Nella settimana kafkiana per eccellenza, in occasione del centenario della morte di Franz Kafka, scopriamo un aspetto inedito della vita del geniale scrittore boemo di lingua tedesca. Forse non tutti sanno che il 14 luglio 1908 Kafka diede le dimissioni dalle Assicurazioni Generali di Praga in cui lavorava come impiegato. Le motivazioni reali adducevano come scusa “motivi di salute”; ma la realtà è che Kafka voleva scrivere e che quella vita impiegatizia non solo gli stava stretta, ma soffocava le sue reali aspirazioni.
La domanda indiretta che questa questione ci pone è: Kafka sarebbe stato Kafka se non fosse stato un banale impiegato? La risposta lampante che ne deriva è che la scrittura kafkiana non sarebbe tale se l’autore non avesse sperimentato i labirinti della burocrazia e le ristrettezze, gli orari rigidi e sempre uguali del lavoro impiegatizio, lo spazio chiuso e soffocante di un ufficio. Tuttora la maggior parte delle biografie, dalle più poderose alle più smilze, ricordano Kafka come lo scrittore-impiegato, rintracciando nel suo alienante lavoro quotidiano l’origine segreta della sua scrittura.
Scrivere divenne per l’autore boemo una via d’uscita, l’alternativa alla pazzia cui lo costringeva la “follia del lavoro”.
La verità, infatti, è che nonostante le dimissioni presentate da giovanissimo in un atto di fulminea consapevolezza delle proprie effettive capacità artistiche, Franz Kafka non avrebbe mai smesso di essere un impiegato.
Il lavoro triste di Franz Kafka
In una lettera a Hedwig Weiler, la studentessa conosciuta durante un soggiorno estivo negli anni del liceo che fu una delle sue prime corrispondenti (prima ancora dell’amata Milena Jesenská), Kafka rivelava di fare “un lavoro triste”.
Il Kafka Museum a Praga riporta sia la corrispondenza dell’autore, scritta con una grafia allungata e stretta, che i fogli di lavoro, compilati con quella stessa scrittura meticolosa che avrebbe dato origine ad alcuni dei capolavori della letteratura mondiale. Questa in sintesi la doppia vita di Kafka: impiegato e assicuratore di giorno, scrittore di notte e nel raro tempo libero. La verità è che il nostro autore prese una ferma decisione: dopo appena dieci mesi di lavoro presso l’agenzia Generali di Praga, situata nella sede centrale di Piazza San Venceslao, Franz Kafka decise di licenziarsi.
La vita da impiegato di Franz Kafka
In un tempo non molto lontano anche Franz Kafka, il genio narrativo che oggi noi tutti conosciamo, è stato solo un ragazzo in cerca di lavoro. Aveva ventiquattro anni, era fresco di laurea in Legge e di praticantato, e cercava uno “stipendio decoroso” e “un orario lavorativo ridotto per poter scrivere”. Non fu accontentato in nessuna delle due aspettative.
Fu assunto il 2 ottobre 1907 presso l’Assicurazione Generali di Praga, come impiegato ausiliario del Ramo vita, grazie anche alla raccomandazione dello zio materno Alfred Löwy che conosceva il rappresentante delle Generali a Madrid. La sua carriera da impiegato sarebbe durata appena dieci mesi.
Già nelle lettere agli amici il giovane Kafka confessava che non voleva certo lagnarsi del lavoro, ma:
Si sente il peso delle otto ore.
Quel lavoro d’ufficio lo fiaccava, lo prostrava, lo riduceva estenuato; ma ciò che più logorava Kafka, in realtà, è che, terminato il lavoro, non riusciva più a scrivere. Le otto ore d’ufficio erano vissute come una prigione: compilava una serie di scartoffie burocratiche con la sua bella grafia stretta e allungata, così sprecata per quei documenti d’ordinaria amministrazione. E cosa otteneva in cambio? Lo stipendio, in fondo, non era poi così alto, non da valere il prezzo di un simile sacrificio.
All’amica Hedwig Kafka scriveva che la sua vita era in “pieno disordine” e che:
Ho, è vero, un posto con un minuscolo stipendio di 80 corone e 8-9 interminabili ore di lavoro, ma le ore fuori dell’ufficio le divoro come una bestia feroce.
Le lettere sono datate nei primi mesi di lavoro di Kafka, quando ancora una segreta speranza lo sosteneva: l’idea di viaggiare. Franz Kafka conosceva le lingue, come si premurava di ricordare nel suo curriculum vitae, boemo, francese e inglese, pur essendo con quest’ultimo fuori allenamento. Sperava di essere inviato all’estero e di poter conoscere paesi lontani; come scriveva in una lettera a Hedwig a sostenerlo era:
La speranza di sedermi un giorno sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre dell’ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani.
Kafka garantiva a Hedwig che sarebbe andato prima di tutto a Trieste, la terra di Svevo e Joyce.
Nell’annotazione alla sua lettera d’assunzione era in effetti scritto che l’intenzione era quella di istruirlo nel Ramo Vita per poi utilizzarlo successivamente per un servizio di lavoro all’estero. Ma quel giorno non arrivò mai.
Nella corrispondenza dell’autore emerge una frustrazione crescente, a fine del 1907 Kafka è già impegnato attivamente nella ricerca di un altro lavoro; finché il 14 luglio 1908, dopo appena dieci mesi di impiego, decise di dare le dimissioni ufficialmente per “ragioni di salute”.
Nella celebre Lettera al padre, Kafka ammetteva esplicitamente che quella motivazione era una scusa:
Alle Assicurazioni Generali la situazione era molto simile e motivai le mie dimissioni con un pretesto non del tutto vero ma neppure del tutto falso, assicurando al direttore che non riuscivo più a tollerare gli insulti, anche se non mi avevano mai colpito di persona (vi ero troppo dolorosamente sensibile sin bambino).
La reazione dei suoi superiori fu di immediato sconcerto, ribadirono, con stupore, che alla visita medica il signor Kafka era risultato fisicamente “idoneo” al lavoro.
Terminato l’impiego alle Generali, Kafka non cessò del tutto di essere un impiegato: nel giugno del 1908 aveva infatti trovato un altro impiego presso la Compagnia delle Assicurazioni sul Lavoro del Regno di Boemia, grazie alla raccomandazione di un vecchio compagno di scuola, Ewald Felix Přibram.
Si trattava di un impiego statale con un orario di lavoro ridotto che gli avrebbe concesso più tempo libero per scrivere. La giornata lavorativa di Kafka si concludeva alle ore 14; ma il tempo, comunque sembrava non bastargli mai.
Appena tre anni dopo le dimissioni alle Generali, nel 1911, Kafka continua a nutrire l’antico “malessere da impiegato” e, ne conclude, che si tratta di un mestiere inconciliabile con la vita creativa di uno scrittore:
Queste due professioni non si possono mai conciliare né ammettono una felicità comune.
Franz Kafka avrebbe lavorato in un ufficio fino al 1922, anno in cui ottenne il pensionamento anticipato a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Chissà se è stato il lavoro di impiegato, la prigionia della vita da scrivania, a far ammalare Franz Kafka del suo male irredimibile causandogli, inoltre, una morte atroce, per fame, causata da un tumore alla laringe, come testimonia quel racconto modificato poco prima di morire: Un digiunatore. Non lo sapremo mai. Ma di certo, senza quell’odiato “lavoro impiegatizio”, Kafka non avrebbe tratto ispirazione per i suoi romanzi più celebri: da La metamorfosi a Il castello.
Il protagonista della Metamorfosi, il capolavoro di Kafka, non a caso è un impiegato che, innanzitutto, appare preoccupato dal ritardo mostruoso che sta accumulando sull’inizio dell’orario di lavoro: Gregor Samsa si trasforma in un insetto, un lurido scarafaggio, dando corpo all’incubo forse più ricorrente - e inconscio - di Franz Kafka che si sentiva schiacciato costantemente dalla propria stessa vita. Senza l’alienazione sperimentata nel lavoro d’ufficio, tra scartoffie e labirinti burocratici, probabilmente non avrebbe mai avuto origine lo stile kafkiano. Anche quando pensava di non scrivere, Kafka, in realtà scriveva: tutte quelle scartoffie accumulate negli anni erano il suo banco di prova, il suo esercizio di scrittura quotidiano, l’allenamento cui sottoponeva, senza accorgersene, la propria vulcanica mente creativa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Franz Kafka lavorava alle Generali e non poteva scrivere
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