Si può tornare indietro
- Autore: Ada Murolo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Ada Murolo ritorna alla narrativa di memoria con “Si può tornare indietro”, romanzo che si potrebbe quasi ascrivere al genere “romanzo storico”, anche se la parte delle vicende private dei protagonisti finisce per essere predominante. Siamo a Trieste, il 4 novembre 1954: giornata che segna la restituzione all’Italia della città friulana, dopo gli anni difficili seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Gli americani dunque lasciarono Trieste nell’ottobre del ’54, salutati da qualche lacrima, mentre la città si apprestava a tornare italiana e la folla in piazza aspettava le celebrazioni patriottiche, l’ingresso dei bersaglieri, l’arrivo del Presidente della Repubblica, mentre fuori, in rada, la nave mitica della flotta italiana, l’Amerigo Vespucci, pavesata di tricolori, annunciava simbolicamente che quel mare a lungo conteso tornava italiano.
Incontriamo fra la folla più o meno festante Berta, una giovane donna, madre di due bambine, la cui vicenda si intreccia con quella dolorosissima di Alina Rosenhold, che era stata sua compagna di scuola, ma ora, reduce da un lager nazista dove a stento era sopravvissuta, era ospitata nel manicomio triestino di San Giovanni, e da cui quel giorno era riuscita a fuggire inosservata, trovandosi anche lei nella folla festante, le cui ragioni le erano ignote. Dunque il romanzo torna indietro nel tempo e racconta la storia delle due amiche, un tempo felici, e di Trieste, prima del 1938, dell’avvento tragico delle leggi razziali, della cattura degli ebrei triestini confinati prima nella Risiera di San Sabba, e poi avviati in Germania, da dove solo pochissimi riuscirono a fare ritorno: Alina era stata tradita, consegnata con sua madre Nora ai nazisti, mentre già suo padre Guido e suo fratello Manuel erano stati catturati; al momento della cattura Nora aveva abbandonato in casa un paio di orecchini preziosi, che finiranno nelle mani della donna, che aveva finto di nascondere le due ebree, ma che invece le aveva vendute per pochi soldi ai nazifascisti.
Berta invece, inconsapevole della storia tragica che stava addensando nuvole nerissime sulla sua città, aveva conosciuto Bernardo, un giovane militare romagnolo, se ne era innamorata, era rimasta incinta, e lo aveva seguito a Poli, in una desolata fattoria vicino a Ravenna. Qui la vita della giovane donna diverrà presto un calvario: miseria, promiscuità, isolamento, disprezzo delle cognate per la sua origine cittadina, debolezza del marito, succube di un padre-padrone violento, costringeranno Berta, dopo la nascita della secondogenita Lea, ad abbandonare il marito e, spinta dal fratello Bruno e dall’ambiguo cognato Italo, un fascista violento, a ritornare a Trieste. Una vita di stenti, succube delle attenzioni morbose del cognato, che sopporta per amore delle figlie, sembrano confinare Berta in un nuovo incubo, fino a quando, proprio durante la festa nazionale del ricongiungimento di Trieste all’Italia, Berta rincontrerà casualmente la povera Alina, irriconoscibile in mezzo alla folla osannante, che nella sua demenza ha però riconosciuto alle orecchie di Berta i famosi orecchini di sua madre.
Una storia commovente, piena di pathos, di ritrovamenti, di riscoperte, di colpi di scena, di ricordi di un passato terribile che si cerca di dimenticare: la Risiera, le retate naziste, i traditori, le foibe, il disprezzo per gli italiani di cui molti triestini non si sentono di far parte, ci raccontano attraverso l’intreccio narrativo ed una lingua sempre efficace, un pezzo di recente storia italiana poco e spesso mal raccontata. La presenza costante del dialetto triestino, l’uso sapiente di quella lingua che identifica una regione di confine che ha avuto gravissimi problemi etnici e linguistici nel recente passato, ci consegnano uno scenario fosco ma in fondo pieno di speranza: Berta e Alina, separate dalla grande Storia, si ritroveranno
“Il tempo aveva ripreso il suo corso, e ogni esistenza sulla Terra aveva ritrovato la propria corrispondenza. E fu allora che si sorrisero”.
Trieste è una città fortemente letteraria, come testimoniano i suoi grandi autori, da Svevo a Saba, e, in tempi più vicini a noi, da Veit Heinichen a Mauro Covacich, passando ovviamente per Claudio Magris. La poesia in dialetto triestino di Virgilio Giotti, presente nel romanzo, testimonia come Ada Murolo abbia un debito con questa città e la sua cultura letteraria. Di origini calabresi la scrittrice, che con “Il mare di Palizzi” aveva dato prova di un notevole talento narrativo nel rielaborare il proprio passato, riesce qui a disegnare sullo sfondo di Trieste - ripercorsa con precisione toponomastica nelle sue strade, nei palazzi, oltraggiata dalla bora inquietante che flagella monumenti famosi e quartieri periferici - un affresco delle contraddizioni violente che hanno segnato la storia della città, restituendoci però la speranza che le ferite e le colpe di un passato non troppo lontano possano essere risarcite con la fierezza del carattere dei suoi cittadini, attraverso la riscoperta degli affetti familiari e soprattutto dell’amicizia.
Si può tornare indietro
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