Rimini di Pier Vittorio Tondelli

Il salto di carriera di Marco Bauer è stato rapido, inaspettato, abbagliante come il solleone che dovrà farsi amico in riviera, il luogo mitico dove è inviato per dirigere un’insolita redazione e curare le pagine locali del quotidiano milanese per cui lavora.

Rimini è la capitale estiva degli anni Ottanta, il luogo dove tutti vogliono arrivare per passare le ferie: non si tratta solo di mare e di sole, quel che muove giovani e meno giovani sono le sfumature dell’alcool, il sesso consumato con tanta avidità da farne un’industria fiorente, le notti che non finiscono mai, alimentate da droghe sempre nuove e illuminate dalle mille luci delle discoteche più famose del Belpaese.

La riviera romagnola non è però solo quella di Marco Bauer e del suo lavoro giornalistico: con studiata abilità Pier Vittorio Tondelli, infatti, giustappone al racconto principale altre sottotrame che poco o nulla condividono esso, se non lo scenario, quella Rimini muscolare e abbronzata, dove una musica stanca rimbomba fino a nascondere la solitudine dei corpi che vi muovono dentro, corpi che vibrano di orgasmi e si gonfiano con l’ennesimo drink pur di dimenticare la solitudine che li accompagna.

C’è l’epopea della famiglia romagnola che coglie al balzo le occasioni offerte dal liberalismo e tra speculazione edilizia e avidità di denaro finisce sul lastrico, c’è una raffinata antiquaria tedesca che cerca una sorella persa in un viaggio senza fine alla ricerca di se stessa, soprattutto c’è Bruno May, scrittore omosessuale, personaggio che richiama da vicino uno dei protagonisti del meno scontato Camere Separate, che non si rassegna all’esperienza dell’abbandono:

"È come se tutto fosse troppo piccolo per me. Non c’è più niente che colpisca il mio sguardo. Niente che possa giustificare la pena di quel mio stesso sguardo. Sento solo questo desiderio di gridare, sento la rabbia di essere prigioniero di qualcosa che è dentro di me. È una zona d’ombra che si allarga come un cancro. Sono costretto a lottare ogni ora del giorno e della notte per contenerla. Ma non ce la faccio. Succederà... E di punto in bianco tutto sarà diverso."

Mentre i tornei di tennis e le serate di gala vengono interrotti dalla misteriosa morte di un vecchio politico locale da tempo ritiratosi a vita privata, l’attenzione di Marco è sempre più distratta da Suzy, la collega magnetica con cui la passione si accende improvvisa:

"Andiamocene" dissi "ho un disperato bisogno di fare l’amore con te."
Mi guardò con sorpresa. Non le avevo mai detto niente di simile, e mai con tono di voce da fine del mondo. Ma in quel momento sentii la sua presenza accanto a me come qualcosa di estremamente vivo e vitale.

In qualche modo, sembra dire Tondelli, chi si salva non si salva mai da solo e chi rimane da solo è destinato a soccombere. Ma anche questo scontato messaggio viene capovolto nel finale della storia: quel che sembrava un suicidio è stato in realtà un omicidio e anche Marco non era altro che una pedina di un ingranaggio troppo grande, quasi apocalittico, da cui occorre solo fuggire.

Romanzo commerciale, scritto appositamente per attirare i favori del grande pubblico e per essere venduto "sotto l’ombrellone", Rimini è quasi certamente il meno tondelliano di tutti i romanzi di Tondelli. Anche se ritornano alcuni temi cardine, come quello autobiografico dell’abbandono e un’atmosfera, quella degli anni ottanta, che dell’autore costituiscono i tratti distintivi, la trama è debole; le storie collaterali distraggono spesso il lettore e risultano poco organiche alla narrazione principale; il linguaggio molto pulito e depurato, asettico in confronto agli audaci parlati presenti in Altri libertini.
A doverlo classificare, l’etichetta da utilizzare sarebbe sicuramente quella del giallo o, al limite, del noir, Rimini è, quindi, anche un romanzo che si lascia leggere d’un fiato e rimane un’opera in grado di far entrare anche il lettore meno esigente in un universo narrativo ancora poco compreso e valorizzato.