Paolo Borsellino. Per amore della verità
- Autore: Piero Melati
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2022
La narrazione delle vicende legate al grande magistrato Paolo Borsellino è sviluppata nel libro Paolo Borsellino. Per amore della verità (Sperling & Kupfer, 2022) in modo originale: quella di Piero Melati non è una biografia né tanto meno un’agiografia, il volume ha un taglio particolare riferito al percorso di vita di Borsellino, ove sono descritti fatti e persone. Con i martiri della Mafia, infatti, spesso è pessima abitudine in Sicilia unire alla santificazione la cancellazione della memoria, l’allontanamento irrazionale dalla verità dei fatti.
L’incontro con i familiari di Paolo Borsellino è stato il principale motivo ispiratore di Melati per la stesura di questo prezioso volume. Un incontro informale con Fiammetta Borsellino, non da cronista, ha dato la stura per la scrittura di una storia diversa.
Rispetto ad analoghe vicende che hanno coinvolto le vittime di Mafia, i familiari di Borsellino hanno subito nei trenta anni successivi alla strage di via D’Amelio un trattamento che non ha uguali. Anziché le celebrazioni e la vicinanza da parte dello Stato e delle Istituzioni, ai familiari è stata dapprima bonariamente invasa la casa da “grandi personaggi”. Indagini, perquisizioni, e verbali “sui generis”, come nel caso della raccolta delle dichiarazioni della moglie, di cui non si estendevano formali verbali.
Vi era nella casa di Borsellino, subito dopo la strage, un continuo andirivieni di persone. Si pensava in un primo tempo fossero attenzione o conforto, ma si è intravisto come una sorta di controllo. Veniva infatti attivata una linea diretta con i corpi dello Stato, nel caso in cui i familiari avessero avuto bisogno di comunicare ma non si sa bene che cosa. Ci si chiede a questo punto, secondo l’autore, quale è stato il limite tra protezione e controllo.
E in seguito è accaduto un fatto, poi archiviato dalla Procura di Palermo: un alto prelato della Curia di Palermo avrebbe tentato di riciclare del denaro del tesoro nascosto di Vito Ciancimino attraverso la Fondazione che portava il nome di Paolo Borsellino.
E ancora, accade che Lucia Borsellino, la primogenita del magistrato, accetta l’incarico di Assessore regionale alla Sanità in una giunta che doveva essere per così dire di rinnovamento, guidata dal ex sindaco di Gela, un simbolo dell’antimafia, Rosario Crocetta. Ma Lucia Borsellino dovette dimettersi ben presto da quella carica, in quanto giravano voci di un’intercettazione che riportava minacce di morte. Dopo questo triste episodio, Lucia Borsellino lasciò la Sicilia (oggi vive a Roma) e il fratello Manfredi, commissario di Polizia, dovette esporsi pubblicamente per difendere la sorella nel silenzio assoluto dei partiti e delle istituzioni.
Nel venticinquennale della strage, Fiammetta Borsellino inizia a parlare del depistaggio delle indagini, di un falso pentito, di innocenti condannati all’ergastolo. Situazioni accertate da sentenze della Cassazione, non un sentito dire. Ma si crea un gelo intorno a Fiammetta e anziché essere ascoltata la donna viene isolata, insultata, attaccata.
Quello che esce fuori dalle dichiarazioni dei figli di Borsellino, dopo trent’anni, viene a illuminare quei frammenti di verità e di vita in quei 57 giorni intercorrenti tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Ed è questo, secondo l’autore, quello che maggiormente lo ha spinto a scrivere questo libro. Oggi è possibile farsi un’idea attraverso le parole dei figli su quello che stava facendo Borsellino in quei 57 giorni. Gli incontri con i figli sono nati casualmente e da quello in specie con Fiammetta si è esplicitato il carattere schietto, aperto di questa donna che esprime i suoi dubbi senza remora alcuna, cercando solo la verità dei fatti.
Nel libro emerge la capacità di analisi di Melati e la sua facoltà di condurre un ragionamento. Si racconta quello che è successo all’interno della famiglia, si condivide una storia familiare e si manifesta come ci si è trovati davanti a tanti muri di gomma nella risposta ai troppi interrogativi. Non si vollero i funerali di Stato da parte della moglie, che già forse subodorava un coinvolgimento di apparati dello Stato e della criminalità mafiosa e che ha spinto tutti i familiari a disertare tutte le celebrazioni e manifestazioni finché lo Stato non farà pace con se stesso. E questo fino a che non si farà chiarezza su quanto avvenuto.
Dall’ultimo procedimento giudiziario sono poi emerse verità inconfessabili, elementi gravi e torbidi di cui si è poco parlato. Una verità giudiziaria accertata che deve essere invece quanto più conosciuta. Si è condotto da parte dei familiari e di Fiammetta Borsellino un percorso di conoscenza e approfondimento degli atti processuali e si è riscontato come vi sia stata un’occasione mancata da parte dello Stato di manifestare la sua natura democratica, non facendo luce sui delitti e anzi appare che si lavori in senso contrario. Una verità negata non solo alla famiglia ma a tutto il popolo italiano, che appare dileggiato da un grossolano depistaggio che è andato avanti con la complicità degli addetti ai lavori.
Un libro che entra nelle dinamiche interne dei familiari nella gestione del dolore. Un’esposizione pubblica di un privato diretto a coinvolgere e che riesce perfettamente nell’intento. Si racconta un vissuto familiare autentico che è in insieme quello di una città che è stata suo malgrado coinvolta anch’essa nel dolore.
Nel libro si evidenziano le errate investigazioni, le false piste, falsi collaboratori di giustizia che ritrattavano e la volontà di non guardare all’interno della stessa magistratura. Citando lo stesso Borsellino, la Procura di Palermo fu definita come un nido di vipere, espressione che esprime la necessità di difesa oltre che dai nemici esterni anche da un fuoco amico.
Una vicenda che Melati, giornalista sensibile e di livello, scrive e riporta con partecipazione ed emozione, coinvolgendo il lettore nella descrizione dei fatti denunciando l’assenza e la speranza di una verità dopo trent’anni. Si cita Sciascia, che poco prima di morire così si espresse:
"La speranza sta nel fatto di scrivere. Perché non c’è pessimismo che sia definitivo quando lo si scrive. Lo scrivere è sempre un atto di speranza”.
Paolo Borsellino. Per amore della verità. Con le parole di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino
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