

La storia dei 47 ronin
- Autore: John Allyn
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2025
Il Giappone era in tumulto all’inizio del XVIII secolo, età di cerimoniali lenti e di corruzione alla corte dello shogun, a Edo (l’antico nome di Tokyo), ma di sfrenati divertimenti nei quartieri del piacere di Kyoto. Le arti fiorivano, nasceva il teatro popolare, si annunciavano trasformazioni in una società ancora feudale, ma non erano rare esplosioni di violenza. È lo scenario dell’epoca e dei luoghi in cui si svolgono i fatti narrati da John Allyn, descritto nell’incipit del suo romanzo La storia dei 47 ronin, proposta ai lettori italiani per la prima volta, dopo oltre mezzo secolo, da Bibliotheka Edizioni (Roma, febbraio 2025, collana Open, 320 pagine), nella traduzione di Aldo Setaioli dall’originale The 47 ronin story, apparso nel 1970.
L’autore non scriveva di mestiere, ma era stato a Osaka e Tokyo nei primi quattro anni della presenza americana nel secondo dopoguerra, dopo avere frequentato il programma universitario di formazione dell’Esercito statunitense e la Scuola intensiva di lingua giapponese nell’Università del Michigan. Al ritorno negli Stati Uniti, aveva conseguito un master in arti teatrali e un dottorato in storia del teatro, lavorando poi nell’industria cinematografica e da regista.
La sua è la ricostruzione romanzata di una vicenda di nobiltà d’animo guerriero e di fedeltà alla parola data, molto popolare nel Giappone contemporaneo, perché strettamente affine alla mentalità nipponica. Vi è stata e viene tuttora esaltata nella cultura nazionale, nella letteratura e a teatro. È un dramma tra i più apprezzati sulle scene del Kabuki, fin dalla versione in forma teatrale del testo di Muro Kyuso, primo a raccontare l’impresa. Setaioli sottolinea che viene considerata il più fulgido esempio di bushido, l’etica dei samurai, la classe guerriera che aveva il diritto di portare le armi, in particolare le due spade: katana (lunga) e wakizashi (corta). Il bushido (la via del guerriero) chiede onestà, coraggio, sincerità, onore, dovere e lealtà.
Allyn colloca l’episodio reale in una cornice di fantasia, per avvicinarlo alla sensibilità occidentale e moderna. Cerca di facilitare al massimo la nostra comprensione, ricorrendo a un vocabolario agevole e facendo riferimento a date e stagioni del calendario gregoriano (introdotto in Giappone soltanto nel 1873). Per non disorientare il lettore straniero, cita esclusivamente il nome di famiglia dei personaggi: il protagonista, capo delle milizie del castello di Ako, è Oishi, non Oishi Yoshio; il signore di Ako è Asano, non Asano Naganori (tra l’altro, in Giappone il nome di battesimo segue sempre quello di famiglia). In più, l’offesa che provoca la reazione del signore di Ako diventa un’allusione pesante all’onorabilità della moglie.
Tornando alla prefazione dello stesso Allyin, si legge che se le turbolenze nel Giappone del primo 1700 non vedevano protagonisti i samurai; si doveva alla ferrea autodisciplina e alla severità dell’addestramento. Finivano per reagire anche loro, tuttavia, come il giovane aristocratico disgustato dalla corruzione e immoralità della corte. Avvenne nel 1701 a Edo. Asano, principe di Ako, in un momento di collera e di frustrazione non tollerò l’offesa di un dignitario vile (Kira) e scatenò gli eventi che portarono a una sanguinosa vendetta. Quando tutto ebbe termine, il Giappone aveva una nuova schiera di eroi: i quarantasette ronin, gli ex-samurai di Ako.
Era stata impugnata una spada nel palazzo reale: lo shogun ritenne che il gesto proibito dovesse costare la testa del responsabile. Asano ottenne di potersi togliere onorevolmente la vita con un suicidio rituale. Come conseguenza della morte in esecuzione di una sentenza capitale, tutti i suoi beni vennero confiscati ed esonerati i samurai al suo servizio. Avendo perso il proprio contratto, divennero ronin, guerrieri senza padrone, esclusi dalla casta militare e non più nobili. Combattenti disonorati, miserabili, buoni al più a vendersi come mercenari prezzolati.
L’eroe del romanzo è Oishi. Suo il progetto di vendicare il defunto Asano, secondo il codice del bushido, colpendo chi lo aveva esposto alla giustizia. Tutti i compagni accettano di partecipare, pur consapevoli che la conseguenza non può che essere la loro stessa morte. Per sviare le spie e i sospetti di Kira sulla reazione dei seguaci di Asano, Oishi divorzia dalla moglie e si dà a una vita di bagordi, con una geisha riscattata da una casa di piacere di Kyoto, per far credere d’avere rinunciato alla vendetta, che invece consuma a fuoco lento... quasi due anni di preparazione. Al centro di Tokyo, nel cimitero adiacente al tempio Sengakuji, una tomba monumentale e un gruppo di lapidi in un recinto, segnano il luogo in cui riposano i quarantasette ronin, che il 14 dicembre 1702 assediarono il castello dell’uomo che aveva causato il seppuku (harakiri) del padrone. Ucciso Kira, portarono la testa sul sepolcro del loro signore, Asano Naganori, feudatario (daimyo) di Ako, che avevano così vendicato, pur sapendo che lo shogun ora li avrebbe condannati a morte. Ebbero il privilegio di togliersi la vita col suicidio rituale, anche loro in modo onorevole. Consumarono solennemente il seppuku in pubblico. La tomba più grande è quella di Asano. Il luogo è uno dei più venerati del Giappone.
In due appendici al volume, si possono apprezzare altrettanti interessanti contributi, sempre nella traduzione di Setaioli, dall’inglese e dallo spagnolo. Il più lungo è il primo resoconto occidentale della vicenda, in parte di fantasia, scritto da Algernon B. Mitford, funzionario della Compagnia olandese delle Indie orientali. Visse in Giappone e riferì dei quarantasette ronin nel primo capitolo del suo Tales of old Japan (Londra, 1871) e fonte per Jorge Luis Borges del suo L’insolente maestro di cerimonia Kotsukè no Sukè, inserito nella Historia universal de la infamia e seconda appendice nel libro.

La storia dei 47 ronin
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