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Recensioni di libri

Poesie di William Blake

I paradossi abbondano e (ri)velano i versi. Va letto senza pre-giudizi, lasciato vibrare dentro per comporre una suprema armonia, fino a giungere all’inconoscibile oscuro divino.

Graziella Atzori Pubblicato il 10-06-2021
Poesie

Poesie

  • Autore: William Blake
  • Genere: Classici
  • Categoria: Poesia
  • Casa editrice: Newton Compton

Avvicinarsi alla poesia di William Blake procura turbamenti, emozioni, apre quelle "porte della percezione" che si spalancano con la meditazione, la pratica della psicologia del profondo junghiana e con la psicosintesi di Roberto Assagioli, con lo studio di scienze iniziatiche e, dulcis in fundo, attraverso l’assunzione di sostanze psicotrope in modo rituale, alla maniera di Carlos Castaneda. Va subito ricordato il libro di Aldous Huxley The Doors of Perception, nel quale l’autore riporta il famoso aforisma di Blake:

"Se le porte della percezione fossero spalancate, ogni cosa apparirebbe all’uomo come realmente è, infinita."

La grande poesia è un cammino di conoscenza, un percorso che genera "lo sposalizio del cielo e dell’inferno" come Blake ha scritto, l’unione e il superamento degli opposti. Anche per Eraclito l’incontro scontro di due estremi è generatore di vita. E se consideriamo la Divina Commedia nella sua totalità, vediamo nuovamente dispiegata per intero la nostra anima duale, dagli inferi all’empireo, dal male al bene, con un processo di assimilazione e purificazione, fino a trovare specchiato nel Tutto il nostro stesso volto.

La poesia di Blake dà brividi di piacere e anche di sgomento. Tale è la via per i cercatori sinceri. Le strade canoniche sono sempre le tre classiche, quelle del Bello, Buono, Vero ed esse si incrociano e si fondono nel nostro autore, ma dobbiamo anche attraversare e conoscere l’ombra di questi tre gioielli, il lato oscuro di noi, bruttura, malvagità e menzogna, tre ombre derivate dall’ignoranza, da trasmutare attraverso la luce sapienziale.

L’occasione di gustare Blake viene da un libro antologico comprendente poesie scelte, unite a un apparato critico per entrare nell’universo di questo poeta, spesso giudicato oscuro, eppure in parte vicino alla cultura di massa attraverso la musica. Mi riferisco al complesso dei Doors, le "porte" della percezione appunto, formazione rock divenuta mito, insieme al cantante Jim Morrison.

Tanto preambolo è necessario per la presentazione di Poesie di William Blake (edizione Amazon su licenza di Newton Compton, 2012, pp. 185), a cura e con traduzione di Giacomo Conserva, introduzione di Sergio Perosa. Inoltre il libro contiene una chicca d’eccezione, il saggio di James Joyce sull’autore, che precede le liriche e ben esprime il loro carattere ispirato e visionario, simbolico e "folle".
Blake nel Settecento ha anticipato tutta la modernità, ma l’ha fatto ritornando all’antica concezione del poeta come portatore di verità e messaggi giunti da un territorio posto oltre la razionalità, simbolicamente nell’Olimpo, o sul monte Elicona, o in Paradiso. Fautore del mentalismo, afferma:

"Solo le Cose Mentali sono reali: di ciò che si chiama Corporeo Nessuno conosce la Dimora: è nella Fallacia, e la sua esistenza un’Impostura. Dov’è l’Esistenza fuori della Mente o Pensiero? […] Vedo attraverso l’occhio, non con l’occhio.”

Scelgo di citare una poesia, fra le bellissime; dà conto dell’unione degli opposti in noi. È Il Sorriso; racchiude la gamma delle nostre emozioni estreme, ed è un sorriso incuneato nel corpo, incarnato, ma il "Sorriso dei Sorrisi", l’archetipo del sorriso, È, non appartiene all’esperienza quotidiana, piuttosto la genera:

“C’è un Sorriso d’Amore, / e c’è un Sorriso d’Inganno, / e c’è un Sorriso dei Sorrisi / in cui questi due Sorrisi si incontrano. […] ma un solo Sorriso soltanto, / che fra la Culla & la Tomba / si può Sorridere soltanto una volta; / ma, quando è sorriso una volta, / c’è una fine a tutta l’Angoscia.”

L’angoscia è destinata dunque a estinguersi nell’esperienza contemplativa di quel quid sorridente. Altro simbolo dell’autentico sé per il poeta è il bambino; ciò richiama il fanciullino del Pascoli simbolista.
Riguardo all’Amore, lo scrivo con lettera maiuscola, com’egli ama fare, ecco il suo sentire e pensare:

“L’amore non cerca a Se Stesso di piacere, / né ha per sé alcuna cura, / ma per un altro dà la sua gioia / e costruisce un Paradiso nella disperazione dell’Inferno.”

Lo costruiamo vivendo e attraversando il dolore, che, sperimentato, muta alchemicamente segno. Eppure… è vero anche il contrario, infatti nei versi successivi leggiamo:

“L’Amore cerca solo a Sé di piacere, / per legare un altro alla Propria gioia, / gode della sventura altrui, / e costruisce un Inferno contro il Paradiso.”

Quest’ultimo è un amore tossico. O l’altra faccia dell’amore. E quanto di tossico abbiamo in fondo all’anima, che non vorremmo mai vedere?
Riguardo al Creatore, ecco un richiamo all’iconografia cristica (Blake è anche raffinatissimo pittore):

“Piccolo Agnello, chi ti ha fatto? / Lo sai chi ti ha fatto? / […] Piccolo Agnello, te lo dirò, / Piccolo Agnello, te lo dirò: / egli è chiamato con il tuo nome, / perché lui chiama sé un Agnello.”

Non è il caso di spiegare oltre Blake, per il quale l’eternità può stare raccolta in una mano. I paradossi abbondano e (ri)velano i versi. Va letto senza pre-giudizi, lasciato vibrare dentro per comporre una suprema armonia, fino a giungere all’inconoscibile oscuro divino, come ne scrive James Joyce, che lo paragona a Dionigi Areopagita per l’altezza e lo scandaglio nell’Oltre:

"Il pseudo-Dionigi l’Areopago nel libro I Nomi Divini arriva al trono di Dio negando e superando ogni attributo morale e metafisico e s’estasia e si prostra nell’ultimo capitolo dinanzi l’oscurità divina, dinanzi quell’immensità innominabile che precede e abbraccia nell’ordine eterno la somma sapienza ed il sommo amore. Il processo mentale per il quale Blake giunge al soglio dell’infinito è un processo simile. La sua anima, volando dal infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dalla goccia di sangue all’universo di stelle, si consuma nella rapidità del volo e si trova rinnovata ed alata ed imperitura sul margine del fosco oceano di Dio.”

Joyce sa essere altrettanto e magnificamente oscuro quanto Blake, ma comprensibile alle anime mistiche. Morire e rinascere nelle braccia dell’Assoluto, dissolversi e ritrovarsi “imperituri” è quanto il mistico ama vivere.

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