La festa del coronamento
- Autore: August Strindberg
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Carbonio editore
- Anno di pubblicazione: 2022
Una camera, un letto. E un uomo che, piano, muore. È stato vittima di un grave incidente, la cancrena molto probabilmente lo ucciderà. Svegliatosi dal sonno indotto dalla morfina, si misura frattanto coi flussi di coscienza, col proprio io joyciano attraversato anche dal rimpianto di un matrimonio finito male. Forse per una serie di concomitanze, forse per la sua indole solitaria, poco propensa alle relazioni. Tra le immagini che affiorano nel deliquio dell’uomo, c’è quella di un “occhio verde”, la luce spettrale della lampada di un dirimpettaio offeso in un tempo lontano e da allora diventato nemico. Un nemico che attraverso la protesi oculare della lampada lo sorveglia di continuo. La festa del coronamento (1907) di August Strindberg, ripubblicato da Carbonio nella traduzione di Franco Perrelli, fa il paio con i climi interiori rilevati in Solo (Carbonio, 2020). Una discesa tra le anse di una coscienza analitica e frastagliata: ora rancorosa, ora lucida, ora obnubilata dallo stato di costrizione e dalla consapevolezza della fine imminente.
Verrebbe quasi da pensare a un progenitore del Krapp di Samuel Beckett (L’ultimo nastro di Krapp, 1958), non fosse che l’anonimo “conservatore” di “La festa del coronamento" non si autocommisera, e nemmeno si pente o si boccia, accedendo ai ricordi come “attraverso un grafofono”: l’oggettiva restituzione del (soprav)vissuto mnemonico in vece della memoria degli oggetti catalogati per lavoro in un museo. Ciò che si prepara ad affrontare il protagonista del romanzo non è insomma un cupio dissolvi discendente da un’estrema beffa ontologica, quanto piuttosto l’accoglimento interiore (anche se non asettico, anche se mai fatalista) delle circostanze e le scelte che hanno determinato il proprio ex cursus vitale.
Il romanzo ha una trama “mentale”, non ha suspense, se non quella dettata dallo scavo interiore in cui Strindberg riesce da maestro. Alla luce di ciò mi sia concesso rivelare le sue righe finali, paradigmatiche proprio di questa pacificazione ontologica cui approda infine il “conservatore”:
“Il morente sorrise, non comprendeva la situazione, vedeva solo verde, fiori e bandiere, e prese per sé quegli evviva. Buonanotte, croce rossa, ora dormirò! furono le sue ultime parole. Si stirò, sospirò a lungo un paio di volte e, apparentemente, s’addormentò, ma mori. E giacque così, sorridente come se vedesse solo cose belle, prati verdi, bambini e fiori, acqua azzurra e bandiere nel sole lucente”. (pag. 125)
Succede al contempo quasi un’escatologia: a lanciare gli “evviva” sono infatti gli operai che hanno ultimato i lavori della casa del suo antico nemico, nascondendola alla prospettiva della camera da letto del moribondo. In fin di vita egli si affranca quindi dalla tirannia spettrale della “lampada verde”, viene insomma liberato dal peso dei condizionamenti, delle convenzioni ipocrite; restituito simbolicamente a un monadismo non disperato, al contrario approdo quasi agognato.
“Ciò che in effetti struttura il romanzo è il modello della rassegna esistenziale […] per cui tutta la vita del protagonista, in punto di morte, gli scorre davanti non solo in un flusso di parole, ma anche ’come per una chiusura di conti, pareggiando debito con debito’ […]. In questo quadro Strindberg non solo delinea drammaticamente il destino metafisico dell’uomo, ma soprattutto non si esprime in una semplicistica chiave devozionale, se mai prevalentemente gnostica”. (pag. 19)
Va detto in ultimo che La festa del coronamento comprende anche il lungo Inserto che Strindberg “dovette stralciare da qualche punto della parte finale” del libro. Per la prima volta tradotta in italiano, si tratta di un’appendice di una decina di pagine che conferisce valore filologico aggiunto a un romanzo anticipatore della narrativa interiore novecentesca.
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