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Recensioni di libri

La quarta estate di Paolo Casadio

Piemme, 2015 - La giovane dottoressa in medicina Andrea Dalvina Zanardelli, aveva lasciato le placide correnti del Lago di Garda per andare a lavorare presso il sanatorio comunale per i tubercolosi di Marina di Ravenna.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 15-01-2018

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La quarta estate

La quarta estate

  • Autore: Paolo Casadio
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Piemme

“La quarta estate” (Piemme, 2015) è il primo romanzo come autore singolo di Paolo Casadio, nato a Ravenna nel 1955, che ha riscosso grande successo di critica ed è stato insignito di numerosi premi: Ravenna e le sue pagine 2015, Il Delfino-Marina di Pisa 2015, il premio letterario internazionale Montefiore 2015, il premio speciale opera prima Cinque Terre-Golfo dei Poeti 2016, il premio della giuria al concorso internazionale Città di Pontremoli 2016, il premio speciale Cattolica 2016, il premio letterario Massarosa per opera prima, il premio Francesco Serantini 2017 e il contropremio Carver 2017.

Giugno 1943. È quella la quarta estate di guerra per la popolazione italiana stremata dalla fame, dalle privazioni conseguenti al conflitto e dai bombardamenti degli Alleati. La giovane dottoressa in medicina Andrea Dalvina Zanardelli, laureatasi brillantemente l’anno precedente, aveva lasciato le placide correnti del Lago di Garda, che l’aveva vista nascere in un paesino ubicato sulla riva bresciana, per andare a lavorare presso il sanatorio comunale per i tubercolosi di Marina di Ravenna. Il commento ufficiale del clan familiare considerava una fortuna lavorare nella terra del Capo, e quindi terra progredita e moderna, la più moderna d’Italia, d’Europa e quasi sicuramente del mondo. Ma c’era una frangia minoritaria, al momento clandestina, che s’ispirava a idee socialiste e vedeva nella medesima terra la culla del movimento proletario e la patria di Pietro Nenni. Il padre di Andrea, di poche parole, aveva detto alla figlia:

“Andrea, pensaci bene. Non è stagione per muoversi”.

Infatti, il viaggio era stato periglioso, verso Bologna il treno si era fermato e i passeggeri erano scesi di corsa per rifugiarsi nella campagna circostante. Un lucido aereo alleato, tanto veloce da essere invisibile, era sceso in picchiata contro il treno. Non c’erano stati morti e neppure feriti, ma la paura quella sì, era stata tanta. A Bologna, ad Andrea era stata sottratta la valigia mentre cercava i bagni pubblici. Una volta giunta a Ravenna, Andrea aveva contrattato la corsa del taxi per farsi portare a destinazione. La dottoressa che

“senz’acqua non poteva vivere, ed era uno dei motivi per cui aveva chiesto quell’incarico a piè di marina”

vedeva per la prima volta il mare e ciò che l’aveva stupita era stato il fatto che questo tratto di acqua del Mar Adriatico riposava fermo e tranquillo. Dopo due curve davanti al muso di lucertola della Millecento si erano palesati due fabbricati paralleli dall’aspetto inconfondibile di caserme. Era il sanatorio che per tre mesi sarebbe diventato il suo luogo di lavoro.

“Voi siete una donna. Mai viste donne medico”.

Nelle pagine finali de “La quarta estate”, Paolo Casadio, il quale s’interessa da anni alla lingua, ai racconti e alla storia della sua terra, precisa che

“sebbene inventata, questa storia trae corpo e parole dallo studio delle cronache dell’epoca del Resto del Carlino”.

Colpisce la prosa delicata e venata d’ironia di Paolo Casadio, che nei suoi libri ama narrare per metafore. Bellissima l’immagine del vecchio sanatorio in riva al mare,

“all’ombra dei pescherecci dalle vele sgargianti”

un’enclave di pace mentre poco lontano la guerra non dà tregua. Ma tutto appare miracolosamente lontano, quel conflitto crudele che oramai lambisce le porte dell’Italia, le difficoltà dei tempi e la fine delle illusioni imperiali. Per tre mesi, da giugno a settembre, in quel sanatorio dove c’era la colonia estiva retta dalle suore di San Dalmazia (le dalmatine), i piccoli, provenienti dall’orfanotrofio della Misericordia di Ravenna erano assistiti dalle suore e curati dal medico. Erano quelli i bambini che nessuno voleva, resi deformi dalla scrofola, adenite tubercolare, malattia che deforma il collo, spesso anche la faccia, che ricorda il muso delle scrofe. In questa ex caserma, anzi, più precisamente, un poligono di tiro (c’era chi asseriva che nell’altra guerra avevano alloggiato gli americani), dove ogni spazio era spartano e povero ma pulito, la vita della dottoressa in medicina Andrea Dalvina Zanardelli sarebbe cambiata per sempre.

“I ricordi, considerava, sono sfuggenti mormorii e occorre silenzio per ascoltarli: sicché stette in silenzio. il quarto silenzio della giornata. Un silenzio inutile”.

La quarta estate

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La quarta estate

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