

La guerra sottomarina (1914-1918)
- Autore: Johannes Spiess
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2024
Da comandante di unità subacquee vantava quarantuno navi affondate e due danneggiate, eppure Johannes Spiess non odiava i marinai nemici e provava una sincera compassione per i naufraghi in balia del mare, consapevole delle sofferenze. Sono sentimenti che sorprendono e inducono a riflettere, espressi in un libro pubblicato nel 1925. Oggi, gli appassionati di storia militare possono apprezzare la spontanea umanità dell’ufficiale berlinese e la lunga esperienza bellica nella flotta subacquea germanica 1914-18, per la riedizione di quel volume non eccessivamente ampio, La guerra sottomarina (1914-1918), tradotto da M. Pfuttzer e Piero Colombi nella collana “Testimonianze tra cronaca e storia 1914-18. Prima Guerra Mondiale” della casa editrice milanese Mursia (maggio 2024, 186 pagine).
Johannes Spiess (1888-1972) era entrato nella Marina imperiale tedesca come cadetto di mare nel 1907 e imbarcato dal 1912 sulla flottiglia subacquea degli U-Boot. Scalando i gradi, all’inizio del conflitto era primo tenente, ufficiale esecutivo del kapitanenleutenant Otto Weddigen sull’U-9, dal 1914. A causa di un infortunio, il comandante lasciò il battello nel gennaio 1915 proprio a Spiess, poi promosso con lo stesso grado e al comando di sommergibili fino alla fine della guerra, anche U-19, U-52 e U-135. Operò nel Mare del Nord, pattugliò il Baltico nel 1915-1916, il Canale della Manica, il Mare d’Irlanda e il Mare del Nord nel 1917-1918 e fu tra i protagonisti della repressione dei primi ammutinamenti navali tedeschi nel 1918. Al suo attivo, anche l’unico sbarco di personale militare germanico sulle coste britanniche. Si ritirò dalla Marina nel 1920 e visse la Repubblica di Weimar, l’ascesa nazista, la Seconda Guerra mondiale e la successiva divisione della Germania. Nel 1925 scrisse le sue memorie, Sei anni di crociera sottomarina. Riteneva d’avere vissuto un “interessantissimo romanzo” nei 6 anni, 1 mese, 20 giorni ininterrotti di carriera nella flotta subacquea. Per quanto ne sapesse, era stato l’unico ufficiale che avesse sempre tenuto il mare fino all’ultima rotta per la resa in Inghilterra, a fine 1918, partecipando alle operazioni degli U-Boot.
La maggior parte dei miei camerati sono morti; altri sono stati fatti prigionieri o ridotti invalidi, dagli anni di guerra.
Sfogliando vecchie carte, il diario di guerra e i giornali di bordo, rivive e fa vivere quel periodo, provando a raccontare alcuni episodi ai quali aveva preso parte. Riteneva i sommergibili il solo mezzo di offesa navale consentito al suo Paese dalle condizioni geografiche e militari nello scontro con la potenza marittima inglese, messa in difficoltà proprio dall’estrema perfezione raggiunta nell’ultima fase della guerra dal naviglio sottomarino tedesco. Ma notava che
anch’essa si trova sepolta con la Marina imperiale sotto alle rovine della rivoluzione!
E dire che non gli era stata gradita la destinazione a bordo di uno dei primi U-Boot della Kaiserliche Marine. Sognava, come tutti i giovani ufficiali di Marina, la destinazione a bordo di una torpediniera, aspirazione delusa il 1 ottobre 1912: ufficiale di guardia sull’U-9. Allora i sommergibili erano un’arma ancora imperfetta, di adozione troppo recente. Erano resi navi poco attraenti dall’imperfetta abitabilità, l’aria viziata, l’odore di nafta e l’estrema delicatezza degli apparecchi di manovra, oltre alle mediocri capacità nautiche.
L’arma sottomarina era giudicata pressappoco acerba, come quella aerea. Effettivamente, erano specialità neofite e tutti erano piuttosto scettici di fronte a quei nuovi prodotti della tecnica militare; tuttavia, il servizio sui battelli subacquei della Marina del Kaiser era più libero e indipendente. Altro particolare: la destinazione a bordo di un sottomarino avveniva solo su proposta di un ufficiale già impegnato nel servizio: era ammesso solo chi fosse ritenuto idoneo a essere cooptato, per attitudini, temperamento o predisposizione naturale. A fine carriera sugli U-Boot, nell’affidare alla carta le sue note non riteneva di scrivere ricordi e nemmeno un giornale di guerra, ma di rendere un tributo a chi aveva portato il sommergibile a sollevarsi dalle incertezze dell’inizio e a far tremare la più temibile Marina al mondo. Tra loro, i comandanti, impegnati a risolvere le difficoltà opposte senza tregua dalle esigenze militari e dalle misure adottate dal nemico.
Che contrasto, nella prima azione del 22 settembre 1914, tra il prestigioso successo dell’U-9 (tre incrociatori corazzati inglesi mandati a picco, Aboukir, Hogue, Cressy, con la perdita di quasi 1500 uomini) e la tecnica marinara primordiale di quei primi sommergibili tedeschi, unità primitive. Si pensi alla complessità della pronta immersione, allora. Tutti gli uomini dovevano essere avvertiti per collocarsi al posto di manovra, non essendo ancora concessa l’installazione di una suoneria d’allarme, per la spesa troppo elevata. Solo quando il direttore di macchina aveva comunicato il “tutti al posto”, il comandante dava in successione gli ordine di preparare la pompa, mettere in moto i ventilatori, aprire i depositi centrali.
I nuovi sommergibilisti troveranno antidiluviano il protocollo, tra l’altro era facile perdere l’assetto, con la prua che puntava al fondo e la poppa spinta in alto. Si poteva addirittura restare paralizzati in superficie, senza possibilità di immergere. Anche nel corso di un’azione, era necessario che una parte dell’equipaggio non impegnato nelle manovre si spostasse a comando avanti e indietro nello scafo, transitando rapidamente in spazi molto angusti. Prima a prua, poi tutti a poppa, per mantenere con il peso la posizione orizzontale del sommergibile, col risultato che dopo un’ora erano tutti stanchi morti. Inoltre, consistenti fumate biancastre dei motori diesel e scintille notturne rendevano i battelli avvistabili di giorno e perfino al buio, se in navigazione emersa.

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