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Incontro con Piero Melati, autore de "La notte della civetta. Storie eretiche di mafia, di Sicilia, d’Italia"

A Palermo Piero Melati ha presentato il suo ultimo saggio "La notte della civetta" (Zolfo, 2020).

Gaetano Celauro
Gaetano Celauro Pubblicato il 30-07-2021
Incontro con Piero Melati, autore de "La notte della civetta. Storie eretiche di mafia, di Sicilia, d'Italia"

Si è tenuto nei giorni scorsi un evento di interesse all’interno della manifestazione “I librai incontrano gli autori a Villa Filippina” a Palermo, iniziativa promossa dalla Associazione Librai Italiani diretta a rilanciare le librerie dopo i mesi della pandemia, in cui non si sono potuti organizzare manifestazioni. Piero Melati, giornalista affermato, già autore di Giorni di mafia (Laterza, 2017), vicedirettore de “Il Venerdì” di Repubblica, ha presentato il suo ultimo libro, La notte della civetta (Zolfo, 2020) insieme alla figlia del giudice Paolo Borsellino, Fiammetta, con la quale si è confrontata per i contenuti del volume. Contenuti amari di una realtà su cui ci si è interrogati spesso ma senza porsi le domande corrette e senza ottenere alcuna risposta, perché i fatti non sono stati osservati da una giusta prospettiva.

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La notte della civetta è un libro che tratta eventi passati, ma inducendo a riflessioni sul presente. Quando si discute delle stragi di vittime di mafia, si trascurano quelle del periodo in cui la mafia compì quel salto di qualità con il commercio di eroina e la Sicilia divenne allora la raffineria mondiale di questa droga. Si tratta di un volume attuale, in quanto i temi trattati sono ancora presenti anche se non se ne discute quasi per nulla, seppure nel tempo sono mutate le diverse tipologie di droghe.

Quanto narrato è stato vissuto dall’autore prima come semplice cittadino e successivamente come cronista de "L’ORA", che ha seguito la guerra di mafia e il primo Maxiprocesso a Cosa Nostra, gli omicidi eccellenti e quanto accaduto dopo le stragi. Nella prima parte, ragazzo degli anni Settanta, Melati assiste a un incrocio di eventi legati alla mafia e al terrorismo in anni in cui non si riesce a distinguere con nitidezza i rispettivi campi di azione. Melati ha raccontato come si sia imbattuto in una lettura di una ristampa dei discorsi del consigliere istruttore Rocco Chinnici, ucciso dalla Mafia con l’attentato clamoroso di stampo libanese, con un’autobomba davanti a casa sua in via Pipitone Federico. Occorre ricordare come il giudice Chinnici sia stato il fondatore del pool antimafia con Falcone e Borsellino ed è stato il primo a promuovere le inchieste sui livelli alti della mafia. Ma ebbe anche la prima idea che vi fosse dalla Sicilia un grande traffico internazionale di droga, osservando come alle fontanelle i ragazzi riempivano di acqua le siringhe con cui si sarebbero iniettata la droga. Inizia così a parlarne pubblicamente, ma viene considerato come un uomo ossessionato da questo fenomeno e ne parlava con i ragazzi nelle scuole e in vari consessi ove partecipava. Ma non veniva preso sul serio ed allora affermò decisamente come questi ragazzi, che prendevano la droga restando spesso vittime, erano da considerarsi anch’esse come vittime di mafia quanto gli uomini che sono stati uccisi direttamente dalla mafia.

Negli anni Settanta in Sicilia alla mafia venne l’idea di spostare nell’Isola le raffinerie che erano a Marsiglia. È un traffico internazionale che non viene scoperto e va avanti per anni e la Sicilia vive di un arricchimento indotto. Ecco che a un certo punto succede qualcosa: cominciano le prime inchieste, specie quelle di Boris Giuliano che scoprono l’esistenza di questo traffico.
Si era trasformato il modesto traffico di sigarette in qualcosa di più grosso quale il traffico internazionale di droga; ma il passaggio che cambia le cose in Sicilia, in Italia e in Europa avviene quando che si intercettano i primi carichi con l’America. Ecco allora che nasce l’idea di non rischiare più, investendo soldi per vendere questo prodotto negli States che rischia di essere intercettato negli aeroporti. Ci si chiede perché non diffonderlo nelle piazze dove si vive e questa idea o meglio consiglio o ordine lo danno dall’interno i Corleonesi, Totò Riina. Questi induce anche gli altri a seguirlo su questa strada, facendo prospettare i grossi guadagni, in ragione dei pochi che svolgono questo “affare” e per la vastità del mercato.

Quella che compie la mafia è un’operazione molto semplice: deve imporre il suo prodotto e fa sparire ogni altra droga dal mercato per cui si trova solo eroina spacciata solamente da quelli di Cosa Nostra. Ci si chiede quanti morti, che sono stati considerati vittime della guerra di Mafia, erano invece dei piccoli spacciatori eliminati in quanto non aderenti a Cosa Nostra.
Cosa Nostra inventa questo traffico con nuovo prodotto e si trova davanti a una generazione disillusa dalla politica, dai movimenti studenteschi, dalle occupazioni del 1977. È una generazione che certamente faceva già un uso irresponsabile di queste sostanze, vivendo nel periodo di Woodstock, dei Rolling Stones, del fascino della musica, dell’Oriente.
Ci si è lasciata alle spalle una storia che è diventata privata, quella di migliaia di ragazzi morti per overdose o per le conseguenze di quella stagione sulla loro salute cioè l’epatite, l’Aids. Sono malattie impronunciabili di cui ci si vergogna, come pure dei suicidi. Una vicenda storica e sociale che ha riguardato migliaia di famiglie in tutta Italia, è diventata una storia privata di ogni singola famiglia di cui vergognarsi.

Ritornando agli scritti di Chinnici, dovrebbero invece vergognarsi coloro che non guardano a quella storia per le conseguenze che ha ancora oggi. Migliaia di ragazzi sono morti in quella stagione o per le conseguenze sulla loro salute di quella stagione. A Palermo, la droga scorreva e fluiva a fiumi e non si trovava altro nella piazza che questo. Questo era lo scenario di cui si accorge, unico al mondo, il giudice Chinnici, ma dopo quella autobomba nessuno ne parlò più. In quel momenti, nessuno sapeva che cosa fare per il gran numero di tossici e migliaia di giovani sono morti in silenzio.

Dal libro si evince la sofferenza dell’autore che si è allontanato poi dalla Sicilia ed emerge il conflitto interiore tra l’amore per questa terra che al contempo respinge altrove. A Palermo si è sopravvissuti per caso, anche tanti poliziotti che non sono stati uccisi per pura fatalità. Sopraggiunge come un senso di colpa del sopravvissuto e si è davanti a una deriva davanti a un’antimafia religiosa più che una che fa i fatti. Vi è una liturgia dell’antimafia, un’adorazione dei devoti con grandi star ed icone che hanno cavalcato tutto questo.

Occorre ricordare almeno con una targa le migliaia di ragazzi morti per l’eroina di Cosa Nostra. Arriverà un giorno che ci sarà uno storico che metterà ordine su fatti che non hanno nemmeno statistiche; non si sa con esattezza il numero delle vittime di droga tra gli anni Settanta e Ottanta. I depositi erano proprio a Palermo nei quartieri Kalsa, con la morfina base e poi dell’eroina già lavorata. Si ricorda il personaggio di Don Masino Spadaro, boss della Kalsa, una persona a suo modo anche spiritosa, di cui si fece persino un’epopea. Era un uomo che incontrava anche assessori, sindaci e questo da latitante che girava nel suo quartiere tranquillamente. Si era in una città in cui un ragazzo tossico era un criminale mentre i latitanti come Riina stavano a casa loro.

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