Il movente della vittima
- Autore: Giuseppe Di Piazza
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
“Un colpo di pistola fu”. Giuseppe Di Piazza è un giornalista palermitano di lungo corso, responsabile dell’edizione romana del Corriere della Sera. L’abbiamo già incontrato in “Malanottata”, il romanzo precedente, un bel poliziesco uscito per HarperCollins Italia nel gennaio 2018, col cronista Leo Salinas come personaggio principale. Ritroviamo autore e protagonista in un nuovo giallo, “Il movente della vittima”, pubblicato sempre da HarperCollins a marzo (2019, 302 pagine, 17 euro).
L’incipit è da brivido, mestiere puro, merito tanto del giornalista (di nera) che dello scrittore (di noir):
appena libero dal peso dell’arma, sentì la mano destra tremare e non riuscì a capire se i fremiti fossero dovuti all’emozione o al rinculo. Minico non aveva esperienza con gli omicidi, eppure il suo primo e forse ultimo gli era riuscito perfettamente. Il cadavere dell’avvocato giaceva abbandonato sulla poltrona di velluto porpora, la fronte sfigurata da un unico colpo sparato con precisione.
Domenico Cascino, cameriere ventiquattrenne del Grand Hotel Aziz di Palermo, si fa arrestare accanto al cadavere dell’avvocato Prestia, 74 anni, il cliente che da vent’anni non esce dalla lussuosa suite 224 dell’albergo e col quale era solito giocare a carte ogni giorno.
È un giorno d’autunno del 1984 ed è Leo Salinas ad avere la notizia dalla Questura, in uno dei giri di cronaca di routine, le telefonate ogni paio d’ore per avere notizie fresche.
Il vice capocronista lo spedisce sul posto col fotografo, ma per loro è tardi, un quotidiano del pomeriggio è nato per essere fregato, leggeranno tutto domani mattina sul Giornale di Sicilia.
Salinas è un ragazzo poco più che ventenne, semiclandestino lavorativamente e sentimentalmente precario. Al momento gli è più vicina l’inseparabile Vespa 125 della fidanzata Lilli. In redazione lo chiamano “Occhi di sonno”, soprannome appioppato dal portiere e centralinista Saro. Divide la casa con Fabrizio ed ospitano spesso la ragazza milanese dell’amico, Serena una quasi irresistibile civetta. Il quasi si deve solo agli sforzi di Leo per non cedere alle continue allusioni sessuali della studentessa lombarda d’arte palermitana. Quando sono soli, si diverte a metterlo in difficoltà, col suo carattere e la sua bellezza. E di solito ci riesce.
La polizia non perde tempo a mettere le manette al giovane cameriere. Il capo della Mobile è il dott. Gualtieri, uno giusto. Con lui lavora da due anni il dott. Selvaggini, trasferito in Sicilia da Padova, un funzionario magro, elegante, educato. Senza brutalità interrogano Menico. Non ha provato a scappare, è rimasto sul luogo del delitto, sa cosa lo attende. Non parla, si limita a declinare le generalità. Per come la vede Leo, il morto cercava di non vivere da anni, di scomparire alla vista del mondo, l’assassino invece cercava di non vivere da quando aveva posato la pistola fumante. Ma il movente? Un anziano, un ragazzo, si può ridurre tutto a una storia di sesso sbilenco?
Un caso assurdo, non è una storia palermitana.
Il lavoro di Minico nel Grand Hotel consisteva esclusivamente nel fare compagnia all’anziano Prestia. Il giovane gradiva il compito e la frequentazione, aveva detto alla mamma che l’avvocato gli stava aprendo la mente. È il fidanzatino della figlia del boss Marchese e questo induce a pensare a un delitto in nome del vecchio codice mafioso che vuole puniti gli omosessuali molesti. Salinas mette in fila gli indizi: boss, figlia, onore, mistero. Aggiunge: fuga, col punto interrogativo. C’è tutto per scrivere un articolo pieno di segreti, ma non c’è molto per arrivare alla verità.
Non si fanno progressi con quel colpevole certo, che insiste a nascondersi dietro ai suoi quasi sconsolati “non so”. Ma c’è uno sviluppo sentimentale importante: a Leo si avvicina la collega Giulia, altra redattrice precaria (li chiamano “biondini”, i senza diritti solo doveri, al servizio del giornale 24 ore su 24). Tra loro si stabilisce una forte attrazione, alla faccia di Lilli, la sua ragazza non sua e del ragazzo di lei, Raffaele, un attore di Avellino.
Tre spari vicino al mercato ortofrutticolo, tre pallottole nel torace, un morto, il figlio di don Saro, Crocifisso Marchese, 24 anni. La storia si complica.
Qualcosa in più riesce a sapere dell’avv. Prestia, della ragione, professionale, per cui si era murato a vita volontariamente nel Grand Hotel: aveva commesso un errore, un grosso errore, da penalista, da difensore dei capi mafia.
A proposito di mammasantissima, l’Aziz era stato toccato 24 anni prima da un altro delitto, un boss italoamericano, quattro colpi di pistola all’ingresso, sicario rimasto ignoto.
Basta così con le indiscrezioni sul giallo, anche se non si può che condividere l’opinione del capocronista del quotidiano di Leo: “non piace affatto non capire un cazzo di un delitto, soprattutto quando c’è di peggio, i delitti sono due”.
Solo due? A Palermo? Negli anni ’80? Appena un aperitivo di quelli che saranno da qui alla fine del romanzo, non dimentichiamo che allora imperversavano i Corleonesi, ma questo forse è un depistaggio del recensore. Chissa?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il movente della vittima
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