Smith & Wesson
- Autore: Alessandro Baricco
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
A vent’anni dall’uscita di “Novecento“, Alessandro Baricco torna in libreria con una storia in due atti ambientata nei primi anni del Novecento, in un posto vicino alle cascate del Niagara.
I protagonisti, Smith e Wesson, per omonimia portano i medesimi cognomi di Horald Smith e Daniel B. Wesson, fondatori di una delle più importanti fabbriche di armi leggere. Quelli di Baricco, Tom Smith e Jerry Wesson, hanno a loro modo un’altra grande impresa da compiere.
Wesson passa parte del suo tempo steso a letto nella sua baracca e recupera corpi dal fiume, mentre Smith si definisce un meteorologo o anche un inventore. Un giorno alla porta di quella baracca bussa Rachel Green, una giornalista di ventitré anni con il sogno di scrivere per davvero, che deve scrivere, in dieci giorni, un pezzo da prima pagina per il suo capo.
Quello che pensa è che in qualche modo lei stessa può creare una notizia da prima pagina, buttandosi dalle cascate del Niagara, dove tanta gente sceglie di morire. Lei si butterà per vivere e non per morire, ma ha bisogno, per farlo, dell’aiuto di Wesson che conosce bene il fiume e di quello di Smith che, da inventore, sceglierà un modo particolare di farla saltare da quelle cascate.
Come andrà a finire? Riuscirà Rachel in questo “salto“, che in qualche modo ci appartiene? Perché “tanti saltano nelle stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi“.
La storia ha un sapore tranquillo, nonostante l’idea forte e bizzarra dei protagonisti, che si delineano piano piano, con dialoghi abbastanza serrati che spesso diventano un’ironica piccola disputa. Nonostante questo, però, non riescono effettivamente a entrare nella mente del lettore o almeno per me è stato così.
Lode sempre alla penna geniale e fine di Baricco, ma stavolta i suoi personaggi sono appena abbozzati e, quando si chiude il libro, pare di aver letto una storia lontana, di un paio di sconosciuti che non sono riusciti a entrare, e soprattutto a restare, nel nostro mondo.
Smith & Wesson
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Il versatile Alessandro Baricco offre, questa volta, un’opera teatrale che si presta bene sia a una rappresentazione dal vivo che ad una trasposizione cinematografica.
Se ne riconosce subito la paternità, e, nei dialoghi e nelle didascalie, sembra quasi di sentire la voce dell’autore, cara ai numerosissimi estimatori di questo grande talento, che ha lasciato tracce indelebili nella memoria anche come conduttore di trasmissioni televisive ( “L’amore è un dardo”, “Pickwick”) e nella commovente lettura radiofonica di “Furore” di J.Steinbeck.
Il Baricco musicologo divide “SMITH & WESSON” in due atti, ciascuno dei quali è segmentato in movimenti, come un’opera sinfonica (Allegro, Andante, Allegro Andante, Notturno in tempo Andante, Molto Allegro e così via).
Il registro della lingua che i personaggi parlano è informale, giovanile e ricco di turpiloquio, nonostante essi si rivolgano l’un l’altro usando il “LEI” e bisticciano sull’appropriatezza dei termini alla maniera di Ben e Gus in The Dumb Waiter , di tanto in tanto contraddicendosi o scambiandosi i ruoli, proprio come avviene nella quotidianità nei rapporti umani reali, spesso illogici.
Fin dalle prime battute è forte il sentore dei grandi del teatro dell’assurdo che rievocano, particolarmente il Beckett di Waiting for Godot e il Pinter di The Dumb Waiter: il setting (una povera baracca non distante dalle Niagara Falls nel 1902); i personaggi: due, Smith e Wesson, che più avanti diventano tre con Rachel, e una grande assente che in realtà tira le fila degli altri come un burattinaio e che corrisponde per lo più all’autore, ovvero la bella, irraggiungibile e chiacchierata signora Higgins che comparirà verso la fine della pièce. Più avanti la scena si sposta all’aperto, alle cascate del Niagara, meta frequente di viaggi di nozze come ironicamente sottolineato da Gregory Corso nella sua famosa poesia Marriage e sito in cui molti disperati decidono di porre fine alla propria esistenza saltando nel vuoto.
Anche in “SMITH & WESSON”, le didascalie, alcune volte assai dettagliate, indicano pause, una sola volta pausetta, e sono più numerose dei silenzi che non hanno però la gravità e la tensione dei celebri esempi citati. Un ingrediente che invece abbonda come in quelli ( e si pensa alle realizzazioni in lingua originale in Gran Bretagna, poiché in Italia, non si sa perché si tende a metterne in rilievo la drammaticità soltanto), è la comicità, per cui il divertimento è assicurato per il lettore, mentre il ritmo dell’azione cresce fino allo spasmo nel secondo atto con un coinvolgimento totale degli spettatori, grazie alla magia della finzione teatrale o cinematografica con i suoi effetti speciali visivi e sonori efficacemente indicati. Affascinante la trovata del teatro che diventa la botte di birra in cui viene lanciata Rachel che coincide col pubblico tutto, che ne condivide il respiro e la paura, ma anche l’aspirazione all’autoaffermazione, il sogno di scrivere ed essere apprezzata.
Il contenuto è semplice: in una baracca, non distante dalle Niagara Falls giace da giorni a letto Wesson, meglio conosciuto come “il pescatore”, un mezzo fallito, ma esperto nel ripescare cadaveri dei suicidi nelle cascate, figlio di un padre severo e ingombrante per la sua fama di eroe, da cui ha ereditato le mappe minuziose del letto delle cascate. Si sta disintossicando attraverso una dieta a base di zuppa di fave, quando è raggiunto dallo sconosciuto Smith, un altro bizzarro mezzo fallito, inviato dalla Signora Higgins e ricercato dalla polizia di quattro stati dell’Unione, col pallino della meteorologia e che è alla ricerca di dettagli privati che gli consentano di riempire tabelle meteorologiche. Tale elemento farà scaturire inaspettatamente fra le più belle pagine dell’opera, consentendo allo spettatore riflessioni stimolanti sull’importanza dei ricordi e delle ricostruzioni storiche. Per Smith si tratta di una vitale attività non remunerata, perché come lui stesso afferma poeticamente “ è bello, perché adoro disseppellire i giorni, a uno a uno, dalla memoria della gente. E’ come un solitario, è come girare a una a una delle carte sul tavolo, mi rilassa, mi intrattiene, è piacevole”.
Ancora una volta dietro suggerimento della signora Higgins, la proprietaria dell’Hotel Niagara Falls, i due sono raggiunti da Rachel Green, ventitreenne aspirante giornalista, sfruttata e abusata dal capo, e che, onde evitare l’imminente licenziamento, deve trovare un tema accattivante per un articolo di prima pagina. Ha in mente quello di lanciarsi dalla sommità delle cascate, il 21 giugno, nel tentativo di sopravvivere anziché, come di solito avviene, di soccombere. In questa impresa dal dubbio esito, l’aiuteranno con le loro diverse competenze Smith e Wesson contribuendo, in ogni caso a far venire alla ribalta la giovane disperata.
Evidente l’attenzione dell’autore sull’eterno tormento dell’artista impegnato nella creazione dell’opera e umanamente preoccupato del suo potenziale successo o fallimento.
Lettura assai piacevole, consigliata vivamente, in attesa di vederne la rappresentazione teatrale o la realizzazione filmica.
Applausi!