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Recensioni di libri

Piccole ironie della vita di Thomas Hardy

Elliot, 2018 - I lettori che hanno amato i grandi romanzi di Thomas Hardy ritroveranno quel senso del fatalismo che rende vana la lotta dell’individuo contro l’oscura potenza del fato che fa muovere l’universo.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 19-03-2018

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Piccole ironie della vita

Piccole ironie della vita

  • Autore: Thomas Hardy
  • Genere: Raccolte di racconti
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Elliot
  • Anno di pubblicazione: 2018

Nella collana Raggi Elliot riedita “Piccole ironie della vita” (2018, titolo originale Life’s Little Ironies, traduzione di Lucrezia Pigini e Piero Mazzadri) raccolta di racconti basata sulla prima edizione pubblicata nel 1894 dal poeta e scrittore britannico Thomas Hardy (Upper Bockhampton, 2 giugno 1840 - Dorchester, 11 gennaio 1928).

“Vista da dietro, quella capigliatura castana era una meraviglia, un mistero”.

Diciassette racconti, preziosi documenti dell’opera letteraria dell’autore di “Via dalla pazza folla” (1874), “Il sindaco di Casterbridge” (1886), “Tess dei d’Urberville” (1891) e “Jude l’oscuro” (1895).
I lettori che hanno amato i grandi romanzi di Thomas Hardy, in queste pagine ritroveranno i temi principali della sua poetica, tra i quali quel senso del fatalismo che rende vana la lotta dell’individuo contro l’oscura potenza del fato che fa muovere l’universo. Attraverso la narrazione del Wessex (il natio e vagheggiato Dorset dell’autore) e la descrizione della magnificenza di Londra all’apice della Rivoluzione industriale, Thomas Hardy celebra la vita quotidiana dell’uomo. Quelle “piccole ironie della vita”, che sono il sale dell’esistenza umana. Thomas Hardy racconta il faticoso passaggio dell’uomo sulla terra con sagacia, humour ed empatia sottolineando il contrasto tra l’idilliaco paesaggio campestre e il ritmo di vita frenetico di una metropoli com’era Londra nella seconda metà del XIX Secolo.

“...lasciarono le loro dolci campane per il più odioso e monotono clangore che torturasse mai orecchio mortale”.

Tale contrasto è reso evidente nel primo racconto che apre la raccolta intitolato Il veto del figlio. A Londra durante un caldo pomeriggio di giugno, una donna inferma dalla “non trascurabile bellezza” e dotata di una splendida capigliatura intrecciata, sedeva nella sua carrozzella davanti a un recinto verde, vicinissima a una piattaforma, dove suonava un’orchestra. Accanto a lei un ragazzo di dodici o tredici anni che portava il berretto e la giacca di un noto istituto, che chiamava la donna “mamma”. Lungo il tragitto di ritorno verso l’abitazione, dove madre e figlio erano attesi dal marito e padre, un curato titolare di una parrocchia, Mrs Twycott ripensava a un momento cruciale della sua esistenza. In un angolo remoto del Wessex settentrionale, a sessanta chilometri da Londra, nei pressi della fiorente cittadina di Aldbrickham, c’era un grazioso borgo, chiamato Gaymead, villaggio natio di Sofia. Il primo atto della “piccola tragicommedia” di Sofia era stata la morte della prima moglie del suo reverendo marito. In quel tempo Sofia era cameriera della casa del vicario. Il destino aveva voluto che la giovane, dopo aver rifiutato la corte di Sam Hobson, un giovane giardiniere, avesse accettato di sposare il curato, ora rimasto vedovo, all’epoca un uomo di quarant’anni, di buona famiglia e senza figli. Twycott che sapeva bene che quel passo rappresentava socialmente un suicidio aveva deciso un cambio di residenza con un collega che aveva una casa a sud di Londra. Appena poterono i due sposi lasciarono la loro casetta di campagna con i suoi alberi, i suoi arbusti e la sua terra, per una casa angusta e grigia in una via lunga e dritta. Era stato un sacrificio per entrambi, ma in questo modo Mr e Mrs Twycott erano lontani da chiunque conoscesse il passato della sposa, meno soggetti alla curiosità della gente di quanto sarebbero stati in una parrocchia di provincia. A distanza di tanti anni Sofia, se come sposa si era rivelata perfetta, come donna di società aveva ancora molte cose da imparare. C’era quindi il rischio che l’unico figlio della coppia, Randolph, educato in uno dei migliori collegi inglesi, ora che la salute del padre declinava, destinato a prendere gli ordini, potesse

“ora non solo accorgersi delle materne deficienze, ma anche irritarsene”.

E così sarebbe avvenuto.

“È così istruito lui, e io così poco, che non mi sento degna di essergli madre…”.

PICCOLE IRONIE DELLA VITA

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Piccole ironie della vita

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