

Il condottiero di Camelot
- Autore: Bernard Cornwell
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2025
“Parlami di Artù, dello splendido Artù, la nostra migliore speranza, il re che non fu mai re, il nemico di Dio, il ’flagello di sassoni’”.
Compie trent’anni (1995, ma approdò in Italia nel 1998) la trilogia epica di Bernard Cornwell The War Lord Chronicles, che ha per protagonista l’eroe gallese, i suoi uomini e le sue donne. Longanesi ha riproposto quelle avventure dal 2011 in cinque volumi, che non rispettavano una sequenza cronologica ma tenevano conto delle pagine originali. Sempre la casa editrice lombarda ha deciso l’anno scorso di riproporre la saga, nota anche come Il romanzo di Excalibur, tornando però alla ripartizione originaria in tre volumi:
- The winter king,
- The enemy of God,
- Excalibur .
Al primo della trilogia, Il re d’inverno (2024), ha fatto seguito a gennaio Il condottiero di Camelot (2025, 540 pagine), sempre nella collana La Gaja Scienza e per la traduzione dall’inglese di Gaetano Luigi Staffilano e Riccardo Valla.
Bernard Cornwell, nato a Londra nel 1944, laureato alla London University, si è dedicato alla narrativa con straordinario successo dopo anni di lavoro alla BBC. Oltre ai romanzi dedicati alle imprese belliche sette-ottocentesche dell’eccellente Sharpe, ha scritto avventure moderne di mare e ha speso la sua ispirata immaginazione per le saghe epiche medioevali. Da quella di Excalibur è stata tratta la serie televisiva “Il re d’inverno, Artù, dal mito alla leggenda”.
Nei volumi della trilogia, il racconto non segue una sequenza fedelmente cronologica ed è affidato a un campione di Artù, lord Derfel, ora anziano e monaco, un sassone allevato da Merlino e cavaliere della Dumnonia, il regno di Uther Pendragon, il cui figlio naturale, Artù, non figura ancora come re, ma protettore di Mordred, il nipote disabile ed erede del sovrano dell’attuale Cornovaglia.
Derfel, ai suoi tempi soprannominato Cadarn, il “possente”, narra a memoria gli eventi lontani in una terra chiamata Britannia. Lo fa su richiesta di Igraine, la moglie del re di Powys. I testi che invia alla regina, sono scritti nella lingua dei sassoni, tradotta per lei dallo scrivano Darfydd. L’esigenza di adottare una lingua incomprensibile è data dalla necessità di sviare i sospetti del vescovo Samsun, che considera blasfemo ogni riferimento alle Terre Perdute e ancora di più a quell’Artù mangiapreti, nemico della religione.
Il prolifico scrittore londinese di romanzi storici d’avventura, bravissimo nel coniugare i riferimenti storici corretti a licenze narrative che rendono avvincenti le sue pagine, ha il merito di ripulire le vicende dalle invenzioni leggendarie fiorite nel Medioevo e di riportarle alla collocazione temporale più plausibile, il 400 dopo Cristo, subito dopo la dominazione romana nella Britannia centromeridionale. Ha corretto perciò, come altri autori, l’ambientazione 1200 o su di lì, ispirata soprattutto dal romanticismo europeo.
Il monaco Derfel scrive per la giovane Igraine, lettrice appassionata delle avventure arturiane. Ricorda il primo incontro con Artù, nell’ultimo anno di regno di Uther Pendragon, il 1480 dalla nascita di Cristo a Betlemme.
Riportare all’età post romana Arthurus rex quondam Rex futurus (re una volta, re in futuro) ha consentito a Cornwell d’insistere sull’avversione dell’eroe pagano ad una Chiesa non ancora ben radicata, come sarà invece 800 anni più avanti, ostilità anticristiana confermata in altri suoi personaggi, caratteristica ad esempio di Uthred di Bebbanburg.
Avverte che la Britannia del V-IV secolo doveva risultare “un posto orribile”. Abbandonati da Roma all’inizio del 400, i britanni romanizzati dovettero affrontare un gran numero di nemici. Da ovest i pirati irlandesi, altri celti, che non tenevano conto delle affinità nel razziare, colonizzare e catturare schiavi. Da nord le strane tribù dell’altipiano scozzese, pronte a calare con incursioni distruttive. I nemici più terribili erano gli odiati sassoni, che asservirono la Britannia orientale, conquistando in seguito anche il centro dell’isola, che chiamarono Inghilterra.
I britanni erano tutt’altro che uniti. I loro re passavano più tempo a combattersi che a respingere gli invasori, per non dire delle divisioni religiose. Il Cristianesimo si era già affermato nella Britannia post-romana (per quanto primitivo, rispetto a quello che conosciamo), ma le fedi pagane erano ancora molto diffuse, specie nelle campagne: al dissolversi dell’organizzazione romana, la popolazione si rivolse probabilmente al sovrannaturale e alla superstizione.
Col tempo, tuttavia, le storie di Artù assunsero una forte connotazione cristiana, specie con la loro ossessione per il Graal, anche s’è improbabile che il re lo conoscesse. A ben vedere, quella leggenda del calice dell’Ultima Cena riprende le narrazioni popolari celtiche di guerrieri alla ricerca di calderoni magici: uomini impegnati in missioni rischiose in luoghi cupi e pericolosi. È assai probabile che le storie popolari medievali sulla tracce del Santo Graal fossero un adattamento in chiave cristiana di leggende antiche.
Che Artù fosse pagano è testimoniato dagli accenni nella vita di qualche santo celtico poco noto, che lo descrivono infido e nemico della Cristianità. Nell’agiografia di quei santi, si legge che si sarebbe appropriato del tesoro della Chiesa per finanziare le campagne militari.
Quanto ad Excalibur - sempre al suo fianco sinistro, nel fodero decorato con croci magiche che proteggono chi lo porta - la spada e il carro sono gli unici potenti oggetti sacri salvati da Merlino tra i resti del castello incendiato sull’Isola di Cristallo. Prima di dare fuoco alla torre, hanno rubato il Calderone. Con la distruzione, è svanito il sogno di riunire i Tesori della Britannia. Il vero nome è Caledfwylch, la spada di Rhydderch. Merlino l’ha data ad Artù, che ha giurato di restituirla quando la richiederà, ma non ne conosce la provenienza.

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