Il 5 marzo ricorrono i cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini. In questa importante celebrazione diventa più urgente e necessaria la domanda: “Cosa ci ha lasciato Pasolini?”.
Per commemorare l’incommensurabile grandezza, umana e letteraria, di Pier Paolo Pasolini non resta che appellarsi alle sue stesse parole che meglio di ogni altra vaga considerazione esprimono il suo lascito.
Nella poesia 10 giugno, meglio conosciuta come Io sono la forza del passato, Pasolini evoca la forza del passato e ci fornisce il più compiuto ritratto dell’uomo alla soglia del progresso.
Il componimento fu scritto nel 1962 e fa parte della raccolta Poesia in forma di rosa (1961-1964) pubblicata da Garzanti. La stessa poesia viene recitata da Orson Welles in un accorato monologo del lungometraggio pasoliniano Ricotta (1963).
Vediamone testo, analisi e commento.
10 giugno di Pier Paolo Pasolini: testo
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
10 giugno di Pier Paolo Pasolini: analisi
La poesia è spesso stata letta come un inno all’anti-modernismo e l’estremo atto di condanna di Pasolini all’omologazione della società moderna. Nella declamazione “Io sono la forza del passato”, l’autore sembra contrapporre la solidità della tradizione alla fatuità del vivete a lui contemporaneo.
Nel passato Pasolini percepisce un’eredità valoriale immensa. Il suo essere uomo, oggi, infatti non può prescindere dall’umanità di ieri e dall’inarrestabile ciclicità del vivere.
In questi versi si trova forse la più forte dichiarazione poetica pasoliniana e una ferma condanna di una società sempre più fatua, vuota, superficiale. Il poeta rivendica i valori del passato in contrapposizione a un presente in cui non si riconosce, si sente estraneo.
Con slancio critico e rivoluzionario Pasolini lancia la sua condanna, guarda a un futuro deserto, culturalmente povero di valori che ha fatto dell’anti-umanesimo uno stile di vita. Si percepisce come “sepolto, sotto qualche età sepolta” un uomo che non vive veramente poiché non ha più la possibilità di governare il proprio destino.
Nei versi finali il poeta sembra realizzare di essere erede di un passato ormai morto. Questo passato defunto viene percepito come un essere mostruoso, una madre-cadavere che ha ancora la forza di generare dalle proprie viscere. Ed è qui che Pasolini si definisce con un’espressione ossimorica: “Un feto adulto”.
In queste parole esprime tutta la sua essenza di uomo: il suo essere fragile e inconsapevole come un ramoscello in balia del vento, eppure irrevocabilmente legato a una precisa epoca e a un preciso contesto sociale e culturale.
Nella strofa finale Pasolini esprime la sua eterna ricerca, dettata dal desiderio di scoprire nuovi linguaggi, nuove identità, restando pur sempre ancorato alla solidità delle proprie radici.
10 giugno di Pier Paolo Pasolini: commento
La poesia 10 giugno esprime la più compiuta metafora dell’uomo contemporaneo. Come il protagonista del componimento, l’uomo contempla la desolazione del tempo presente senza più ritrovare il volto sereno della madre da cui è stato generato.
Pasolini in questi versi mostra lo smarrimento e la confusione dell’umanità moderna e, analogamente, il suo senso di solitudine. Il verso “cercare fratelli che non sono più” è forse un appello a ripristinare una nuova civiltà che sappia di nuovo guardare alle persone in un’ottica solidale. Che sappia guardare soprattutto alle persone come individui, dando loro valore uno ad uno pur nelle loro differenze.
La malinconica poesia di Pasolini non è un omaggio nostalgico al passato, ma un appellarsi al passato perché sappia rinnovare l’inconsistenza del tempo presente. È l’appello a un rivoluzionario cambio di civiltà di cui avremmo urgentemente bisogno.
Ed è proprio in queste parole che troviamo il più grande lascito del poeta corsaro, l’eredità da riscoprire e di cui fare tesoro nel centenario della sua nascita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Io sono la forza del passato”: la poesia “10 giugno” di Pier Paolo Pasolini
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Questo il testo completo:
Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia un sole
il cui calore è calmo come un mare:
lì ridotto, il rudere è senza amore. Uso
e liturgia, ora profondamente estinti,
vivono nel suo stile – e nel sole
per chi ne comprenda presenza e poesia.
Fai pochi passi, e sei sull’Appia
o sulla Tuscolana: lì tutto è vita,
per tutti. Anzi, meglio è complice
di quella vita, chi stile e storia
non ne sa. I suoi significati
si scambiano nella sordida pace
indifferenza e violenza. Migliaia,
migliaia di persone, pulcinella
d’una modernità di fuoco, nel sole
il cui significato è anch’esso in atto,
si incrociano pullulando scure
sugli accecanti marciapiedi, contro
l’Ina-Case sprofondate nel cielo.
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
La memoria si intreccia con il rimpianto d’un passato ormai definitivamente finito ed insieme fanno percepire la dimensione più vitale della cultura d’appartenenza: nutrimento essenziale per coloro che ne sanno comprendere “presenza” e “poesia”. Nasce da qui la “forza”, dal respirare un’energia che giunge da lontano. Pasolini si nutre di antiche radici; ne rivede riti e gesti gesti e si percepisce come “feto adulto” col privilegio d’una modernità che non rigetta il passato. Contempla crepuscoli ed albe dal margine di qualche civiltà sepolta e va in cerca dei <> non più in vita. Un modo, questo, di fare poesia per la scoperta di linguaggi alternativi, di segni e significati, nonché di nuove identità riguardanti le creazioni umane.