Rossella Pretto è nata a Vicenza. Poetessa, traduttrice e scrittrice, ha pubblicato il poemetto Nerotonia (Samuele editore, 2020), ispirato al Macbeth di Shakespeare.
Con Marco Sonzogni ha curato e tradotto Memorial di Alice Oswald (Archinto, 2020) e le traduzioni sofoclee di Seamus Heaney (I Convivio editore, 2022). Ha curato La Terra desolata di T.S. Eliot, nella traduzione di Elio Chinol (Interno Poesia, 2022). Scrive poesie e racconti in antologie cartacee. È presente nell’antologia di racconti curata da Filippo Tuena, L’ultimo sesso al tempo della peste (Neo edizioni, 2020). In “Poesia”, “L’Ottavo”, “Studi Cattolici” ha scritto articoli, anche su “Atlas-Il Manifesto” .
La sua ultima opera è il saggio biografico dal titolo La vita incauta (Editoriale Scientifica, 2023), un viaggio in Scozia nelle terre dove è ambientata la tragedia shakesperiana del Macbeth.
Con questo libro Rossella Pretto è entrata nella lista degli ottanta scrittori presentati per il Premio Strega 2023, ma non ha raggiunto la dozzina finale.
Ne ha parlato con il nostro collaboratore Vincenzo Mazzaccaro nell’intervista che segue.
- Come si spiega il successo de La vita incauta, del resto escono ancora recensioni di valore e lei sta andando dappertutto per parlarne. Ha trovato una ragione o non se lo chiede più?
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Successo? Beh, se consideriamo il tempo verbale declinato al passato non possiamo parlare di successo perché sta succedendo tutto ora. A parte gli scherzi, penso che un libro non abbia scadenza. In fin dei conti, La vita incauta ha appena compiuto tre mesi, è giovane.
Il problema è il mercato editoriale che cataloga il libro, come l’essere umano e le sue occupazioni, come merci da consumare in fretta perché deperibili e soggette all’invasione della novità o dell’aggiornamento. Siamo agli antipodi di una concezione culturale sana. L’intrattenimento è un’altra cosa. Ha diritto di esistenza, ma non è l’unica forma con cui si può sperare di allettare l’annoiato e distratto lettore, attraverso cioè una iperstimolazione che assomiglia a una incursione aerea fulminante che non lascia superstiti, una guerra lampo per distruggere gli obiettivi sensibili o i centri di intelligence dove si compone la griglia interpretativa del presente. Se ci pensiamo, Dante ha avuto bisogno di concepire la Commedia per mettere in prospettiva il mondo. Detto questo, sono molta stupita della buona accoglienza che La vita incauta ha ricevuto e sta ricevendo. Stupita e grata. Se non continuassi a sgranare gli occhi sarei morta o sarei un ingranaggio di quel motore macina-cervelli a cui ho accennato poco fa.
- Come è nato il libro, ci pensava da molto o le è venuto così scrivendo?
Sicuramente una gestazione più lunga di un parto. Durata circa vent’anni. Dalla mia tesi scritta sulla tragedia shakespeariana fino al compimento del libro, nel momento in cui ho deciso che potevo lasciarlo andare. Un attimo imponderabile e doloroso.
Chissà se Macbeth continuerà ad accompagnarmi.
Credo che certi amori siano difficili da dimenticare. “Certi amori ti lasciano una canzone per sempre”, diceva Eros Ramazzotti. E il canto fa sicuramente parte di me. Il canto della parola che si dispiega, intendo.
- La tragedia più rappresentata di Shakespeare è il Macbeth e i critici inglesi trovano che sia la più completa e moderna di tutte quelle scritte dal Bardo. Se lo è chiesto il motivo di tanto successo?
Per molto tempo, Macbeth è stata considerata la tragedia di Shakespeare porta-sfortuna!
Si dice che Max Beerbohm, critico teatrale succeduto a George Bernard Shaw sulla Saturday Review, nel 1898 scrisse che l’attore che doveva interpretare Lady Macbeth, nella prima messa in scena di cui si abbia notizia, si ammalò e morì dovendo essere sostituito all’ultimo momento dallo stesso Shakespeare.
Beerbohm citava anche un lungo passo del diarista secentesco Samuel Pepys in cui
si elencavano le sventure causate dalla tragedia. Da allora Macbeth posta iella! Si è però scoperto che il brano di Pepys citato da Beerbohm è falso, non esiste.
«Bello è il brutto e brutto il bello», scrive Shakespearenelle prime righe del dramma. Dove sta la verità? Possiamo solo dire che la parola scagliata come una freccia va a creare realtà. Una delle vittime più illustri della tragedia fu infatti Peter O’Toole.
Resta il fatto che Macbeth si presta a una lettura attualizzante spesso feconda per descrivere gli orrori del presente. Ricordiamo la messa in scena voodoo di Orson Welles, interpretata da un cast tutto nero, quelle di Ingmar Bergman, come quella di Carmelo Bene o la riscrittura di Giovanni Testori. Solo per citarne alcune che vanno a pescare in altrettante opzioni di lettura.
Il suo successo consiste nella facoltà di interpretare l’oggi e di porre l’attenzione sulla consistenza del Male, come pure di investigare il Destino e uno dei dilemmi più castranti dell’essere umano di tutti i tempi inerente a essere o agire.
- Lei sulle tracce del Macbeth fa un lungo viaggio in Scozia. Ci dice che le è rimasto di quel viaggio? Le dico subito che io non sarei mai sceso dal treno o sarei restato in un hotel a prendere calmanti...
Questa sorta di pellegrinaggio è stato una tappa fondamentale della mia crescita, esattamente per il motivo che individua. Se non avessi abbandonato l’idea di potermene stare in hotel a prendere ansiolitici non avrei compiuto il viaggio, non sarei proprio partita. Tanto è vero che, tra le righe, racconto anche di un attacco d’ansia con cui ho dovuto fare i conti, trovandomi sola in un paese
straniero e con una scarsa padronanza della lingua parlata. Chi ha sofferto di attacchi di panico sa cosa significa farsi cambiare la vita dall’infiltrazione di paure improvvise e paralizzanti. Non si è mai al riparo. Ma bisogna tentare e attentare alla vita, osare, prendere coraggio per tuffarsi in una piscina vuota (to jump in a empty pool, un’espressione che dimostra quanto la fede sia un atto azzardato in cui domina l’immaginazione). D’altra parte, se non si corrono rischi, se non si mette il piede in fallo la vita non è più incauta…
- Lei riesce a rendere facile una cosa difficilissima. Dal Macbeth ci ritroviamo nei suoi ricordi belli o meno belli della sua famiglia, di suo nonno. Ma perché lì? Perché durante quel viaggio?
Facile o difficile è un meccanismo della nostra mente, passare da una cosa all’altra per salti vertiginosi: il pensiero analogico grazie a cui sopravviveremo alle macchine – che è poi il principio della poesia. La memoria lavora perché il ricordo divenga accessibile; e un elemento casuale può fare da innesco (nel mio caso non così casuale, a dire il vero, ma scientemente perseguito). Dovremmo piuttosto riflettere sull’infedeltà del ricordo, sulla contaminazione a cui va soggetto – e questo è un tema traduttivo inaggirabile. Anche la memoria è un processo di codifica e decodifica. D’altra parte, come dice Mandel’štam, la riflessione poetica e filosofica si intona al passo. Camminando prende fiato e diventa armonica, pur nelle soste o nelle impennate. Ha un suo ritmo, insomma.
- Perché quando un libro va bene, tutti lo scambiano come il suo scritto serio, o come la prima opera? Se le dicono che ha esordito con La vita incauta si arrabbia molto?
Certo che ho esordito con La vita incauta. C’è una mia raccolta poetica precedente, Nerotonia, ma questo è il primo libro di narrativa. Perché dovrei arrabbiarmi se si dice la verità? Potremmo riflettere sul concetto di verità (l’abbiamo detto prima che le streghe macbettiane ci inducono fin da subito a dubitare della sua saldezza), ma non ne usciremmo più. E allora sarò breve dicendo che l’esordio è soltanto l’affacciarsi di una voce che parla da tempo immemore e che d’improvviso sboccia sulle labbra. La si ascolta e si tenta di trascriverla. Come fanno gli scribi o i traduttori.
- Sempre sulla rabbia. È forse una mia impressione ma lei su social, soprattutto Facebook, ha l’aria sempre sorridente e cordiale ma ogni tanto dà una risposta piccata. Questo però capita di rado e poi mette il nome di battesimo e tre puntini di sospensione come a dire “ma ci credi a quello che ti ho scritto”. È una mia impressione che lei sia sempre lieta?
Certamente un’impressione. Non è la gaiezza il mio lato più in luce. Ma il sorriso non mi abbandona, anche perché è un’ottima maschera per difendersi dalle intrusioni esterne. La rabbia è un motore formidabile, se giustamente alimentato e lanciato. Non lo so, vivo di picchi. E di dubbi.
Ultimamente sono attraversata da una buona dose di entusiasmo. Sarà una fase, sarà la soddisfazione di aver dato voce a una storia che chiedeva di raccontarsi. E l’amore che ne è scaturito mi ha fatto comprendere quanto anch’io, lo confesso candidamente, senta la necessità di essere stretta da quel sentimento per poter suggere tutto il bene che si può avere e anche quello che non è dato. Per il resto, la rabbia resta un buon cavallo sulla cui criniera abbandonarsi al galoppo della scrittura.
- Lei per questo libro è stata proposta al Premio Strega, ma eravate ottanta candidati e capita di non proseguire. Mai un post contro chi ha scelto i dodici libri finali. Ma ha avuto un attimo di rabbia? Di sconcerto, almeno, per una o due donne (8 potenziali candidate alla vittoria e quattro uomini), che ha avuto il tempo di leggere? Sicura? Non voglio nomi, né titoli dei libri, niente trame.
Attimi di rabbia incandescente, ma poi? È solo delusione, un inciampo umano. Dunque perché dovrei alimentare il teatrino social? C’è tanto da fare.
Devo recuperare il tempo perduto. E poi, alcuni nomi di scrittori circolavano da tempo, si conoscevano già. Posso dire che mi ha fatto molto piacere avere la chance di partecipare, è importante per far conoscere la propria scrittura; ma i premi, con tutti i loro lustrini, assomigliano alle sirene che cantano il klèos, la gloria o la fama, e se non si è pronti a turarsi le orecchie a tali allettamenti si rischia di stare sulla superficie. Un esordiente non ha ancora la pelle abbastanza spessa per contrapporsi a quella malia. Deve fondare lo sguardo che buca le cose.
In fin dei conti, io ho ricevuto un dono speciale: la candidatura della Vita incauta proposta da Wanda Marasco, giunta inaspettata e dunque ancor più toccante. Preferisco ricordare il nostro abbraccio quando ci siamo finalmente conosciute a Napoli, qualche giorno fa. L’emozione dell’incontro, guardarsi negli occhi e sentirsi accolte, comprese, vibranti di una stima e un affetto quasi afoni per la loro intensità. Sapere che ci sono legami del destino là fuori nel mondo. Non credo ci sia niente che può competere con questo. Forse è il motivo della mia attuale serenità, la possibilità di incontrare persone straordinarie e di cui ammiravo la maestria nella scrittura.
Intersecare il proprio cammino con quello dei maestri fa bene all’anima.
- Ha già avuto una illuminazione per il prossimo libro? Ne ha scritto tre pagine o lo ha terminato?
Devo scrivere un invito alla lettura su Karen Blixen, altra grande donna e grande scrittrice, per le Edizioni Ares. L’estate scorsa l’ho trovata nella sua casa di Rungstedlund, sopra Copenhagen. Si può dire? No, non in carne e ossa, ma che c’entra? Frequentare i luoghi in cui qualcuno ha vissuto aiuta a stringere legami, a comprendere, vederne in controluce le fibre. La casa di Karen è molto fascinosa, piena di luce, il verde della natura che continua all’interno: quel colore menta, o salvia, della cucina; il salottino verde che normalmente riservava per gli ospiti e che le serviva invece d’inverno per ripararsi dai rigori della stagione; i mazzi di fiori che componeva con grandissima abilità. E poi i quadri in cui ritrae i suoi Kikuyu: bellissimi! Per non parlare della camera: una cambusa con due grandi occhi da cui entra il mare, stupefacente come uno scroscio improvviso.
- Cosa fa per l’ambiente e per sé stessa? Sta attenta al consumo dell’acqua, usa solo lampadine speciali in casa e tende a spegnere la luce quando è uscita da una stanza? È vegetariana o vegana? Crede per il cambiamento climatico che siamo già andati oltre? Grazie.
L’ambiente ci rispecchia e ci condiziona. Maltrattandolo ci condanniamo all’infelicità.
Sì, cerco di stare attenta (oltretutto si risparmia - un corollario non proprio malvagio). Sono stata sia vegana che vegetariana. Oggi, purtroppo, ho ripreso a mangiare carne. Dico purtroppo perché è un tema importante della nostra umanità. Ponendo attenzione a ciò che si fa a un essere a noi vicino ampliamo l’orizzonte della sensibilità. Lo dico per esperienza. Poi, certo, nessuno dovrebbe essere integralista. Ma se non onoriamo lo spazio che ci è toccato in sorte ci condanneremo all’asfissia. Riprendo allora il tema di un tempo ciclico, arcaico, quando erano possibili le odissee
comandate dagli dèi e anche i ritorni, agganciandomi a una suggestione legata a una recensione della Vita incauta scritta da Renzo Paris, in cui si accosta il mio al libro d’esordio di Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, con il protagonista che vaga per Trieste alla ricerca di Bobi Bazlen interrogandosi sul silenzio di chi non ha scritto. L’ho letto nei giorni scorsi grazie allo spunto offertomi da Paris. A un certo punto della narrazione, Del Giudice afferma che i pellegrinaggi non sono più possibili, resta solo il pendolarismo. Che cosa significa? Ritorno da dove ero partita.
Il pendolarismo ci permette di frequentare i luoghi, di tornare e ritornare sui nostri passi, di avere dimestichezza con qualcosa che resta, un angolo, anche solo un frammento. Insegna la cura per i dettagli, l’abitudine a stare, a studiare, approfondire. Senza essere preda dello stimolo successivo.
Riportare il respiro alla noia, all’otium, laddove nascono i pensieri e la gratuità dell’arte si sporge e si manifesta.
Ecco perché ritorno da dove ero partita. L’editoria deve riprendere l’abitudine al pendolarismo, pensando a mettere radici piuttosto che innestare sempre nuovi bisogni in un lettore che diventa cliente. Dovrebbe pensare a fare la vita alta correndo il rischio del silenzio.
Grazie dell’accoglienza!
Recensione del libro
La vita incauta
di Rossella Pretto
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Rossella Pretto, in libreria con “La vita incauta”
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