L’ultima estate in paese
- Autore: Simonetta Tassinari
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
L’ultima estate in paese (Corbaccio, 2024) è il nuovo romanzo, redatto dalla scrittrice Simonetta Tassinari, già autrice dei volumi La casa di tutte le guerre (Corbaccio 2015), Le donne dei Calabri di Montebello (Corbaccio 2021), finalista al premio di narrativa storica Forum Traiani, e Donna Fortuna e i suoi amori (Corbaccio 2022). La scrittrice nata a Cattolica e cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino, vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Molto attiva nella divulgazione filosofica (“Il libro rosa della filosofia. Da Aspasia a Luce Irigaray, la storia mai raccontata del pensiero al femminile” (Gribaudo 2024), tiene conferenze e incontri in tutta Italia.
“È una curiosa creatura il passato e a guardarlo in viso si può approdare all’estasi o alla disperazione”.
Come non dare ragione a Emily Dickinson (per la frase esergo del volume della poetessa statunitense), i ricordi che fanno parte dell’esperienza di ciascuno di noi, possono essere dolci o molto amari.
Lo sa bene la simpatica, ironica e arguta protagonista di questo bel romanzo, Maria Rosaria Delli Quadri, detta Rory, che conferma il talento e la fantasia narrativa di Simonetta Tassinari, bravissima nel rievocare l’atmosfera drammatica di un’Italia appena uscita dalla Seconda guerra mondiale, tesa verso la ricostruzione e gli Anni Settanta, anni di svolta e anni di piombo.
“Esistono persone che incrociando i propri passi con quelli degli altri - anzi inciampandogli sui piedi - ne determinano il destino, o per lo meno lo indirizzano per un bel po’”.
Rory credeva moltissimo ai segni, ecco perché quando da una copia dell’Eunuco femmina di Germaine Greer, contenuta in una scatola di metallo di Baci Perugina, erano sfuggiti un cartoncino giallognolo e due bigliettini da visita, la donna si era emozionata ed era tornata con il pensiero all’estate del 1975 quando, terminata la Maturità con un bel 60 e avere trascorso l’ultima estate in paese, si apprestava ad andare a studiare Filosofia all’Università di Bologna.
Lasciare “il natio borgo selvaggio” per Rory significava iniziare a vivere liberamente, scoprire il mondo oltre le montagne dell’Appennino Molisano, dove a mille metri di quota era nascosto Forte delle Orchidee avaro di turisti, sotto il massiccio della Gallinola, freddo in tutte le stagioni, e la mentalità della maggior parte degli abitanti sembrava essere cristallizzata. Vestita con un perfetto look Anni Settanta: jeans a zampa di elefante o gonnellona folk, zatteroni, espadrillas, Vaqueros e borse Vera Tolfa (un must), Rory in fondo era fortunata: sua nonna Maria Rosaria, femminista a modo suo, dalla mente illuminista, alla quale era legata da un affetto profondissimo, era stata la rispettata maestra del paese; il trisavolo Carmine, aveva fondato a metà Ottocento, la tipografia di famiglia; poco più di cent’anni dopo la sua discendente, femminista impegnata, anticonformista, aveva convinto il padre a cederle il vecchio magazzino per farne un circolo culturale, il “Caffè blu” dove su di una parete campeggiava una frase di Flaubert:
“NON LEGGETE, COME FANNO I BAMBINI, PER DIVERTIRVI, O, COME GLI AMBIZIOSI, PER ISTRUIRVI. NO, LEGGETE PER VIVERE”.
Nel romanzo dedicato: “Alle canzoni, ai libri, ai film di quel tempo, dalla bellezza che ancora incanta”, Simonetta Tassinari pone sullo sfondo il Molise con le sue impenetrabili montagne, un universo arcaico, selvaggio, con al centro il mistero di una nascita, che avvolge l’esistenza di un giovane straniero bello, biondo, alto, a cavallo di una potente Kawasaki. È Pierre Duchamp, nazionalità belga, di professione architetto paesaggista, che a Forte delle orchidee cerca risposte certe sulle proprie origini e del quale la nostra eroina Rory non può non invaghirsi.
Da ammirare il coraggio di Rory, anima ribelle in un paesino, dove domina la società patriarcale diventata femminista:
“perché mi seccava che ufficialmente capofamiglia fosse sempre e solo l’uomo mentre nei fatti non era così, che il tradimento della donna avesse rilevanza penale e quello maschile no, che ci fossero ancora il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, che esistesse ancora un concetto come la ‘potestà maritale’, che neanche Cicerone, che ci fossero donne che morivano per aver dovuto abortire clandestinamente”.
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