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Recensioni di libri

Il triennio Giacobino in Canavese (1796-1799) di Adriano Collini

Editrice Tipografia Baima & Ronchetti, 2016 - Il primo di due volumi in cui è divisa l’ampia ricerca di uno studioso di storia locale ed ex insegnante sulla stagione giacobina in una marca del Piemonte tra il 1796 e il 1802.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 22-11-2021
Il triennio Giacobino in Canavese (1796-1799)

Il triennio Giacobino in Canavese (1796-1799)

  • Autore: Adriano Collini
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2016

Conoscenza, sintesi, racconto: sono i princìpi fondanti della ricerca storica secondo lo storico Georges Lefebvre, declinati perfettamente da Adriano Collini nel suo studio sul lustro di influenza napoleonica diretta o indiretta sulle vicende di una marca territoriale del Piemonte: Il triennio Giacobino in Canavese (1796-1799) (Editrice Tipografia Baima & Ronchetti, 2016).

Attento agli ultimi anni del XVIII secolo, è il primo dei due volumi in cui è divisa l’intera ricerca, dal momento che l’ampiezza del lavoro ha richiesto di ripartirlo in due testi distinti, realizzati con la collaborazione dell’Associazione di storia e arte canavesana di Ivrea. Il secondo, apparso nel 2017, approfondisce il successivo triennio 1800-1802.

Documentato e sorretto da verifiche archivistiche certosine, lo studio dell’insegnante in pensione, attivo ricercatore di storia locale e redattore del semestrale “Canaveis”, mette sotto la lente l’ascesa e discesa dei consensi per la presenza francese in Italia.
All’esaltazione seguita all’arrivo vittorioso del generale trentenne Napoleone e all’adesione alle idee paritarie della Rivoluzione, subentrarono la delusione e il disincanto per l’oppressione. I saccheggi delle truppe transalpine resero ostile la popolazione e provocarono le insorgenze, fomentate dal clero in nome della restaurazione dell’ancien régime.

È dopotutto il corso seguito in tutta la penisola, se si considerano le analogie con le Repubblica partenopea, repressa nel sangue dai Sanfedisti nel Regno di Napoli e nella capitale dei Borboni. Vicende quelle molto più raccontate e celebrate delle coeve rivolte contro i francesi nel Canavese, come in Lombardia, nel Veneto, nel Bolognese. Sono le insorgenze antigiacobine, culminate nel 1799, quando Bonaparte era in difficoltà in Egitto e proseguite dopo la sua seconda discesa travolgente in Italia, fino alla caduta da imperatore a Waterloo.
Come fa presente nella prefazione l’ex direttore della Biblioteca di Ivrea Giuseppe Fragiacomo, sembra riduttivo restringere sotto l’etichetta “giacobino” l’intero movimento liberale, repubblicano e libertario, che annoverava anche moderati e idealisti meno radicali.

Altro connotato di questa ricerca è la grande attenzione alle motivazioni della reazione popolare antifrancese, che Collini chiama suggestivamente “controrivoluzioni degli zoccoli”.
Nel suo studio sulle cause del fallimento della Repubblica napoletana del 1799, Vincenzo Cuoco ha messo in risalto la mancanza di dialogo, comprensione e fiducia tra l’élite rivoluzionaria e un popolo ancorato a superstizioni, pregiudizi, suggestioni arcaiche. Gli uni ignoravano le ragioni degli altri. I repubblicani, pochi numericamente e impreparati a governare, si curavano di trasferire ai “lazzari” solo ideali e principi, mentre la plebe si aspettava solo beni materiali, che la sollevassero dalla miseria totale in cui versava.

“Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto esser popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanissime da’ sensi”.

Così Cuoco. Anche in Piemonte, osserva Collini, al pari della plebe partenopea gli strati popolari non riuscivano a emanciparsi dall’acritica fedeltà alla corona e dalla subordinazione alla Chiesa. Né la classe borghese emergente risultava in grado di fare alcunché per scendere dal piedistallo sociale intermedio che occupava con sempre maggiori ambizioni, avvicinarsi ai ceti minori e cercare di comprendere insieme come rimuovere disuguaglianze e povertà, quando non miseria alla pari dei lazzari di Napoli.

Lo storico canavesano guarda con attenzione alle posizioni all’interno della Diocesi di Ivrea: prevalevano posizioni conservatrici, ma non mancava nella corrente giansenista la ricerca di un dialogo con i giacobini.
Sul piano istituzionale, alle prime vittorie napoleoniche nel settentrione era seguito l’allontanamento del re da Torino e l’insediamento nel 1798 del governo repubblicano provvisorio. Era stato tutto un fiorire di alberi della libertà anche nel Canavese e non pochi giacobini dell’ultima ora si erano affrettati a salire sul carro dei vincitori, fiutata l’aria nuova.

Ma non c’è l’autonomia attesa. I generali francesi trattano il Piemonte come un territorio occupato e le truppe transalpine sono combattenti laceri e mancanti del molto se non del tutto, dediti a ruberie e appropriazioni, quando non impegnati in campagne di requisizione ordinate dai Comandi.
Le speranze di uguaglianza, libertà e fraternità, seguite soprattutto all’armistizio di Cherasco del 1796, sono tramontate. È cominciato il nuovo secolo, soldatesche austro-russe incombono da Oriente. Quegli eserciti vanno considerati liberatori?

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il triennio Giacobino in Canavese (1796-1799)

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Il tramonto di un sogno. La fine dell'ideologia giacobina in Canavese (1800-1802)

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