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Recensioni di libri

Il cavo dell’onda di Alice Rivaz

Paginauno Edizioni, 2021 - Il cavo dell’onda è un’opera di notevole maestria: le immagini, le impressioni, le dettagliate descrizioni lasciano trasparire le emozioni e l’affiorare delle differenti soggettività nel periodo più tragico dell’Europa.

Teresa D'Aniello
Teresa D’Aniello Pubblicato il 25-01-2022
Il cavo dell'onda

Il cavo dell’onda

  • Autore: Alice Rivaz
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Anno di pubblicazione: 2021

La bellezza della lettura è anche scoprire un’autrice che non si conosceva, una donna del Novecento, fine intellettuale, perspicace e acuta nello scandagliare i legami d’amore con gli occhi rivolti alla storia e ai destini degli uomini. Un sorprendente romanzo, straordinario, che mi porta a ricordare le parole di Erri De Luca: “Questo è quello che cerco nei libri quando li apro, il pezzetto che è stato scritto per me”.

Una grande e complessa linea editoriale è quella della casa editrice indipendente Paginauno nell’aver riproposto le opere di Alice Rivaz, e nel guardare con attenzione alla narrativa nel suo contesto sociale. L’intento è meritevole di attenzione perché, come riporta la nota dell’editore, oggigiorno gli scrittori hanno smesso di far sentire la loro voce su ciò che è la realtà sociale e politica, come avveniva invece un tempo con gli articoli sulle pagine dei quotidiani a firma Pasolini, Sciascia, Moravia e Calvino. Gli intellettuali avevano una funzione pubblica e sapevano descrivere l’evoluzione e la letteratura del nostro Paese, in uno spazio etico politico anche internazionale.

Alice Rivaz (pseudonimo di Alice Golay), figlia unica di un socialista calvinista svizzero, abbracciò da ragazza la fede politica del padre. Dopo aver studiato pianoforte e dopo diversi anni di lavoro presso l’International Labour Organization, dedicherà la sua vita alla scrittura e al giornalismo. Un’autrice fedele alle sue idee, alla sue convinzioni e ai suoi principi politici. Il cavo dell’onda (traduzione di Alberto Panaro), è un’opera di notevole maestria, scritta nella piena maturità della scrittrice, nella quale le immagini, le impressioni, le dettagliate descrizioni lasciano trasparire le emozioni e l’affiorare delle differenti soggettività nel periodo più tragico dell’Europa.

Con incantevoli ritratti di donne, il lettore si addentra nella società mitteleuropea della prima metà del ‘900, tra romanticismo e drammatica realtà. Le storie dei personaggi si intrecciano nella cornice della città di Ginevra, nella zona più storica costituita da un labirinto di vicoli con i suoi palazzi nobiliari, dalle stradine del Bourg de Four dove proseguendo si arriva alla Clarté di Le Corbusier, immenso con i suoi otto piani, e nel 1933 nuova sede del Palazzo delle Nazioni.

All’alba per non essere vista da nessuno la signora Isabelle Peter, alla sua non più giovane età, era fuori in strada, “tra l’incanto dei vecchi quartieri immersi nella notte”, a infilare volantini della manifestazione pacifista che si sarebbe svolta di lì a poco nelle cassette della posta degli abitanti del suo quartiere. Quali passioni e ideali politici si sarebbero sviluppate nei futuri decenni si chiedeva nel mentre li piegava a fazzoletto e li imbucava. Era un invito a una manifestazione contro la guerra nella quale Jean Ferrard, uomo tanto ammirato e tanto criticato, in prigione per le sue idee e che aveva incontrato Gandhi, avrebbe parlato della Grande Guerra, di Hitler, della sua ascesa al potere e delle leggi razziali. Filosofi e filantropi sarebbero arrivati nel cuore di Ginevra, “in questo cuore di pietra dove tutto è ancora a misura umana”, con le loro borse consunte, dopo aver viaggiato in terza classe per parlare di pace e fratellanza.

In un altro luogo della città, al contempo, si sarebbe riunito il Consiglio della Società delle Nazioni: una conferenza sul disarmo mentre incominciava una nuova guerra. La signora Peter entrava e usciva velocemente dagli antichi cortili, ai piedi di maestose scalinate dei palazzi nelle strade vicino alla cattedrale; antiche dimore ginevrine dove abitavano funzionari delle organizzazioni internazionali, stranieri, rifugiati politici ed emigrati italiani avversari della dittatura di Mussolini. Lei era stata una donna fortunata, amata anche dopo i cinquant’anni e dopo i suoi due mariti. Una bella signora che si prendeva cura di sé, con un po’ di cipria e la matita rossa sulle labbra: i suoi gesti erano rituali carichi di ricordi, nonostante quello che accedeva intorno non la rassicurasse.

Hitler era al potere nonostante si pensasse potesse durare poco, colpa della disoccupazione dilagante, i diritti civili in Germania erano stato sospesi, il Giappone aveva invaso la Manciuria e dopo il 1918 si credeva che non ci sarebbero state più guerre con gli orrori e i migliaia di morti mai dimenticati, ma nell’aria un conflitto era alle porte. Fiocchi di neve iniziarono a cadere e a imbiancare le strade e i tetti di Ginevra, quasi a nascondere candidamente il tempo della fine delle illusioni.

Helene Blum, l’efficiente segretaria ebrea, trovato il volantino tra la sua posta, sarebbe andata alla manifestazione non condividendo le associazioni di donne e le loro idee umanitarie. La sua vita era il lavoro, nell’ufficio dell’Organizzazione internazionale del lavoro, una noiosa e quotidiana prigione “nello spazio tra le torri di Saint Pierre e i ponti del Rodano”. Con le sue ricerche sociologiche portava avanti problemi di grandi interesse in un’epoca in cui milioni di persone non avevano mezzi di sussistenza. La disoccupazione, la crisi economica, e poi le leggi razziali che la facevano sentire una presenza minacciosa.

“Una specie che si riconosce e si definisce per la sua aria impaurita, quella che si vede sul volto degli esseri umani che vivono nella sventura e non hanno in sé la forza di ribellarsi. Si riforma continuamente, ora qui, ora là, secondo i capricci e le costrizioni della storia, secondo le circostanze politiche, gli imperativi economici, le follie, gli odi e le aberrazioni degli uomini."

Andrè Chatenay, il suo capo, un’amante difficile da dimenticare, era l’uomo che aveva preferito a lei la giovane Nelly, sposandola in seconde nozze.

“Una ferita dell’amore proprio del peggior oltraggio che avesse mai subito nella sua vita di donna."

Attiguo al suo ufficio poteva ascoltarne i colpi di tosse e le conversazioni, peggio di una coabitazione. Helen amava sempre gli uomini che non doveva e lavorava fino al limite per dimenticare di essere una donna. Andrè, dal suo canto, adorava suonare al piano brani di Schubert, Schumann; per lui la musica era una fuga a una convivenza con una donna troppo giovane e alle difficoltà coniugali; “era forte in lui il sentimento di aver sciupato le proprie qualità e la propria vita”. E poi la timida ventenne Claire-Lise, impiegata nello stesso ufficio di Chatenay, confusa e disorientata nell’essere corteggiata dal suo capo, insegue nel suo cuore l’amore per Marc, “dagli occhi bruni con i riflessi dorati carichi del potere di farla soffrire”, un uomo sfuggente e assente. Una vertigine d’amore la poteva portare a sgomitare tra gli altri e a correre verso di lui, ma forse Marc non voleva confessarle la verità.
Tutti insieme, mentre continuerà a nevicare, saranno i protagonisti e i partecipanti alla manifestazione di Ferrard sulla violenza delle guerre; alcune di loro credendo di poter cambiare il mondo con coraggio e buona volontà, con il vecchio sogno “di pacificare la ferocia degli uomini”.

Scritto nel 1946 ma pubblicato vent’uno anni dopo, Il cavo dell’onda, non un punto morto ma il segmento più basso di una curva concava da dove partirà una nuova curva ascendente, è una lettura illuminante, elegante, sull’inquietudine della Storia, sull’abbandono delle aspettative, sulle solitudini, sul disincanto dell’amore, della vita con le sue aspirazioni, le sue paure e i suoi errori.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il cavo dell’onda

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