Quel che resta della vita
- Autore: Zeruya Shalev
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2013
Un percorso psicologico a volte tortuoso una ricerca attenta e quasi puntigliosa delle pieghe più riposte dell’anima dei diversi personaggi sono gli ingredienti di questo bel romanzo della narratrice israeliana Zeruya Shalev. Già autrice anni addietro di un paio di romanzi significativi, raggiunge con questo “Quel che resta della vita” (Feltrinelli, 2013) risultati davvero eccellenti, tanto sul piano strettamente letterario quanto su quello dell’indagine sociologica, sullo stile di vita e di relazione di una normale famiglia nella Gerusalemme odierna.
Al centro della narrazione la vecchia Hemda, vicina alla morte, e i suoi due figli ultraquarantenni: l’amatissimo Avner e la meno amata Dina. In un continuo flashback e in un abile passaggio dalle vicende dell’uno e dell’altro dei personaggi principali, apprendiamo un cinquantennio almeno della storia recente di Israele: Hemda era una pioniera, vissuta in un Kibbutz, trascurata dalla bella ed elegante madre, tutta presa dalla ricerca di finanziamenti all’estero per la costruzione del giovane stato, e trattata con estrema durezza dal padre pescatore, che voleva farne una donna rude e severa, contro le sue inclinazioni di letterata.
Hemda, colta alla fine della sua lunga e difficile esistenza, all’ospedale riceve la visita dei suoi due figli, i quali tuttavia sono troppo presi dalle loro personali vicende per poter essere d’aiuto alla madre. Avner e Dina si sono persi da ormai troppo tempo. Lui è un avvocato penalista che si occupa dei diritti e dei soprusi che molti cittadini subiscono, specie se arabi, e vive uno stanco matrimonio con Shulamit, compagna di vita e madre dei suoi due bambini. Al momento del ricovero della madre, scorge nel letto accanto una coppia che mostra un grande amore, anche se lui è palesemente in punto di morte, amore da cui Avner resta colpito, tanto che nei giorni seguenti cercherà di rintracciare i due, apprendendo che in realtà l’uomo è morto.
Dina, il cui rapporto con la madre è stato sempre problematico, ha un marito fotografo, Ghideon, e un’unica figlia quindicenne, Nitzan. In realtà la ragazza è frutto di un parto gemellare, ma il fratellino non è mai nato, e questo ormai lontano trauma si riaffaccia prepotentemente nella mente di Dina: mentre sta per perdere sua madre, mentre l’età fertile per lei è esaurita, mentre sua figlia si sta allontanando da casa e dal suo amore protettivo, sente di voler avere un altro figlio, adottando un bambino contro la volontà del marito e della stessa figlia. Qui l’intreccio del libro si fa molto complesso e i legami affettivi di tutti i personaggi vengono rimescolati e rimessi in discussione.
Quando Dina si scontra col marito, che le ha appena dichiarato la propria totale contrarietà ad un’adozione uscendo di casa, capisce che la sua vita sta subendo una svolta radicale:
“…..non ha sentito sbattere la porta, magari è rimasto in casa, ma in fondo che cosa cambia, la questione non è dove si trova adesso Ghideon ma che cosa farà lei ora che lui si è espresso così chiaramente, che cosa farà con quel che resta del suo giorno, quel che resta della sua vita”.
Un romanzo tutto centrato sulla fine della vita, dei rapporti coniugali e filiali, sulla delusione che subentra alla grande passione: tutti i rapporti descritti in questo romanzo sembrano destinati a fallire o si sono già conclusi infelicemente, tutte le storie raccontate sembrano non avere un lieto fine perché troppo complesse sono le psicologie degli individui e troppo ineluttabili i cambiamenti di sensibilità e di attese. Avner nel perdere sua moglie fa un incontro imprevisto con una donna e cambia radicalmente la sua concezione dell’amore; la giovane Nitzan subisce la prima violenta delusione sentimentale e ritrova affettivamente madre e nonna; Dina stessa dovrà andare a fondo nelle ragioni dei suoi sentimenti e dei suoi reali desideri e capire in che posto collocare gli affetti più profondi.
Le ultime pagine del romanzo sono commoventi: difficile non immedesimarsi nei sentimenti dei personaggi, che la Shalev ci fa conoscere ed amare nelle loro difficoltà, estreme contraddizioni, radicali cambi di rotta e di prospettiva…
Un libro sull’amore in tutte le sue più diverse e complesse sfaccettature, visto da diverse angolazioni, in differenti momenti della vita di uomini e donne del nostro tempo, in una famiglia come tante famiglie, in una società dalla storia recente ma difficile e dolorosa, in una capitale dove la religione ebraica ortodossa è vista da lontano, quasi temuta, e l’identità ebraica si avverte solo nella professione di Dina, insegnante al College in procinto di finire una tesi di dottorato mai conclusa sulla cacciata degli ebrei dalla Spagna del 1492. Un libro duro, onesto, pieno di speranza.
Booktrailer di "Quel che resta della vita" di Zeruya Shalev
Quel che resta della vita
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