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Recensioni di libri

Il conte di Racalmuto di Vito Catalano

Vallecchi, 2021 - Tra realtà e fantasia, l’autore, nipote di Sciascia, racconta una storia di dominio nella Sicilia del Seicento, dove a essere protagonisti sono i sentimenti e le passioni, i ricatti e gli affari sporchi, e in cui a farne le spese sono gli indifesi.

Alessandra Piras
Alessandra Piras Pubblicato il 28-09-2021
Il conte di Racalmuto

Il conte di Racalmuto

  • Autore: Vito Catalano
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Anno di pubblicazione: 2021

La famiglia Del Carretto fu una dinastia di feudatari sorta fra Liguria e Piemonte che si espanse anche nel Sud dell’Italia. Un ramo di tale discendenza si insediò a Racalmuto, famoso ora per aver dato i natali a Leonardo Sciascia.
Su questo potentato sono reperibili numerosi documenti grazie a studi e ricerche fatti nel corso del tempo; anche il grande intellettuale siciliano ne parlò e lo fece attraverso Le parrocchie di Regalpetra, celebre inoltre perché si rinvengono i topoi narrativi e stilistici della produzione letteraria successiva.

Ora è arrivato in libreria, firmato da Vito Catalano che di Sciascia è il nipote da parte di madre, figlia dell’autore scomparso e anch’egli scrittore, Il conte di Racalmuto, edito da Vallecchi Firenze.
Un chiaro omaggio al lavoro del nonno già menzionato, visto che in esergo troviamo una citazione che contiene il cuore della vicenda:

“Il conte stava affacciato al balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi del castello, quando il servo Antonio Di Vita «facendoglisi da presso, l’assassinò con un colpo d’arma da fuoco». Era un sicario, un servo che si vendicava; o il suo gesto scaturiva da una più segreta e appena sospettata vicenda?”

Il conte Girolamo del Carretto è stato signore assoluto di Racalmuto nel XVII secolo. Uomo avido e spietato, spadroneggia come vuole su tutti, e tutti, che siano i servi oppure no, eseguono i suoi ordini più per timore che per rispetto al suo ruolo. Mentre le serve o le giovani del posto le tratta come oggetti del suo piacere e a volte ne dispone come pagamento in natura da parte di povera gente.
Sono però gli uomini che lavorano per lui, gli sgherri, a perpetrare per il paese e nelle campagne circostanti ogni tipo di nefandezza e crudeltà. Chi commette il benché minimo errore o tradimento paga sicuramente con la vita, non prima di essere sottoposto a torture. E come in un circolo vizioso puoi salvare la tua vita facendo la spia.

È sposato con Beatrice, affascinante musa nonché amante del pittore Pietro d’Asaro, un donnaiolo sicuro di sé. Questi, pur prendendo la relazione come una sfida non essendo lei una donna qualunque, sa il rischio che corre e si autoprotegge con l’arma del ricatto per aver scoperto a sua volta un altro segreto che riguarda proprio uno degli sgherri.

“Ma il pericolo anche se lo spaventava soprattutto lo attraeva e lo esaltava. La sfida era difficile, ma lui non era destinato a perdere”.

Tra i servi c’è uno in particolare che è Antonio di Vita, che assurge un po’ a eroe del romanzo. Sta per sposarsi con Nunzia, una ragazza di famiglia modesta su cui gli occhi bramosi del Conte di Racalmuto si sono posati con grande terrore del ragazzo. Terrore che fa divertire ovviamente uno come Girolamo, abituato a trarre la soddisfazione dall’avere potere di vita e di morte sugli altri.

Anche i frati del convento subiscono le angherie del padrone del paese. Il priore Evodio viene un giorno intercettato per la strada da due sgherri che sanno, come tutti, che possiede dei risparmi per un lavoro di rifacimento imminente del convento e con minacce neanche tanto velate si fanno consegnare il denaro per un prestito chiesto da Girolamo. Evodio è coraggioso e per riavere i soldi indietro prova a usare le armi delle parole, di quelle buone che toccano il cuore. Ma di cuore ce n’è ben poco:

“L’insolenza e la rapacità del conte del Carretto e la falsità e la vigliaccheria dei due sgherri tramutarono il disappunto per l’incontro in rabbia e disprezzo. Ma riuscì a dominarsi, anche se il sangue gli salì al volto. Qualcuno deve aver fatto la spia, pensò”.

Nelle prodezze degli sgherri de Il conte di Racalmuto si intravedono i bravi di Don Rodrigo e anche il fatto che ci siano due sposi che desiderano coronare il loro sogno d’amore con alcune insidie a frapporsi non fa che aumentare, durante la lettura, gli elementi suggestivi, che richiamano I promessi sposi. Solo che qui l’aiuto non viene dalla Provvidenza. La giustizia, almeno quella terrena, se non arriva se la si prende da sé con ogni mezzo. Ed è quello che accade quando il potere viene esercitato da colui o coloro che lo detengono nella sua forma peggiore.

La storia raccontata inizia ad aprile del 1622. Ma sappiamo dalle Parrocchie di Regalpetra che il conte trova la morte esattamente un mese dopo.
Realtà storica, fantasia e memoria, dunque. Sulle tracce di Leonardo Sciascia viene ricreata un’opera molto intensa, e tuttavia semplice e lineare, priva di sbavature. Il torbido e le ombre sono il piedistallo su cui si reggono le vicende, donando un ritmo da genere noir. Anche la descrizione del paesaggio è molto importante: una descrizione densa, dove si sente il suono dei boschi e il canto degli uccelli. Ma è un paesaggio “forte”, che avviluppa i personaggi, travolti come sono da passioni e ri-sentimenti.
Tra le pagine non manca una denuncia di tipo sociale sulle condizioni degli indifesi e degli emarginati sotto la carica di Girolamo. Non ci sono favole moraleggianti, ma una morale quella sì, soprattutto giunti alla fine.

Il conte di Racalmuto

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il conte di Racalmuto

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