agosto arrivarono armati fino ai denti?
Solo a notte fonda nei paesi vicini ci si fece forza. Raggiunsero la fattoria nella borgata Valla, trovando viva solo una bambina, Clara, in mezzo ai cadaveri. Era rimasta sotto i corpi, mentre le SS finivano chi agonizzava.
Quando il maggiore Walter Reder, comandante della 16ª Divisione Reichsführer-SS, aveva firmato l’ordine di esecuzione, il numero dei condannati era centocinque, per conseguire il numero finale: centosessanta. Si sarebbero aggiunti ai cinquantatré prigionieri di Valdicastello impiccati con il fil di ferro ai filari di Bardine ed ai coniugi Vangeli, uccisi sotto gli occhi della figlia Maria. Ma Alba e la piccola Adelitta erano scappate, dalla finestrella della cucina dei Cecchini e sotto il pergolato finirono in centotrè. Cinquantaquattro erano donne, ventisei bambini. Il parroco, don Michele Rabino, era stato ammazzato ore prima, mentre dava da mangiare ai conigli. Il mugnaio, massacrato nel campo di fagioli.
Tutti i fatti narrati sono veri, i nomi, i luoghi, le case, i momenti, Agnese Pini avverte che:
La resistenza civile di una nazione, di un popolo, di un paese - perfino uno minuscolo come San Terenzo - si può tenere viva soltanto restituendo piena verità e piena dignità anche al destino degli ultimi.
Il libro è dedicato a loro, straziati dalle armi e cancellati dalla memoria.
Le vittime del pergolato vennero devastate dalle pallottole delle mitragliatrici piazzate a distanza ravvicinata.
Le MG tedesche avevano una cadenza di tiro altissima, tra 1200 e 1500 colpi al minuto e una gittata di due chilometri. I nazisti le avevano piantate in terra sui treppiedi a meno di quindici metri dai bersagli umani.
Prima delle esecuzioni, a Valla, per radunare le donne e i piccoli le SS dicevano di voler fare una foto. Un soldato prese a suonare un organetto. “Tanzen”, ballate.
Reder, “il Monco”, aveva seminato gli Appennini di donne e bambini morti, dal Tirreno a Marzabotto. Condannato all’ergastolo per crimini di guerra, venne liberato nel 1985. È morto nel 1991 in Austria, dopo avere ritrattato la richiesta di perdono agli abitanti di Marzabotto.
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