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"Pasolini pittore a Casarsa": una mostra e un volume in occasione del centenario

In occasione del centenario di Pier Paolo Pasolini sono molte le iniziative a lui dedicate che fanno emergere anche un lato inedito di P.P.P. Scopriamo tutti i particolari e lo splendido volume curato da Giancarlo Pauletto dedicato al Pasolini pittore.

Graziella Atzori Pubblicato il 17-12-2022
"Pasolini pittore a Casarsa": una mostra e un volume in occasione del centenario

Quest’anno 2022 cade il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Molte sono state le iniziative culturali in tutta Italia per ricordare il grande artista e la sua opera. Negli ultimi tre mesi gli eventi si concentrano nei luoghi della sua adolescenza e giovinezza, in un Friuli magico che ha visto fiorire la sua poesia e l’attività di pittore, quest’ultima molto intensa negli anni 1943 e poi 1946-47, diradandosi fino al 1950.

L’intera produzione filmica restaurata viene proiettata dall’associazione culturale “Cinemazero” di Pordenone e al cinema Visionario di Udine, dall’11 ottobre 2022 al 1° febbraio 2023.
La retrospettiva vuole rimarcare l’interdipendenza stretta tra poesia e immagine nell’arte pasoliniana. L’artista è sempre lirico, utopico e pure deluso, lacerato, pronto alla denuncia ma a fughe extra reali, sebbene venga inquadrato come autore neorealista legato alla concretezza del vissuto.
A Villa Manin prosegue la grande mostra fotografica a lui dedicata, inaugurata il 29 settembre; si protrarrà fino all’8 gennaio 2023.

Pasolini pittore a Casarsa: il libro dedicato alla produzione figurativa

A Casarsa delle Delizia, la casa materna dell’artista è museo permanente e sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, che ha curato lo splendido volumetto Pasolini pittore a Casarsa (Siae, pp. 70, 2022) con il commento critico di Giancarlo Pauletto e contenente numerose testimonianze di Nico Naldini, cugino di P.P.P., scomparso nel 2020.

Il libro Pasolini pittore a Casarsa è una selezione della sua produzione figurativa. Questa era stata raccolta con cura amorevole dall’amico di una vita Giuseppe Zigaina e già pubblicata con la prestigiosa firma introduttiva di Giulio Carlo Argan.
Riproporla al pubblico è un tentativo meditativo sul nostro essere qui, determinato da chi e come eravamo: una civiltà contadina di sapore ancestrale, ormai trapassata nel post postmoderno digitale.

L’arte di Pier Paolo Pasolini

Sono quadri quasi tutti su carta, dipinta in entrambi i lati del foglio (allora la carta era costosa), alcuni con tecnica mista, ma in gran parte si tratta di pastelli, di china, soprattutto queste ultime apprezzate dai critici, considerate le migliori, ed anche a matita, come il ritratto pensoso e intenso di Giacinto Spagnoletti, il primo intellettuale ad aver scoperto e valorizzato il giovane poeta nel 1950.

L’amico pittore Federico De Rocco diede al neofita l’avvio tecnico, rendendolo edotto sull’uso e sulla mescolanza dei colori. Pasolini è un autodidatta, lontano da istituti d’arte o accademie; forse perciò il suo pathos pittorico è tanto forte, immediato, di impeto, di "pancia", da sembrare primitivo, quasi incompiuto.
È fortemente espressionista, capace di manifestare le emozioni con colore denso, pastoso, contaminato, senza la mediazione di calcolo o ragionamento. In lui vive e "parla" l’innocenza di un mondo agreste scomparso, di cui sente la perdita ed è acuta la nostalgia. È paesaggista e ritrattista, con penetrazione psicologica sottile. Ammiriamo un ritratto della madre, Susanna Colussi, del 1943, La madre allo specchio, in terra di Siena su carta trasparente. Il cugino Nico fece da modello per un trittico di tre giovinetti, due titolati Sanctis Sebastianis, sempre in china, sempre del 1943.

Riguardo al sentimento religioso, legato al martirio, Pasolini ne fu sempre invaso. Sul film Il Vangelo secondo Matteo scrive:

[...] serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo.

Avrebbe voluto poter affrescare le pareti di una chiesa, da erigere nel dopoguerra in onore a ogni vittima; poi, lo sappiamo, le cose andarono diversamente.
La presenza dei musicisti è predominante, sono giovani e donne melanconiche con chitarra, violino, violoncello, banjo. Musica e poesia sono legate inscindibilmente, la musa di entrambe per i Greci è Euterpe. Pasolini ovviamente lo sapeva e lo sentiva, ma c’è dell’altro nella sua biografia: nel ’43 frequenta la violinista slovena Pina Kalč, sfollata e ospitata a Casarsa da parenti di Pierpaolo. Da lei, lui prende lezioni di violino. Tra loro nasce un’intesa elettiva speciale, interrotta dal destino.
Il "troppo" non può durare. Quando la ragazza dovette ritornare in patria nel ’45 lui ne soffrì, e confessa nelle Lettere:

Le centinaia di sere che abbiamo trascorso insieme, dal ’43 all’estate del ’45 quando, finita la guerra ripartì per la Jugoslavia, mi danno la solita disperazione dell’inesprimibile, del troppo unico.

La "disperazione dell’inesprimibile" permea tutta la mostra. È uno dei tratti del sublime in Pasolini, il disadattato in questo mondo massificato e alienato. Così trafitto dal dolore da sentirsi, fin da donzel, giovinetto, più vicino alle viole, all’odore della pioggia e all’erba viva, che al consorzio sociale, al potere politico ed economico, da lui sempre combattuto senza compromessi. Tanto da fargli scrivere nelle poesie tenerissime e tragiche in lingua friulana Poesie a Casarsa (1942):

"[...]ti prei, Jesus me, / ah fami murì. / Jesus, Jesus, Jesus."

L’iterazione è straziante, letta oggi ha il sapore di una premonizione, di una chiaroveggenza.
Pensando a lui, ricordo la poesia dell’Albatros di Charles Baudelaire, in cui il poeta, come il grande uccello marino, è adatto a volare alto ma non a camminare sul ponte della nave, tra marinai stolti e crudeli.

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Sulla sua pittura così commenta Giulio Carlo Argan:

"La grafica e la pittura erano un po’ come un vaso di gerani sul davanzale di un grattacielo, avevano un senso di talismano, sembravano promettere un ritorno che, purtroppo, non c’è stato."

Ritorno a Casarsa, con tutto il carico simbolico che il paese rappresenta. Abbiamo un ossimoro di immagini, i gerani e il grattacielo, la natura e il cemento. Sembra che siano incompatibili, per la piega inquinante e distruttiva verso madre natura che abbiamo dato allo sviluppo industriale. Tornare indietro? Ma si vuole, oggi, questo miracolo? O alla natura si preferisce il “transumanesimo”, l’uomo che diventa superuomo e nel contempo schiavo, un terminale delle macchine?

La poetica di Pasolini, in sintesi, è questa dolorosa contraddizione insanabile. In senso archetipico è l’uscita dall’Eden e attraversa come un filo rosso la sua straordinaria e poliedrica creazione artistica.

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