In nome di Ipazia. Riflessioni sul destino femminile
- Autore: Dacia Maraini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Solferino Libri
- Anno di pubblicazione: 2023
In nome di Ipazia (Solferino 2023, a cura di Eugenio Murriali, Prefazione dell’autrice) di Dacia Maraini, contiene “Riflessioni sul destino femminile”, come recita il sottotitolo del saggio e raccoglie articoli, lettere (una anche indirizzata a Papa Francesco) e testi che ha scritto per lo più per il Corriere della Sera.
Dacia Maraini ha redatto romanzi, racconti, opere teatrali, poesie, saggi e narrazioni autobiografiche, editi da Rizzoli e tradotti in oltre venti Paesi, nel 1990 ha vinto il premio Campiello con La lunga vita di Marianna Ucrìa, nel 1999 il premio Strega con Buio, e ha ricevuto il premio Campiello alla carriera nel 2012.
In questa lunga riflessione al femminile, Maraini parte rievocando la figura di Ipazia (Alessandria d’Egitto, 355 – marzo 415) matematica, astronoma e filosofa greca antica, rappresentante della filosofia neo-platonica, vissuta nel V secolo d.C. uccisa da parte di una folla di cristiani fanatici in tumulto, i Parabolani. Ipazia, donna colta, figlia di un grande filosofo, Teone, che l’aveva introdotta, bambina, ai rudimenti della scienza, commette il grave errore di pensare con la propria testa. In piazza insegna ai giovani studenti, frequenta la grande e preziosa biblioteca della sua città e passa il tempo libero a osservare le stelle.
È a lei che dobbiamo l’invenzione dell’astrolabio e dell’idroscopio, strumenti sperimentali per lo studio matematico del firmamento. Soprattutto è la prima scienziata che teorizza qualcosa di inaudito per l’epoca: ovvero che la Terra non è il centro dell’universo ma un pianeta che gira intorno al sole in un cosmo pieno di altri sistemi solari. Questo la rende sospetta ai neocristiani, difensori del dogma biblico, e presto cominciano le persecuzioni da parte dei fanatici integralisti, soprattutto dei sostenitori del vescovo Cirillo che aspirava al governo assoluto della città, al posto del questore romano Oreste. Un giorno che la giovane parla di stelle davanti a un pubblico di studenti entusiasti, viene caricata a forza su un carro dal gruppo dei Parabolani strangolata e fatta a pezzi. Sembra che ancora in vita le abbiano cavato gli occhi, perché il suo sguardo eretico si era posato sull’universo. L’astronoma greca paga con la morte violenta la sua sete di sapere e soprattutto il suo coraggio, ed è questa la qualità del carattere femminile che Maraini più ammira e apprezza.
Lo stesso tipo di coraggio e ardimento che ebbe la madre della scrittrice, Topazia, che scelse di farsi rinchiudere con marito e le tre piccole figlie in un campo di concentramento in Giappone, pur di non aderire alla Repubblica di Salò.
“Sento ancora la voce di mia madre che sorridendo dice: non importa quello che dicono gli altri, ma la prima fedeltà alle proprie idee viene da te, accompagnata dalla stima per te stessa. E questa stima devi tenerla sempre”.
Tornando ai giorni nostri, il pensiero di Dacia Maraini va alle coraggiose ragazze iraniane che si tolgono il velo rischiando di essere arrestate. I fanatici religiosi iraniani, in nome di un Dio geloso e punitivo, arrestano, frustano e sparano al volto e ai genitali delle donne, che pretendono, come Ipazia, di rivendicare una libertà di studio e di pensiero non ammesso dalla gerarchia ecclesiale.
Coinvolge e appassiona l’impegno costante della scrittrice sempre al fianco delle donne, ne sono testimoni questi scritti e articoli, dove Maraini denuncia quel pugno che fa paura (104 donne uccise in famiglia nel 2022), la cultura del possesso che divora uomini fragili, quell’atroce “massacro di genere” da parte di uomini considerati tranquilli padri di famiglia nei riguardi delle loro mogli, compagne, amanti, fidanzate e figlie femmine. Maraini denuncia anche la costante misoginia nel cinema e nella televisione, gli stupri di guerra e scrive cosa vuol dire desiderare un figlio nell’epoca della sterilità.
La fine del saggio è dedicata all’inchiesta sulle carceri femminili da Trieste a Palermo del 1969 per “Paese Sera”. In quell’occasione la Maraini incontrò una detenuta dalla quale trasse ispirazione per il romanzo Memorie di una ladra (Bompiani 1972), con protagonista la figura tragica della ladra Teresa Numa, alla quale nel 1973 diede il suo dolente e ispirato volto Monica Vitti nel film “Teresa la ladra”, diretta da Carlo Di Palma.
Il nome di Ipazia per me significa riferirmi a un modello di gioiosa e serena fermezza d’animo, quella che ho potuto conoscere in famiglia durante la mia dolorosa infanzia giapponese. Molti mi hanno chiesto e me lo chiedono ancora: ma valeva veramente la pena di rischiare la vita delle figlie bambine per difendere le proprie idee? La mia risposta è sì.
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