

Una storia coniugale
- Autore: Zeruya Shalev
- Categoria: Narrativa Straniera
È il romanzo con il quale ho conosciuto Zeruya Shalev, scrittrice israeliana dal bellissimo volto e dalla figura esile, che nel 2001 partecipò al Festival della Letteratura di Mantova. Una storia coniugale, tradotto da Elena Loewenthal, è la sua seconda opera ed è un romanzo crudo, potente, a tratti sconvolgente, ma anche amabilmente armonioso e commovente. Per caso ho letto qualche tempo fa che il libro è fuori catalogo, un vero peccato: le storie nelle quali le donne sono protagoniste con il loro amore, l’amore in tutte le sue forme, filiale e coniugale, come nei romanzi di Zeruya Shalev, non dovrebbero mai essere sottratti al piacere della lettura.
Una storia coniugale narra di un matrimonio e del suo rapporto frantumato arrivato al limite, lacerato nei suoi sentimenti. Una storia tutta al femminile da leggere in piccole dosi, perché l’emozione è forte.
“Quando si costruisce una casa su delle fondamenta cave finisce per crollare, pensavi che bastasse un po’ di buona volontà e di senso di colpa per fare una famiglia, e io dentro di me mi ribello, non venire a dirmi che cosa devo fare, che cosa ne sai della vita vera, mentre la mia vita sta andando a pezzi a vista d’occhio, e questi pezzi non ho modo di racimolarli…”
Naama, una giovane moglie israeliana, è l’io narrante del romanzo. Nella sua vicenda il passato riemerge per intrecciarsi con il presente, in un flusso incessante di ricordi e considerazioni che vanno a comporre la sua storia d’amore. Una situazione non priva di angoscia ma che alla fine di un processo interiore svelerà la strada da intraprendere per una nuova vita. Una mattina, dopo un periodo di lontananza, Udi, il marito, al risveglio non riesce più a muovere le gambe. Sente di essere completamente paralizzato. Sembrerebbe un sortilegio, ora svanirà, invece no. La situazione precipita all’improvviso; Naama spaventata è in preda a tutte le sue paure e chiama l’ambulanza, Udi furioso la rimprovera per un vestito indossato che ritiene inadatto e, in tutto ciò, la loro unica figlia Naga, di dieci anni, incombe con tutte le sue insicurezze su di loro. In ospedale i medici, dopo numerose analisi, non troveranno la causa dell’improvvisa malattia e lo dimetteranno. La degenza a casa risulterà essere un banco di prova per il loro legame già sufficientemente provato dal lungo periodo di crisi coniugale.
“Mi alzo con fatica, ho l’impressione che sia già la fine del giorno, mi sono talmente stancata, e invece troppe ore mi separano ancora dalla notte. In punta di piedi torno in camera, mi fermo muta accanto al letto, osservo il suo bel corpo riverso con sincerità assoluta, un corpo senza segreti … dietro le bianche tendine esperte di sofferenza, vedo il mio mondo che si sbraccia obliquo per dirmi addio. Sii contenta di avere un marito che ti ama, meglio un amore così che niente, ma la questione non è se si ama o meno, la questione è come si ama…"
Naama ha vissuto sinora nella convinzione di essere inadatta nel rapporto con il marito, con la figlia, con le colleghe al lavoro così come nel rapporto con la madre. Sudditanze psicologiche che la inducono, con un monologo interiore, a porsi domande e ad evidenziare i contrasti che è costretta a vivere. Udi, in tutto questo, dal letto matrimoniale diventato ora di degenza, non le risparmia nessuna mortificazione, si diverte nel vederla umiliata, e le sue parole sono pesanti come dei sassi, lanciati per farle del male. Naama continua ad amarlo, ritiene di essere lei quella sbagliata e tutto avverrebbe per una sua colpa. Un marito crudele e a volte indifferente, ora buono, ora debole, ora insoddisfatto ma in ogni caso sempre suo marito. Le insoddisfazioni di Naama si sono trasformate in colpevolizzazioni nei confronti di Udi. La sua realizzazione di donna, sognata fin da quando bambina gli aveva detto di sì, deve ora fare i conti con una realtà difficile da sopportare. Sembra crollarle tutto addosso quando, alla fine dell’incubo, dalle macerie riuscirà a tornare in sé e a riprendere in mano la sua vita.
Zeruya Shalev, un’indiscussa narratrice dei conflitti familiari, descrive in Una storia coniugale, con la sua profonda sensibilità e con la sua scrittura che affonda le radici nel suo vissuto personale, una storia dolorosa e intensa che non lascia indifferenti perché, come dice Shalev,
si sbaglia sempre. L’amore non risolve tutto ma, anzi, fa venire alla luce molti dei problemi che abbiamo.
Zeruya Shalev vive e lavora a Gerusalemme. Nel gennaio 2004 ha subito gravi ferite in seguito ad un attentato suicida. È stata insignita di prestigiosi premi letterari, sia in Israele che all’estero. Ha pubblicato finora quattro romanzi diventati bestseller in molti paesi, l’ultimo Quel che resta della vita è stato pubblicato da Feltrinelli.

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