Grazia Verasani, nata a Bologna, è una scrittrice di successo, sceneggiatrice e cantautrice, ma ha anche recitato in un film come attrice.
A disposizione, molti talenti e la città del Dams dove esprimerli: penso che da sempre Bologna abbia un interesse per l’arte, la musica e il teatro, mentre in altre città, con tutto il rispetto, spesso si fatica a esprimersi artisticamente.
Il successo di pubblico arriva con il romanzo Quo vadis, baby?, la storia di una detective privata, Giorgia Cantini, che scopre i pericoli che ha corso la sorella.
Gabriele Salvatores ne fa un film con lo stesso titolo del libro, di grande successo.
Dopo aver inciso due dischi, Grazia Verasani si dedica principalmente alla scrittura, continuando a far uscire ancora storie con protagonista la Cantini.
La sua scrittura, definita "immaginifica", è al servizio di molti romanzi.
Dopo un viaggio in America con lezioni di noir da lei tenute, scrive due libri intimisti e molto belli, tutti e due per Giunti editore: Mare d’inverno (2014) e Lettere a Dina (2016). Tra i due, il quinto libro noir su Giorgia Cantini: Senza ragione apparente (Feltrinelli, 2015).
Nell’intervista, Grazia Verasani racconta del suo ruolo di sceneggiatrice per il film Gli anni amari di Andrea Adriatico, sullo studioso milanese Mario Mieli, mai uscito al cinema per la pandemia e anticipa qualcosa sul suo prossimo libro.
- Grazia Verasani, lei ha molteplici talenti: chi la conosce solo come scrittrice non sa che è anche una sceneggiatrice. Come è entrata nel cast di Gli anni amari, film di Andrea Adriatico sulla figura dello studioso milanese Mario Mieli?
Conoscevo il regista perché avevo scritto in precedenza due drammaturgie inedite (di cui una sul ‘77 bolognese), che lui ha rappresentato ai Teatri di Vita di Bologna. Siamo diventati amici fraterni e mi ha chiamata a scrivere la sceneggiatura anche per affiancare Stefano Casi, collaboratore storico di Andrea, che si è maggiormente occupato delle ricerche e del periodo storico, mentre io dei dialoghi e delle scene da immaginare per ogni contesto. Andrea si preparava a questo film da dieci anni, io ho colto la sfida appena me l’ha proposta.
- Quali sono state le difficoltà, ammesso che ci siano state, a dare voce a un uomo come Mario Mieli?
Le difficoltà sono state reperire materiale visivo, che è piuttosto scarso, immergersi in una sorta di obnubilamento della figura di Mieli, farlo rinascere come una fenice, opporsi ai veti di chi non voleva questo doveroso “ripescaggio”. È stato eccitante, coraggioso, identificarsi con Mario, con le sue lotte, i suoi pensieri, divorare i suoi scritti, comprese le poesie.
Un’esperienza vissuta in un clima di totale gioco di squadra: sapevamo tutti che non era facile, ma che dovevamo farlo. Mieli è stato fondamentale per la Storia del nostro paese, non solo per la causa LGBT, ma per le sue idee intellettuali rivoluzionarie, per il suo anticonformismo, la sua intelligenza acutissima, in anni caratterizzati da forti pulsioni di cambiamento, di fermento politico, di contrasti. Dell’Italia degli anni ‘70 Mieli criticò moralismi, pregiudizi, ipocrisie e si dannò per affermare i diritti delle categorie deboli, donne comprese.
- Dando per scontato che si sia documentata, a fine film cosa pensava di questo giovane esile, con genitori borghesi che creò il primo circolo gay con Angelo Pezzana, che restò per un certo periodo a Londra? Perché si è suicidato?
Ovviamente ci siamo tutti documentati, abbiamo letto i suoi libri e gli articoli, i testi scritti su di lui, visto le sue interviste, intervistato i testimoni del suo tempo, i suoi amici e in particolare l’ultimo fidanzato, Umberto Pasti, uomo di grande spessore. Alla fine delle riprese del film, ero solo felice di averne fatto parte, di aver contribuito a “resuscitarlo” un po’. È stato un lavoro di passione.
Mario era un ragazzo esile ma forte, libero al limite della spregiudicatezza, emotivamente instabile forse perché spietatamente lucido. Il suicidio, come qualunque suicidio, è indagabile solo fino a un certo punto. Ma certo la forte delusione verso la politica ha contato, così come la fine della relazione con Pasti. È struggente, nel film, la parte dedicata al suo crollo.
- Il film si è scontrato con la pandemia che lo ha travolto. Ma con la presentazione al Festival di Roma e le proiezioni stampa molti lo hanno lodato, parlando di un film bello, necessario. Cosa è successo precisamente?
Da destra abbiamo subito parecchio ostruzionismo e anche malevolenza (come era prevedibile aspettarselo), quindi ci ha colmato di gioia la pronta risposta della critica, i tanti articoli positivi, l’accoglienza fantastica al festival di Roma. Ovviamente, abbiamo dovuto rimandare l’uscita del film a tempi migliori.
- Sempre da queste recensioni, si è parlato bene di Nicola Di Benedetto, che interpreta Mieli, e del padre nella scena, Antonio Catania. Ma c’è stato un coro unanime per Sandra Ceccarelli, madre di Mario nel film, la nostra migliore attrice che in modo "stupido" viene lasciata a casa, perché il tempo passa per tutti, anche per le attrici. Cosa pensa di Sandra Ceccarelli e come si è adattata la sceneggiatura sul suo personaggio?
Domanda che mi rende felice, perché adoro Sandra Ceccarelli, la considero una delle nostre migliori attrici e già andando sul set mi ero resa conto di come affrontasse il personaggio della madre con la sensibilità che le è propria. È un’attrice di grande intensità e non si capisce perché, dopo anni di successo e tanti film e premi vinti, al momento sia poco sfruttata dal cinema. Non so se sia un problema di età (è ancora bellissima) o di ruoli femminili mancanti, non lo capisco, visto che è anche una compagna di lavoro delicata e rispettosissima. Anche Antonio Catania è un attore bravissimo, ma Nick ci ha sorpreso, è arrivato all’audizione e ci ha commosso raccontandoci scampoli della sua vita personale, poi si è identificato in Mario al punto da somigliargli anche fisicamente. Umberto Pasti, dopo aver visto il film, ci ha detto che Nick era fortemente somigliante a Mario, al punto che gli era sembrato di rivederlo.
- Questo avvenimento, il film rimasto bloccato e proprio in quei giorni numeri impressionanti del contagio... Spera che il film vada al cinema e non su Netflix? Si chiede quando apriranno cinema e librerie?
Mi chiedo tante cose. Mi chiedo perché alcune fabbriche o beni considerati primari restino attivi e le librerie no, così come temo che anche con l’allentamento delle restrizioni gli spazi creativi, artistici e culturali saranno limitatissimi, per non dire assenti. Questo è un paese dove la sinistra parla di cultura come fonte di guadagno economico e di risorsa, ma alla fine nessuno sembra pensarlo davvero. Mi auguro che il film vada nelle sale, anche a poltrone distanziate, ma nelle sale.
- I lettori (e sono tanti) la seguono con devozione sui social, soprattutto su Facebook, ma anche su Instagram dove posta foto bellissime di fotografi o di artisti tout court. Questi lettori vorrebbero sapere: c’è già un nuovo libro finito? Se per scaramanzia non vuole dire niente del libro, ci dica se nei social trova ricchezza o noia, pregiudizi, persone arroganti?
Il mio nuovo romanzo Come la pioggia sul cellofan, sesto noir con protagonista l’investigatrice privata Giorgia Cantini, e edito da Marsilio/Feltrinelli, doveva uscire a maggio, ma credo verrà rimandato a settembre.
Nel frattempo ho scritto la sceneggiatura di un docufilm dedicato al mondo del teatro dal titolo Amati Fantasmi, per la regia di Riccardo Marchesini, che spero esca a breve, ma che per ora, vista la situazione, è bloccato. Vivo i social come una piccola comunità di amici che ogni tanto interviene nei miei post, scrivo pensieri, anche incazzature, scorci della mia vita e li regalo, li condivido. Devo dire che scrivere su FB è quasi un allenamento e che di rado mi scontro con qualcuno.
- Con questa equazione "io devo restare a casa per legge, se sto fuori troppo è reato" e la pretesa di impiegare questo tempo leggendo o rileggendo i classici, sennò "portiamo via tempo al nostro intelletto", leggere è diventato l’alibi per far sembrare il distanziamento sociale anche un privilegio. Da scrittrice non trova tutti questi cori per la lettura quantomeno inopportuni o è d’accordo?
Io penso che solo autori della domenica, come si suole dire, si buttino a capofitto in progetti di scrittura, e a cuor leggero, in un momento tragico e claustrofobico come questo. È impossibile non respirare un clima di inedia profonda, di impotenza, non ragionare quotidianamente sulla situazione politica e sanitaria, non sentirsele premere addosso. Difficile distrarsi, fare i bravi soldatini, la scrittura non è un lavoro impiegatizio (con tutto il rispetto per questo tipo di lavoro), serve un minimo di ispirazione, ma soprattutto di serenità per poter scrivere senza eccessiva fatica. Bravo chi ci riesce, eh. Io ho dei dubbi sullo sfruttamento in positivo di questo tempo “chiuso”, deprivato della libertà di scelta. Si invita a leggere, ma si serrano le librerie, e quelle indipendenti, che già faticavano, vivranno tempi durissimi. La povertà, poi, porterà molti a considerare il prezzo di un libro, di un film, di una mostra o un concerto, come un lusso su cui bypassare. Sono molto, molto preoccupata per il nostro settore. Rispetto al leggere, leggo quanto prima, ma non con la stessa tranquillità e concentrazione.
- Torniamo al libro che le ha dato notorietà, Quo vadis, baby?, portato sul grande schermo da un Gabriele Salvatores molto ispirato in un film di successo. Partecipò alla sceneggiatura in modo fattivo o diede indicazioni di massima? E poi, dopo tanti anni, cosa pensa del film ora?
Sì, fu un lavoro fatto insieme al regista e devo dire che Salvatores fu piuttosto attento e generoso. Penso che sia un film coraggioso, tutto “scuro”, non televisivo, con protagonista una cantante estrapolata del bacino cantautorale rock bolognese, che non era bella in senso canonico, ma molto espressiva.
Altro tipo di esperienza fu invece la serie tv prodotta da Sky nel 2008. Con Guido Chiesa, il regista, andai subito d’accordo, con la produzione meno. E oltre a firmare e scrivere i soggetti di serie e tre soggetti inediti, non collaborai alle sceneggiature delle puntate. Giorgia Cantini è stata la prima investigatrice privata italiana, nella narrativa e nel cinema, e di questo sono abbastanza orgogliosa.
- Prima di lasciarla, ci indica due o tre titoli di scrittori italiani o stranieri che le hanno fatto compagnia nel lockdown, ma anche prima, quando eravamo in condizioni normali? Grazie.
Mi sono lanciata sugli otto volumi della saga storica dei Poldark di Winston Graham, proprio per bisogno di evasione, ma sono scritti benissimo! E ho letto e consiglio Miss Rosselli di Renzo Paris. Ho pronto da leggere il nuovo romanzo di Bruno Arpaia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Grazia Verasani: la scrittrice racconta della sceneggiatura su Mario Mieli e del suo nuovo romanzo
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