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Recensioni di libri

Mai in prima persona di Laura Laurenzi

Solferino, 2022 - Nei ventisei capitoli del libro, l’autrice ha raccolto alcune delle più significative esperienze della sua carriera di inviata, raccontando personaggi che hanno fatto la storia recente del nostro paese, storie che hanno segnato l’evoluzione del costume e i modi di vivere.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 27-02-2022
Mai in prima persona

Mai in prima persona

  • Autore: Laura Laurenzi
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Anno di pubblicazione: 2022

Cinquanta anni e cinquantamila lire, primo articolo e primo compenso di un mestiere di giornalista che Laura Laurenzi ha portato avanti nel tempo con determinazione, tenacia, con la consapevolezza che “nihil difficile volenti”, come recita quella scritta al largo delle Belle Arti a Roma, che Laura ha fatto sua. Figlia d’arte, suo padre Carlo è stato un raffinato scrittore, ha respirato in casa cultura e buone maniere, interessi vasti e buone frequentazioni familiari che l’hanno certamente aiutata a entrare in un mondo quasi esclusivamente maschile, quello del giornalismo, che quando lei ha cominciato, forte di una laurea in lingue alla Sapienza, di una borsa Fullbright e di un bilinguismo dovuto alla madre americana, vedeva in azione pochissime firme femminili, già allora mitiche: Natalia Aspesi, Rosellina Balbi, severissima capo della cultura a “Repubblica”, Miriam Mafai.

Dopo un volontariato a “Momento Sera”, conclusosi per la chiusura del giornale, e una breve presenza al “Giorno”, Laura approda “Repubblica”, direttore Eugenio Scalfari, vicedirettore Giampaolo Pansa. Sarà lui, insieme a Indro Montanelli, il maestro riconosciuto del giornalismo italiano, a farle da guida. I due grandi, Pansa e Montanelli, saranno generosi di consigli e precetti per la giovane Laura, che ne farà tesoro nella sua lunga carriera: mai usare la prima persona era un ordine tassativo in redazione; questo privilegio era concesso soltanto a due grandi firme, Aspesi e Bocca, mentre tutti gli altri dovevano attenersi a quella regola ferrea; raccontare fedelmente la cronaca, come tuonava Indro Montanelli, “sfumare” come imponeva Gaetano Afeltra, suonare ai citofoni per incontrare le persone, come suggeriva Giampaolo Pansa.
Maestri d’eccezione dei cui consigli Laura ha saputo fare tesoro, mentre le figure femminili cominciavano a entrare di diritto nelle pagine dei quotidiani, non più soltanto per coprire con pezzi di colore il giornalismo politico-economico affidato ai maschi.

Nei ventisei capitoli Mai in prima persona (Solferino, 2022), l’autrice ha raccolto alcune delle più significative esperienze della sua carriera di inviata, raccontando personaggi che hanno fatto la storia recente del nostro paese, storie che hanno segnato l’evoluzione del costume e i modi di vivere. Sempre pronta a partire, in anni in cui non c’erano i telefoni cellulari, sempre disposta a raggiungere luoghi difficili, per incontrare/intervistare le celebrità del momento spesso poco disposte a concedersi. Laura Laurenzi riuscì a trovarsi sul luogo del rapimento di Moro e a sedersi sul sedile a fianco a quello da cui era stato portato via il Presidente della DC pochi momenti prima; si introdusse nel Palazzo Chigi sedendosi alla scrivania del premier Berlusconi senza essere fermata; con l’amica de “La Stampa” Maria Corbi fu capace di entrare nella sala in cui si celebrava il privatissimo rito civile del matrimonio di Maradona a Buenos Ayres, da cui la stampa era stata severamente bandita; salì non vista sulla nave European Vision, nel 2001, al G8 di Genova, prima che la sua testimonianza di prima mano, “un’esclusiva”, fosse oscurata per la morte del giovane Giuliani colpito dalla polizia.

Faccia tosta, intraprendenza, coraggio, convinzione, eleganza dei modi hanno consentito a Laura Laurenzi di raggiungere, accostare, conoscere, intervistare le personalità più famose del nostro tempo. Con loro ha dialogato, qualche volta a lungo, altre allontanata come “un’imbucata” a una festa, ma lasciando sempre una testimonianza originale, ben scritta. Ironica e tagliente, mai volgare, Laurenzi ha descritto ricchi e ricchissimi, teste coronate, politici potenti, attrici sul viale del tramonto, Anita Ekberg e Silvana Pampanini, artisti di fama internazionale, Andy Wharol solo alla Galleria Borghese in contemplazione di Paolina, stilisti onnipotenti, Karl Lagerfeld innamorato della sua gatta Choupette, imprenditori famosi, il sobrio Agnelli e il generosissimo Barilla, figli di dittatori, Gheddafi e Islom Karimov, figli di miliardari, Paul Getty III; è stata presente a matrimoni favolosi di miti del nostro tempo, Pavarotti, Totti, Maradona.

I capitoli del libro hanno titoli sintetici e accattivanti, ma chi scrive non può non scegliere il più originale, intelligente e commovente di questi racconti, che vede l’autrice finalmente protagonista in prima persona, unica donna tra quattrocento marinai, imbarcata per cinque giorni per la campagna estiva degli allievi del collegio navale Francesco Morosini di Venezia su Nave Vespucci, il veliero della Marina Militare che tutti ci invidiano. Laura Laurenzi descrive il suo soggiorno a bordo della nave, il lusso inedito della cabina ammiraglio, il suo rapporto con il comandante e gli uomini dell’equipaggio, di cui descrive le mansioni, l’impegno, il coraggio dei marinai acrobati nel “montare a riva”, l’ammaina bandiera, l’entusiasmo di vivere un’esperienza unica, non tralasciando di raccontare la durezza dei turni di guardia, a cui anche lei si assoggetta, testimone fedele della vita degli uomini a bordo, divisi per incarichi e specialità, dai timonieri ai panettieri, in “una selva di fischi ognuno dei quali è un segnale”, mentre

“i marinai si arrampicano su per le sartie in cima agli alberi per spiegare le vele, su su fino a cinquanta metri, a precipizio sul vuoto e sul mare”.

E questo molti anni prima che anche le ragazze fossero ammesse a divenire Ufficiali di Marina. Laura Laurenzi è stata un’apripista nel mondo del giornalismo, all’epoca in cui i quotidiani si vendevano a milioni di copie ogni giorno, e i “pezzi” inviati per telefono segnavano la storia del costume del nostro tempo. Nella conclusione del libro l’autrice racconta come, durante un Festival tenuto a Perugia sul ruolo del giornalismo, dal pubblico un giovane uomo era intervenuto chiedendo in modo sprezzante se non si vergognassero le giornaliste presenti a guadagnarsi da vivere scrivendo di argomenti futili. La risposta di chi ha dedicato cinquanta anni di vita a specializzarsi in una professione difficile, dove le porte erano difficili da aprire per le donne, dove cultura e determinazione erano sempre da dimostrare, fu chiara:

“Dipendeva anche da come i singoli avvenimenti venivano narrati. Il “come”, non soltanto il “cosa”, avendo cura di scegliere le parole giuste e di mantenere il “dovuto distacco”.

Laura Laurenzi dunque può sentirsi soddisfatta: i suoi autorevoli “maestri” hanno avuto un’allieva divenuta una grande giornalista, versatile, elegante, capace di parlare con “il dovuto distacco” tanto di Herry e Meghan che di Alfredino in fondo al pozzo, di donne straordinarie, come Suso Cecchi D’Amico o Margherita Hack, o di donne qualunque come Sandra e la sua difficile scelta di maternità. Nelle lunga galleria dei personaggi e delle storie raccontate, ognuno potrà scegliere la sua preferita e valutare come il giornalismo cosiddetto di costume abbia segnato una tappa importante nella evoluzione della società italiana, grazie a uno sguardo talvolta leggero, sempre documentato, mai superficiale, stilisticamente ineccepibile.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Mai in prima persona

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Commenti: 1

  • carla urban
    27 febbraio 2022, 18:42

    Recensione che invita a leggere, ma che aggiunge valore immediato alla conoscenza oltre i luoghi comuni, per avvicinarsi al giornalismo con etica.

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