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Recensioni di libri

Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci

Chiarelettere - Ottantadue anni fa moriva Antonio Gramsci. "Odio gli indifferenti" è un piccolo-grande libro che riunisce in poche pagine e con estrema efficacia il suo pensiero, restituendoci delle riflessioni che sono valide tutt’oggi.

Alessandra Piras
Alessandra Piras Pubblicato il 27-04-2019
Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti

  • Autore: Antonio Gramsci
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Chiarelettere

Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.

Così inizia l’articolo scritto da Antonio Gramsci nel periodo 1917-1918 e sottoposto a censura da parte del governo Salandra che aveva previsto per decreto (nel 1915, cioè alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia) che ogni pubblicazione venisse controllata e vidimata.
La casa editrice Chiare Lettere ha raccolto questo e altri testi in un libro, "Odio gli indifferenti", per la prima volta nel 2010 con un’introduzione di David Bidussa, grazie alla curatela che Sergio Caprioglio fece per Giulio Einaudi. Tale articolo ha trovato poi diffusione con Gianrico Carofiglio che lo lesse in occasione della manifestazione contro la legge sulle intercettazioni svoltasi al teatro Quirino di Roma nel 2010.
La citazione riportata sopra è piuttosto celebre anche sul web forse perché nella vastità di elaborati del pensatore sardo è quella che sintetizza meglio il suo credo. Opere che comprendono filosofia, pedagogia, politica, sociologia e persino fiabe per bambini. Ma la più corposa e rilevante è senz’altro costituita dai Quaderni e dalle Lettere la cui stesura risale agli anni della reclusione, avvenuta durante il regime fascista per le sue idee politiche e dove l’uomo trovò la morte il 27 aprile 1937 in seguito al peggioramento delle condizioni di salute.

Un pensiero che si può definire moderno, perché surclassa il suo tempo e giunge a noi più vivo che mai. Egli, infatti, nonostante sia vissuto in un’epoca diversa dalla nostra, è riuscito a elaborare delle riflessioni di alto spessore che valgono ancora oggi.
Si rivolge a tutti, esortando a essere cittadini veri, a essere responsabili della propria vita, evitando il pressapochismo, il qualunquismo, l’ignavia. La libertà dell’individuo è fondamentale in tal senso e Gramsci incoraggia con forza al cambiamento, innanzitutto come persone.
Un capitalismo fuori controllo – spiega – diventa “un vagabondo senza fissa dimora”, rendendoci schiavi, mentre una burocrazia eccessiva ci de-responsabilizza dinanzi alle manchevolezze dello Stato, piegandoci a queste; come se una vita pubblica inetta e fannullona fosse la norma anziché l’eccezione. Le sue parole sono piuttosto eloquenti e di un’attualità sconcertante:

I burocratici hanno la stessa mentalità del contadino che sogna come uno dei più bei giorni della sua vita quello in cui ha introdotto in città una gallina o un pezzo di salame senza pagar dazio; la stessa mentalità antisociale di chi cerca di esimersi con ogni mezzo di pagare il biglietto del tram, o, meglio ancora, il biglietto di un lungo viaggio ferroviario.

Le riflessioni sulla guerra, inoltre, non lasciano spazio all’indulgenza.
Non basta – afferma – avere una posizione contraria ai conflitti, ma è essenziale agire concretamente, facendo opera di controllo su chi detiene il potere, ovvero quella borghesia che ad essa strizza l’occhio:

Bisogna cercare di far evitare le guerre in ispecie, sventando tutti i trucchi, sventando le trame dei seminatori di panico, degli stipendiati dell’industria bellica, degli stipendiati delle industrie che domandano le protezioni doganali per la guerra economica. Poiché è pur necessario che la guerra scoppi in un certo momento, bisogna impedire che questo momento arrivi mai.

Quanto al vero nemico da combattere è, e rimane sempre, quello che lui definisce “il peso morto della storia”: l’indifferenza. Non si può e non si deve stare in silenzio di fronte alle ingiustizie, non si può esserlo di fronte alla corruzione o al malaffare, a una cattiva gestione o peggio alla cattiva politica. Se anziché subire o assistere passivamente alla storia, quella storia la si cambia, se offriamo una risposta alla domanda che lui stesso pone: “se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?” realizziamo il valore del monito che ha lasciato in eredità. Nato nel 1891 ad Ales, nell’oristanese, si impegnò a fondo sin da bambino nello studio trasferendosi poi a Torino, che divenne la ‘sua città di elezione’. Patì privazioni e sofferenze anche fisiche dovute a una salute cagionevole arrivando con la sola propria forza di volontà a fondare, insieme ad Amedeo Bordiga, il Partito Comunista Italiano nonché il quotidiano di area (l’Unità). Autore poliedrico e attento, ha sempre difeso con coraggio i suoi ideali fino alla fine e la sua penna da militante lo rese un personaggio stimato ma anche inviso a molti. Attualmente è considerato uno dei filosofi italiani più letti, studiati e tradotti al mondo.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Odio gli indifferenti

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