

Il principe azzurro. Gli amori, le battaglie, i sogni di Corradino di Svevia, che a sedici anni osò sfidare il mondo
- Autore: Diego Cugia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2025
Anni fa, si studiava la storia alle elementari. A Pescara, approfondivamo le vicende accadute in Abruzzo. È così che tutti abbiamo compatito la sorte di Corradino di Svevia, sconfitto a Tagliacozzo e giustiziato a Napoli, per aver tentato di riconquistare il Regno degli antenati nel Sud. Del giovanissimo imperatore non si parlava invece nel Lazio, se l’allora scolaro Diego Cugia sollecitava il maestro a dirgli di più del poco che si leggeva nelle poesie del Risorgimento. Oggi settantaduenne, ha riversato il suo affetto per “il sedicenne che voleva liberare l’Italia cinquecento anni prima di Garibaldi”, in un libro pubblicato a febbraio da Giunti, Il principe azzurro. Gli amori, le battaglie, i sogni di Corradino di Svevia, che a sedici anni osò sfidare il mondo (2025, collana H, 240 pagine).
Il poeta risorgimentale veronese Aleardo Aleardi (1812-1878) ha incantato tanti con la descrizione poetica del “giovinetto pallido e bello”, con la chioma d’oro, la pupilla color del mare, il viso gentile da sventurato. Immaginava la madre regina, che nel castello sul Reno si rivolgeva a un’aquila, “’nobile augello, se vieni da la dolce itala terra, dimmi, hai veduto il figlio mio?’, ’Lo vidi, era biondo, era bianco, era beato, sotto l’arco d’un tempio era sepolto’”.
Nato in Baviera nel 1252, nipote dell’imperatore Federico II e figlio di Corrado IV re di Germania, Corradino rimase orfano di padre già nel 1254. Dodici anni dopo, nel 1266, dopo la sconfitta e morte dello zio Manfredi a Benevento e con l’altro zio Enzo prigioniero a Bologna, venne spinto da ultimo degli Hohenstaufen a mettersi contro il Papato e a rivendicare la corona di Napoli e Sicilia, assunta intanto da Carlo I d’Angiò. L’esercito dell’adolescente era valido ma poco numeroso, per le scarse risorse, e se l’erede del Barbarossa aveva l’appoggio dei ghibellini italiani, soffriva l’ostilità di papa Clemente IV, che lo scomunicò nel novembre 1267, come i predecessori. Occupata Roma, costretto il pontefice a riparare a Viterbo, entrò nel regno di Napoli, ma venne battuto da Carlo nell’Abruzzo interno, a Tagliacozzo, in terra marsica, il 23 agosto 1268, nonostante un esito iniziale favorevole. Tornato a Roma, raggiunse Torre Astura sul litorale laziale, per allontanarsi via mare, ma venne tradito dal signore del luogo Giovanni Frangipane e consegnato al nemico francese. Condannato a morte, venne decapitato a Napoli, il 29 ottobre 1268, a Campo Moricino, ora piazza del Mercato.
Sul luogo dell’esecuzione sorge una chiesa, Santa Croce e Purgatorio al Mercato, ma i resti di Corradino - trascinati in riva al mare e composti solo dalla pietà popolare - riposano nella chiesa di Santa Maria del Carmine, per decisione della madre. Secoli dopo, Massimiliano II duca di Baviera vi fece realizzare il monumento funebre sormontato dalla bella statua in marmo dello scultore danese Bertel Thorvaldsen.
A distanza di decenni e nemmeno pochi, si avverte intatta la compassione dell’allora scolaro di famiglia sarda per l’imperatore mancato ragazzino italo-tedesco di cui voleva sapere di più. Cugia - giornalista, sceneggiatore, scrittore, regista e autore per radio e televisione - ha sciolto un voto di affetto, redigendo e facendo dare alle stampe un lavoro tra il romanzo di formazione e la storia vera di un giovanetto solo contro tanti. L’editore l’ha voluto in catalogo nella collana dei romanzi storici.
Diego ritritene d’avere scritto “un film di carta”, esaltando l’animo nobile di un piccolo eroe di carnagione e animo candidi, capelli biondi e iridi azzurre, che spicca in quel tempo di fratture insanabili nell’Italia dei guelfi e ghibellini. Divisioni che ricorrono tutt’oggi, tra destra e di sinistra. A sedici anni, fa osservare, un ragazzino italo-tedesco ha tentato di liberare l’Italia dal potere della Chiesa e dai tiranni stranieri. I suoi coetanei attuali non conoscono Corradino di Svevia, eppure vivono in un Paese non tanto diverso da quello ieri spaccato in due tra papisti e filoimperiali, ora tra opposti irriducibili. Se ha scritto del “principe azzurro” è perché
se si vive in un paese di ombre si è affamati di luce.
Quella di Corradino prese a brillare per lui da un accenno sbrigativo a scuola. Lo entusiasmò, perché realmente accaduta, e chiese di saperne ancora, ma l’insegnante, un prete, oppose una risposta seccata: non è nel programma.
Poco si sapeva e si sa sul piccolo degli Svevi, quasi nulla dell’infanzia, ma l’ex alunno curioso ha colmato i vuoti con la fantasia dell’adulto, professionista della scrittura. “Ho iniziato il romanzo”, fa presente, da quando aveva otto anni e viveva orfano, nascosto in un castello bavarese dalla madre Elisabetta, regina di Germania senza scettro, terrorizzata che volessero eliminarlo. Era erede al trono imperiale e dei Regni d’Italia, in quanto nipote di grandi imperatori, il potente Federico I Barbarossa e il colto Federico II, stupor mundi. Gioca con Federico d’Austria, di poco più grande, unico amico fino alla morte in piazza, e gli girano intorno quattro sosia bambini, figli di povera gente comprati da Elisabetta, vestiti e pettinati come lui, per ingannare i sicari. Di ritorno da Gerusalemme, il maestro d’armi di Federico II, Yesuf, guerriero arabo-normanno, lo addestra all’arco, alla lancia, alla spada e lo inizia al Krya Yoga, una tecnica spirituale segreta appresa in Terra Santa. In Italia, dove sa che l’aquila sveva deve tornare a sventolare sui vessilli, lo aspetta il primo e unico amore, Fiammetta, figlia del Frangipane, l’uomo del destino.
Cugia non si considera uno storico, soltanto uno scrittore che ha sentito il bisogno di allontanarsi “dall’Italia greve di oggi”, per percorre un tratto di strada pulita. In compagnia dei lettori, si augura.

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